Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3814 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 3814  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, nell’unico articolato motivo il ricorrente, NOME COGNOME, deduce che il Tribunale di sorveglianza, anziché confrontarsi con le censure sollevate in sede di reclamo – laddove «si era proceduto a indicare diversi e concreti elementi che contribuiscono a rappresentare l’assenza di un attuale e concreto rischio che COGNOME potesse riprendere contatti con la realtà criminosa di riferimento» – avrebbe riprodotto acriticamente la decisione contenuta nei decreto ministeriale;
ritenuto il motivo non consentito e, comunque, manifestamente infondato; ricordato, invero, che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi come nel caso che ci occupa – si limitino a lamentare l’omessa valutazione, aa parte del giudice dell’impugnazione, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente a esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso esser autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (da ultimo Sez. 6, n. 11008 del 11/02/2020, Bocciero, Rv. 278716);
ritenuto, comunque, che il motivo non è adeguatamente correlato alla logica e ponderata valutazione dell’ordinanza impugnata, che – nell’esercizio del controllo di legalità spettante, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 94 del 2009, al tribunale di sorveglianza in sede di proroga del regime di detenzione differenziato (Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361; Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 267248) – ha compiutamente verificato, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, anche con richiamo per relationem al contenuto del decreto ministeriale, la capacità del soggetto di mantenere collegamenti con l’organizzazione criminale RAGIONE_SOCIALE di appartenenza nella quale risulta inserito con indiscusso ruolo di vertice, la sua conseguente pericolosità sociale e il collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle connesse esigenze di ordine e sicurezza pubblica;
considerato, a tale proposito, che nel provvedimento sono stati valorizzati da un canto, gli esiti di nuove investigazioni (dal 2019 al 2021) che danno contezza dell’attuale operatività del sodalizio e, dall’altro, la posizione di riliev assunta dal ricorrente nel clan mafioso di riferimento secondo quanto già giudizialmente accertato;
ricordato che, dunque, tale motivazione si è posta nel solco del principio secondo cui «Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del
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condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un clan camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice) (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME NOME, Rv. 274912);
rilevato, per le esposte considerazioni, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 28 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il P esidente