Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39370 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39370 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/11/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Motivi della decisione
La Corte d’appello di Bologna, con la pronuncia di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di NOME per fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 avente a oggetto cocaina.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi (di seguito enunciato ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.). Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione nell’aver ritenuto l’imputato essere l’autore dei fatti in base a una identificazione eseguita dalla polizia giudiziaria tramite immagini videoriprese, senza vagliare l’attendibilità dei dichiaranti, che avrebbero astrattamente potuto avere nei confronti dell’imputato ragioni di risentimento personale, e in assenza di una comparazione fra le riprese video e una foto del prevenuto e comunque senza disporre l’accompagnamento dell’imputato un udienza al fine di procedere alla sua identificazione personale. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione per aver la Corte territoriale ritenuto insussistente il vincolo della continuazione tra il reato sub iudice e altra fattispecie in materia di stupefacenti per la quale l’imputato era stato tratto in arresto qualche mese prima, circostanza quest’ultima che, in considerazione del modus operandi in parte similare e della commissione in concorso con altro soggetto di entrambe le fattispecie, per il ricorrente, avrebbe dovuto condurre a una differente valutazione.
Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo, come emerge dal raffronto con i motivi d’appello (esplicitati nella prima pagina della parte motiva della sentenza impugnata), è fondato esclusivamente su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale (nella pagina successiva), dovendosi quindi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis: tra le più recenti, Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
La prima censura, peraltro, oltre che aspecifica ove formulata in termini ipotetici in ragione di un’astratta possibile sussistenza di motivi di astio tra l polizia giudiziaria e l’imputato, invece non ritenuti accertati dal giudicante in sede di valutazione delle relative dichiarazioni, è manifestamente infondata laddove prospetta come necessari una comparazione fra le riprese video e una foto del prevenuto e l’accompagnamento dell’imputato un udienza al fine di procedere alla sua identificazione personale. Nei termini di cui innanzi, difatti, il ricorrente non confronta il suo dire con i principi governanti la materia. Il riconoscimento dell’imputato effettuato da un operatore di polizia giudiziaria mediante la visione delle immagini riprese da telecamere di sicurezza costituisce difatti prova atipica, sulla quale è peraltro ammissibile la testimonianza dell’operatore che vi ha direttamente proceduto, senza la necessità, da parte del giudice, di procedere a un esame diretto dei fotogrammi (Sez. 2, n. 41375 del 05/07/2023, COGNOME, Rv. 285160 – 01), che, invece, costituirebbe fonte di percezione diretta che il giudice può trarre direttamente dal processo e dai suoi atti, valutabili e confrontabili con le ulteriori acquisizioni probatorie (Sez. 2, 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441 – 01). L’affidabilità del detto mezzo di prova, come sostanzialmente ritenuto nella specie dalla Corte territoriale, deriva dunque dalla credibilità delle dichiarazioni di chi, avendo
visionato le immagini si dica certo della sua identificazione (si veda sul punto anche Sez. F, n. 32012 del 29/08/2019, COGNOME, Rv. 277635 – 01, quanto al riconoscimento informale eseguito dalla polizia giudiziaria sulla base di un’effige fotografica).
Il secondo motivo, invece, è inammissibile anche in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla ritenuta insussistenza del vincolo della continuazione (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., in motivazione, tra le più recenti; Sez. 4, n. 2644 del 16/12/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 49411 del 26/10/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01). I giudici di merito, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, in considerazione delle specifiche doglianze dell’appellante, hanno difatti escluso il detto vincolo, ritenendo invece i diversi fatti espressione di una scelta di vita delinquenziale, all’esito di una valutazione unitaria di plurime circostanze. Il riferimento è, in particolare: a) allo iato temporale tra le due fattispecie commesse in Ravenna, pari a sei mesi, delle quali la seconda è stata consumata dópo l’arresto del prevenuto in forza del primo reato e successivamente alla conclusione del relativo giudizio con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti; b) al modus operandi, solo parzialmente coincidente anche quanto a sostanze stupefacenti trattate, eroina e marijuana (primo reato), solo quest’ultima occultata in saracinesche, spacciate del prevenuto unitamente ad altro soggetto, e, quanto al secondo reato, solo eroina occultata in saracinesche con l’ausilio di un soggetto fungente da palo (come emerge dalla lettura unitaria dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata). Trattasi di circostanze che, invece, il ricorrente inammissibilmente mira a porre a fondamento della propria differente valutazione di merito rispetto a quella del giudicante, finendo quindi tale profilo di censura anche con l’essere inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto deducente mera doglianza in fatto (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 16098 del 22/02/2023, COGNOME, non massinnata; Sez. 4, n. 2644 del 16/12/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 49411 del 16/10/2022, COGNOME, Rv. 283939 – 01, in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01; Sez. 7, n. 9378 del 09/02/2022, COGNOME, in motivazione; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2024 FTATA
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