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Protezione internazionale: quando non blocca l’espulsione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero contro un’ordinanza di espulsione come sanzione alternativa. La difesa sosteneva che la procedura dovesse essere sospesa a seguito di una richiesta di appuntamento, inviata alla Questura due giorni prima dell’udienza, per formalizzare la domanda di protezione internazionale. La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, stabilendo che la mera richiesta di appuntamento non equivale a una manifestazione di volontà seria e concreta di chiedere protezione, né a una formale istanza, e quindi non è sufficiente a sospendere l’efficacia del decreto di espulsione, soprattutto se presentata a ridosso dell’udienza.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Protezione Internazionale: La Cassazione Chiarisce Quando Non Sospende l’Espulsione

La richiesta di protezione internazionale può sospendere un provvedimento di espulsione? Questa è una domanda cruciale nel diritto dell’immigrazione, e una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3259/2024) offre un chiarimento fondamentale. La Corte ha stabilito che una semplice richiesta di appuntamento per presentare la domanda, soprattutto se effettuata a ridosso di un’udienza, non è sufficiente a bloccare l’espulsione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

Il Caso: Espulsione e Ricorso in Cassazione

Un cittadino straniero era stato destinatario di un provvedimento di espulsione a titolo di sanzione alternativa, emesso dal Magistrato di sorveglianza. Contro tale decisione, il suo difensore aveva presentato opposizione al Tribunale di sorveglianza, che l’aveva però respinta.

Il caso è quindi giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. La difesa sosteneva che il Tribunale avesse errato, in quanto, solo due giorni prima dell’udienza, era stata inviata via PEC all’Ufficio Immigrazione della Questura una richiesta di appuntamento per formalizzare la domanda di protezione internazionale. Secondo il ricorrente, questo atto avrebbe dovuto automaticamente sospendere l’efficacia del decreto di espulsione.

La Questione Giuridica: Una Semplice Richiesta di Appuntamento può Bloccare l’Espulsione?

Il nodo centrale della questione era stabilire se una mera richiesta di appuntamento, finalizzata a presentare la documentazione per la protezione internazionale, potesse essere equiparata alla manifestazione di volontà richiesta dalla legge per sospendere i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale. La normativa, infatti, tutela chi richiede protezione, autorizzandolo a rimanere in Italia fino alla decisione sulla sua domanda.

La Decisione della Cassazione sulla Protezione Internazionale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Secondo i giudici supremi, il Tribunale di sorveglianza ha agito correttamente nel non sospendere l’espulsione. La semplice corrispondenza tra l’avvocato e la Questura per fissare un appuntamento non costituisce un atto idoneo a innescare la tutela prevista per i richiedenti asilo.

Le Motivazioni: Serietà e Concretezza della Domanda di Protezione Internazionale

La Corte ha basato la sua decisione su un’interpretazione rigorosa dei requisiti per la domanda di protezione internazionale. Sebbene la legge (art. 2 del d.lgs. n. 142/2015) equipari la posizione di chi manifesta la volontà di chiedere protezione a quella di chi ha già formalizzato la domanda, tale manifestazione di volontà deve possedere caratteri di “serietà e concretezza”.

Nel caso di specie, questi requisiti mancavano per due ragioni principali:

1. Mancanza di una domanda formale: Il difensore aveva documentato solo uno scambio di comunicazioni per ottenere un appuntamento. L’istanza vera e propria di concessione della protezione non era mai stata presentata dall’interessato.
2. Tempistica sospetta: La richiesta di appuntamento era stata avanzata il 13 febbraio 2023, appena due giorni prima dell’udienza del 15 febbraio. La notifica della data di tale udienza, invece, era avvenuta quasi un mese prima, il 16 gennaio 2023. Questa tempistica, secondo la Corte, suggerisce che l’azione fosse più un tentativo di ritardare l’espulsione che una genuina e tempestiva manifestazione della volontà di chiedere protezione.

La Corte ha quindi concluso che gli atti presentati non erano sufficienti a dimostrare un’intenzione seria e concreta, ma rappresentavano unicamente un primo passo procedurale, peraltro tardivo. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione delinea un principio pratico di grande importanza: per beneficiare della sospensione dei provvedimenti di allontanamento, la manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale deve essere sostanziale e non meramente formale o dilatoria. Non basta inviare una comunicazione per chiedere un appuntamento; è necessario che l’istanza sia formalizzata o che, quantomeno, la volontà sia espressa in modo chiaro, concreto e tempestivo. La decisione rafforza l’idea che gli strumenti di tutela non possono essere utilizzati in modo strumentale per eludere l’esecuzione di provvedimenti legittimi.

Una richiesta di appuntamento alla Questura per presentare domanda di protezione internazionale è sufficiente a sospendere un ordine di espulsione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una semplice richiesta di appuntamento non costituisce una manifestazione di volontà seria e concreta, né equivale alla presentazione formale della domanda. Pertanto, non è sufficiente a sospendere l’efficacia di un decreto di espulsione.

Cosa intende la Corte per ‘manifestazione di volontà seria e concreta’ di chiedere la protezione internazionale?
La Corte intende che non basta una mera comunicazione o una richiesta di appuntamento. È necessario che l’istanza di concessione della protezione sia stata effettivamente presentata o che, quantomeno, la manifestazione di volontà sia supportata da atti concreti che dimostrino un’intenzione reale e non un tentativo di ritardare un provvedimento, come nel caso di una richiesta avanzata solo due giorni prima di un’udienza cruciale.

Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile perché ‘manifestamente infondato’?
La dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver avviato un’azione legale priva di fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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