Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10922 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10922 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PILERI SERGIO COGNOME
nato a LABRO DATA_NASCITA
COGNOME NOME
COGNOME
nato in ROMANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2023 della CORTE DI APPELLO DI ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi;
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori di COGNOME (il primo anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME), che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 28 giugno 2023 la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione emessa dal primo giudice, per quanto qui rileva, dichiarava non doversi procedere in ordine al tentativo di riciclaggio realizzato, in concorso con altri imputati, da NOME COGNOME e NOME COGNOME, perché estinto per intervenuta prescrizione, e revocava le confische dei beni in sequestro.
Secondo la tesi accusatoria, gli imputati avevano compiuto atti idonei diretti, in modo non equivoco, da un lato, a impedire l’identificazione della provenienza illecita dei beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e di finanziamenti (per un importo complessivo di 15.645,00 euro) e, dall’altro, a sottrarre alla anzidetta società i suddetti finanziamenti – e, per essa, all’amministrazione giudiziaria nominata dalla Autorità Giudiziaria palermitana e, infine, a ripulire il capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE per poi venderla e consolidare definitivamente il profitto.
Hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e vizio motivazionale in ordine alla violazione del diritto di difesa, per avere la Corte territoriale rigettato la richiesta di produzione documentale avanzata al fine di consentire al Collegio la valutazione in relazione ai presupposti per l’emissione di una sentenza di assoluzione nel merito ex art. 129, connma 2, cod. proc. pen.
La suddetta richiesta atteneva a quattro documenti, di cui tre già acquisiti nel fascicolo per il dibattimento (essendo stati prodotti nel corso della istruttoria svoltasi innanzi al Tribunale di Roma), e uno relativo a un provvedimento (l’ordinanza della prima sezione civile della Corte di cassazione, con cui si era concluso il parallelo giudizio civile, 11 cui atto introduttivo ricalcav pedissequamente i fatti ascritti agli imputati nel capo di imputazione alla base del giudizio penale) che non era ancora divenuto irrevocabile alla data della pronuncia del dispositivo della sentenza di primo grado.
La Corte di appello, pur avendo enunciato il corretto principio di diritto desumibile dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. – in base al quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, la prevalenza della formula di proscioglimento nel merito opera esclusivamente nel caso in cui gli elementi
idonei ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato o la sua rilevanza penale emergano dagli atti fctu ocu/i -, tuttavia non ha considerato che la produzione e l’acquisizione delle sentenze del parallelo giudizio civile avrebbero consentito di affermare con evidenza, senza necessità di ulteriori accertamenti, l’estraneità dell’odierno ricorrente rispetto a quanto allo stesso contestato.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la mancanza di motivazione e travisamento delle prove.
In particolare, la Corte di appello avrebbe dovuto indicare precisamente quali fossero le prove, prevalentemente documentali, ritenute inequivoche e concludenti nel senso del colpevole coinvolgimento degli imputati e asseritamente non contestate dagli appellanti, anziché limitarsi ad un generico richiamo delle stesse.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
4.1. Con il primo motivo si lamentano violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’erronea applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
La Corte territoriale, senza fornire sul punto alcuna motivazione, si è limitata a valutare la sussistenza di prove a carico degli imputati, omettendo di prendere in considerazione gli elementi a discarico, pure puntualmente indicati dalla difesa nell’atto di appello e idonei, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del gravame, a escludere la responsabilità dell’odierno ricorrente rispetto ai fatti ascrittigli e quindi alla pronuncia di sentenza di proscioglimento nel merito.
In particolare, è stato del tutto omesso l’esame del quarto motivo di appello circa l’impossibilità di configurare il reato di riciclaggio nella form tentata.
Inoltre, i presunti atti idonei e diretti in modo non equivoco a impedire la identificazione della provenienza illecita dei beni sarebbero state una serie di condotte, invero, del tutto lecite e inadeguate rispetto alla possibilità di integrare la fattispecie penale di riciclaggio, tanto più che tale delitto, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità si differenzia da altre ipotesi criminose minori, come ad esempio quella di favoreggiamento reale ex art. 379, cod. pen., proprio perché richiede il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo o anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza di denaro, beni o altre utilità.
Totalmente ignorati dai giudici del gravame risultano anche gli elementi indicati dalla difesa, nel quinto e settimo motivo di appello, finalizzati a provare l’assenza dell’elemento psicologico necessario per la configurabilità del delitto ascritto all’imputato: quest’ultimo non poteva essere a conoscenza della presunta provenienza illecita delle somme investite da terzi nella società di cui egli era proprietario, e anzi, in virtù dell’intervenuta autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, questi non poteva che ritenere del tutto legittime le diverse e successive operazioni finanziarie oggetto della attenzionata vicenda.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso si evidenzia la manifesta illogicità del passaggio della motivazione della impugnal:a sentenza, in cui – senza indicarne specificatamente alcuno – si afferma che non risultano contestati dagli appellanti gli elementi probatori acquisiti nel giudizio di primo grado a loro carico, quando in realtà gli stessi sono stati fatti oggetto, oltre che di ampia contestazione nel corso del dibattimento, di precise e analitiche censure nell’atto di appello, che la Corte territoriale ha totalmente omesso di esaminare.
4.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si contesta il “travisamento del fatto” ascritto all’imputato in cui è incorsa la Corte territoriale per omessa valutazione delle prove decisive acquisite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per carenza di interesse.
Anche di recente le Sezioni Unite di questa Corte, richiamando una pronuncia risalente (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269), hanno ribadito come «l’interesse ad impugnare debba essere “concreto”, oltre che attuale» e la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non possa essere assoluta e indiscriminata, ma «subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953).
Sul tema dell’interesse dell’imputato in ordine a una pronuncia liberatoria di merito, in presenza della causa estintiva della prescrizione, le Sezioni Unite hanno affermato che «a) l’art. 129 è disposizione che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell’intero iter processuale, ed assolve a due funzioni fondamentali: la prima è quella di favorire l’ imputato innocente, prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità «in ogni stato e grado del processo», la seconda è quella di agevolare in ooni caso l’exitus del
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processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; b) implicita alle sopraindicate funzioni ne è individuabile una terza, consistente nel fatto che l’art. 129 rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanzia dall’art. 1 cod. pen. In sostanza, l’art. 129 si muove nella prospettiva di interrompere, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, cristallizzando l’accertamento a quanto già acquisito agli atti; c) l’eventuale interesse dell’imputato a proseguire l’attività processuale in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito sarebbe tutelato dalla possibilità di rinunciare alla prescrizione e deve bilanciarsi, alla luce dell normativa vigente, con l’obiettivo, di pari rilevanza, della sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all’ad 111, secondo comma, Cost , che codifica il principio della ragionevole durata del processo; d) deve riconoscersi priorità all’immediata operatività della cali . sa estintiva anche rispetto alle questioni di nullità assoluta, fatto salvo il limite dell’evide innocenza dell’imputato che il legislatore si è preoccupato di tutelare con la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 129». Si tratta di «una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi e inutili formalismi» (così Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403-01).
Anche successivamente, in più occasioni, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’art. 129 cod. proc. pen. è norma che la Corte di legittimità ha sempre interpretato come espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia “lo stato e il grado del processo” (clausola, questa, significativamente menzionata dalla norma), sentenza di proscioglimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274-01; Sez. U, n. 28594 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 269810-01; Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 27887001; da ultimo v. Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, COGNOME, Rv. 285517-01).
In conformità a detti princìpi, si è affermato che l’interesse dell’imputato a impugnare una sentenza dichiarativa della prescrizione è ravvisabile anche quando egli miri «ad evitare conseguenze extra-penali pregiudizievoli, ovvero ad assicurarsi effetti extra-penali più favorevoli, come quelli che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 cod. proc. pen.) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o
amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.)» (Sez. 6, n. 35989 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 265604).
Occorre, dunque, in presenza di una pronuncia di roscioglimento per estinzione del reato, che l’imputato alleghi «un qualche concreto interesse a ottenere l’annullamento della sentenza impugnata, ivi compreso un qualche apprezzabile interesse ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli» (così, di recente, Sez. 4, n. 18343 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275760, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interesse delle imputate all’impugnazione della sentenza che aveva dichiarato non [Joversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione e revoc:ato le statuizioni civili a loro carico; successivamente, in senso conforme, fra le sentenze non massimate, v. Sez. 4, n. 24763 del 13/01/2022, COGNOME; Sez. 2, n. 46009 del 17/11/2021, COGNOME; Sez. 7, n. 19224 del 14/04/2021, COGNOME; Sez. 6, n. 155:39 del 23/03/2021, COGNOME; Sez. 2, n. 11568 del 03/02/2021, COGNOME).
Condivisi i princìpi ora richiamati, osserva il Collegio che nel caso di specie i ricorrenti non hanno neppure dedotto alcun interesse ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli, dovendosi evidenziare che le confische disposte dal primo giudice sono state tutte revocate e c:he non vi è stata alcuna costituzione di parte civile (ed anzi la difesa di COGNOME ha illustrato che nel “parallelo giudizio civile” è stata “definitivamente rigettata la domanda dell’amministrazione giudiziaria, parte attrice, nei confronti dei convenuti, odierni imputati”).
All’inammissibilità delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/03/2024.