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Proroga tacita contratto PA: truffa e peculato

Una professionista sanitaria è stata condannata per truffa aggravata e peculato d’uso per aver modificato le procedure di pagamento a seguito della scadenza di una convenzione con l’ente sanitario pubblico. La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, affermando che la “proroga tacita contratto PA”, avvenuta per garantire la continuità del servizio, non autorizzava la professionista a deviare dalle regole amministrative, causando un danno economico all’ente.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Proroga tacita contratto PA: quando la continuità del servizio non giustifica la truffa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10195/2024, ha affrontato un caso complesso che tocca i temi della proroga tacita contratto PA, della truffa aggravata ai danni dello Stato e del peculato d’uso. La vicenda riguarda una professionista sanitaria che, pur operando in un regime di convenzione di fatto proseguita dopo la scadenza formale, ha alterato le procedure di pagamento, causando un danno economico all’ente pubblico. Questa decisione offre importanti spunti sulla validità dei rapporti con la Pubblica Amministrazione e sulle responsabilità penali che ne derivano.

I Fatti: La Convenzione Scaduta e la Condotta Illecita

Una professionista sanitaria operava all’interno di un presidio di un’azienda sanitaria locale in virtù di una convenzione stipulata tra l’ente e una società privata. Tale accordo prevedeva la fornitura di manufatti odontotecnici ai pazienti, con una clausola specifica: il 20% dell’importo pagato dal paziente doveva essere versato all’azienda sanitaria tramite un conto corrente dedicato. La convenzione, dopo un rinnovo, era formalmente scaduta nel 2008.

Nonostante la scadenza, il rapporto è proseguito di fatto per garantire la continuità dei servizi assistenziali, una prassi all’epoca diffusa. La professionista, tuttavia, ha iniziato a discostarsi dalle procedure previste, ricevendo pagamenti direttamente dai pazienti e avvalendosi di ditte diverse da quella convenzionata, impedendo così all’azienda sanitaria di incassare la percentuale pattuita. Per questa condotta, è stata condannata in primo e secondo grado per truffa aggravata e peculato d’uso, per aver utilizzato le attrezzature e i locali pubblici per finalità private.

La Decisione della Cassazione e la proroga tacita contratto PA

La difesa ha basato il ricorso in Cassazione sull’assenza di una convenzione valida ed efficace al momento dei fatti, sostenendo che ciò facesse venir meno il presupposto stesso della truffa. Secondo questa tesi, la scadenza del contratto avrebbe legittimato un ritorno al libero mercato. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente questa impostazione.

La Truffa Aggravata ai Danni dell’Ente Pubblico

I giudici hanno stabilito che l’incontestata prosecuzione del rapporto, benché in assenza di un rinnovo formale, manteneva in vita gli obblighi procedurali. La continuità del servizio era stata avallata dalla stessa amministrazione per necessità pubbliche. Di conseguenza, alla professionista non era consentito modificare unilateralmente le regole amministrative, sostituendosi all’azienda convenzionata e incassando direttamente i corrispettivi. Il danno per l’ente pubblico è stato individuato proprio nella perdita della quota di proventi che gli sarebbe spettata secondo il regime operativo, anche se basato su una proroga tacita contratto PA.

La Configurazione del Peculato d’Uso

Anche il motivo relativo al peculato d’uso è stato giudicato infondato. La Corte ha chiarito che il mancato rispetto del regime pubblicistico di assistenza ha snaturato la prestazione, trasformando i locali e le attrezzature dell’azienda sanitaria in una sorta di studio privato. Questo “mutamento del titolo” della disponibilità dei beni, seppur temporaneo, ha integrato il reato di peculato d’uso, causando un danno patrimoniale apprezzabile all’ente, privato del suo aggio sui pagamenti.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Cassazione si fondano su un principio cardine: la necessità di garantire la continuità di un servizio pubblico non legittima i singoli operatori a violare le procedure amministrative e contrattuali, anche se il contratto originario è formalmente scaduto. La prosecuzione di fatto del rapporto, accettata da entrambe le parti, implica il dovere di attenersi alle condizioni originarie, specialmente quelle che tutelano l’interesse economico dell’ente pubblico. La Corte ha sottolineato che la procedura amministrativa, volta a regolamentare prestazioni diffuse e ad assicurare un corrispettivo all’ente, non poteva essere modificata d’imperio dalla singola professionista. L’obbligo di seguire le regole persisteva, e la sua violazione ha correttamente configurato i reati contestati.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce che nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, la sostanza prevale sulla forma, ma solo a condizione che vengano rispettate le finalità e le regole di interesse pubblico. La proroga tacita contratto PA, pur essendo una prassi talvolta tollerata per esigenze operative, non crea una “zona franca” in cui i privati possono agire a proprio piacimento. Gli obblighi verso l’ente pubblico, soprattutto quelli di natura economica, rimangono validi e la loro elusione può comportare gravi conseguenze penali. Per i funzionari e i professionisti che operano in convenzione, questo rappresenta un monito a mantenere un rigoroso rispetto delle procedure amministrative, anche in situazioni contrattuali non perfettamente definite.

Un contratto con la Pubblica Amministrazione può continuare a produrre effetti dopo la sua scadenza formale?
Sì, secondo la sentenza, un rapporto contrattuale può continuare di fatto per assicurare la continuità di un servizio pubblico. Tuttavia, questa prosecuzione non autorizza le parti a discostarsi dalle procedure amministrative e dagli obblighi economici originariamente previsti a tutela dell’ente pubblico.

Perché la condotta della professionista sanitaria è stata qualificata come truffa aggravata?
La truffa è stata configurata perché la professionista, discostandosi dalle procedure di pagamento stabilite (che prevedevano un versamento su un conto specifico), ha impedito all’azienda sanitaria di percepire la percentuale del 20% che le spettava su ogni prestazione. Questo ha causato un danno economico diretto all’ente pubblico.

In che modo è stato configurato il reato di peculato d’uso in questo caso?
Il peculato d’uso è stato ravvisato nell’utilizzo delle attrezzature e dei locali dell’azienda sanitaria per uno scopo diverso da quello pubblico previsto dalla convenzione. Trasformando di fatto l’ambulatorio pubblico in uno studio privato dove incassare direttamente i pagamenti, la professionista ha mutato il titolo del possesso dei beni, destinandoli a un uso privato che ha causato un danno patrimoniale all’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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