Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25129 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25129 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 15/05/1971
avverso l’ordinanza del 01/12/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha cheisto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato nel preambolo, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento ministeriale di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen.
Nel valutare la sussistenza dei presupposti di legge, riferiti alla proroga ed in particolare alla capacità di Magrì di mantenere, ove ammesso al regime carcerario ordinario, i collegamenti con l’organizzazione criminale, il Tribunale, valorizzando, in risposta alle doglianze difensive, quanto accertato nelle sentenze
in esecuzione e nelle informative trasmesse dagli organi investigativi, ha posto in evidenza:
il ruolo di spicco ricoperto per un lungo periodo nel sodalizio criminale di appartenenza (il clan COGNOME – Ercolano);
la consumazione di reati di forte allarme sociale per i quali ha riportato la condanna alla pena in esecuzione (in particolare più omicidi);
l’attuale vitalità della compagine associativa di appartenenza,
-l’irrilevanza, alla luce delle informazioni contenute dalle segnalazioni più recenti della Direzione nazionale antimafia e della Direzione distrettale antimafia di Catania, degli elementi allegati dalla difesa per sostenere la rottura dei rapporti con il clan di appartenenza.
Avverso l’illustrato decreto, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME sviluppando un unico motivo, per violazione di legge, con riferimento all’art. 41bis Ord. pen., e vizio di motivazione, di seguito sintetizzato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Sostiene il ricorrente che l’ordinanza impugnata ha attribuito decisivo rilievo alle argomentazioni espresse dalla Direzione distrettuale antimafia che tuttavia contraddicono quanto lo stesso Ufficio ha sostenuto nel più recente procedimento celebrato a carico di Magrì, denominato ‘ THOR ‘ .
Aggiunge che non è stata nemmeno adeguatamente valutata la scelta del condannato, il quale, negli ultimi anni, ha intrapreso un serio percorso di allontanamento dall’organizzazione di pregressa appartenenza, rendendo dapprima dichiarazioni solo confessorie in relazione a gravi reati omicidiari e successivamente, nel citato procedimento THOR, anche accusatorie, in relazione ad un duplice omicidio, anche nei confronti dei correi, tanto da indurre il decidente a concedergli, andando oltre la richiesta del pubblico ministero, le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate proprio in ragione del contributo decisivo fornito per pervenire alla condanna all’ergastolo dei coimputati, tra cui il figlio del capo riconosciuto della cosa nostra catanese ovvero NOME COGNOME, figlio di NOME, a sua volta reggente l’organizzazione nel momento di esecuzione del duplice omicidio.
Più di recente, COGNOME ha reso dichiarazioni confessorie in ordine ad un’ulteriore omicidio per il quale non era indagato, spiegando le ragioni del suo allontanamento dal clan e ha patteggiato per la pena per avere concorso ad un’estorsione aggravata proseguita, come si legge nel titolo cautelare, non fino al 2020, come erroneamente ritenuto dal Tr8bunale di sorveglianza, ma fino al 2013.
Nessuna rilevanza negativa può essere attribuita ai colloqui con i familiari: il ricorrente si è limitato ad ammonire il figlio a non avere contatti con pregiudicati e a riferire alla moglie fatti che ha poi confessato all’autorità giudiziaria .
L ‘inserimento del nome di COGNOME nella ‘carta degli stipendi’ , rinvenuta nel novembre 2019, non costituisce affatto un dato dirimente per affermare il mantenimento da parte di quest’ultimo fino a quella data di un ruolo direttivo nel più vasto contesto associativo.
L’esperienza investigativa ha insegnato che non sempre le indicazioni contenute in tale documento corrispondono alla realtà, tanto è vero che nei confronti di COGNOME non è stato adottato alcun provvedimento giudiziario.
In definitiva, l’allontanamento di COGNOME dal contesto associativo mafioso esclude, in concreto, ogni possibilità che lo stesso possa essere utile all’organizzazione anche all’interno del circuito carcerario, qualora non più sottoposto al regime differenziato
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso propone censure infondate sicché deve essere rigettato.
Costituisce approdo ormai pacifico nella giurisprudenza costituzionale che il regime differenziato previsto dall’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen. mira a contenere la pericolosità di singoli detenuti, proiettata anche all’esterno del carcere, in particolare impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso i contatti con il mondo esterno che lo stesso ordinamento penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento sociale (cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 376 del 1997; ordinanza n. 417 del 2004 e n. 192 del 1998 e più, di recente, sentenze n. 186 del 2018 e 97 del 2020). Con l’applicazione del regime differenziato si intende, quindi, evitare che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il regime penitenziario normale, possano continuare a tenere contatti illeciti e ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose in seno all’organizzazione stessa (sentenza n. 143 del 2013).
Ai fini dell’adozione del provvedimento di applicazione di tale regime che comporta la sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per gravi reati espressamente individuati, occorrono «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva».
Non si esige sul punto un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono primaria rilevanza, sempre in chiave di valutazione prognostica, quelli desumibili dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (fra le altre, Sez. 1, n. 4857 del 10/03/2016, Rv. 267248). Si tratta, quindi, di un accertamento prognostico diverso da quello finalizzato a verificare il pericolo di reiterazione delle medesime condotte delittuose perché, in un’ottica di tutela più anticipata, ha come obbiettivo di prevenire, tramite le funzionali prescrizioni del regime detentivo speciale, già il solo collegamento operativo con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave allarme sociale posti a fondamento della detenzione.
Ai fini della proroga del regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., va, invece, apprezzato non tanto il concreto realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli, quanto più propriamente la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi – non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti – la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez.1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 274912; Sez. 1, n. 4 41731 del 15/11/2005, Stranieri, Rv. 232892; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, COGNOME; Rv. 232114).
Va, infatti, verificata, a mente dell’art. 41-bis comma 2, cit., la «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati, «anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati, in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’interno dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto. Mentre si sottolinea che il mero decorso del tempo non costituisce da solo elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra.
Il perimetro e le modalità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti ministeriali previsti dall’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., circoscritto nel testo attuale del successivo comma 2-sexies alla verifica della “sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento” sono state precisate da numerosi interventi della Corte costituzionale.
4.1. Con riferimento ai provvedimenti di applicazione del regime differenziato, il Giudice delle leggi ha affermato la loro piena sindacabilità, ad opera del giudice ordinario, e precisamente del Tribunale di sorveglianza adito
col reclamo di cui all’art. 14-ter Ord pen., sia sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti per tale applicazione e della congruità della relativa motivazione, sia sotto il profilo del rispetto – nel contenuto delle misure restrittive disposte – dei limiti del potere ministeriale: tanto quelli “esterni”, collegati cioè al divieto di incidere sul residuo di libertà personale spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti dell’esecuzione che toccano, anche indirettamente, la qualità o la quantità della pena detentiva da scontare o i presupposti per l’applicazione delle misure così dette extramurali, quanto quelli “interni”, discendenti dal necessario collegamento funzionale fra le restrizioni concretamente disposte e le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza cui devono essere rivolti i provvedimenti applicativi del regime differenziato, nonché dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e dall’obbligo di non vanificare la finalità rieducativa della pena (sentenza n. 376 del 1997 che, espressamente richiama le precedenti pronunce n. 349 del 1993 e n. 351 del 1996; e più, di recente, n. 186 del 2018 e 97 del 2020).
4.2. Con riferimento ai provvedimenti di proroga del regime differenziato, la Consulta è pervenuta a conclusioni dello stesso tenore, esplicitamente avallando la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo le modifiche apportate all’art. 41bis Ord. pen dalla legge n. 279 del 2002 e dalla legge n. 94 del 2009. La Corte costituzionale, dapprima, nell’esaminare le conseguenze dell’introduzione al comma 2-bis cit. dell’inciso «purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno» (oggi soppresso), ha escluso che nella verifica dei presupposti possa operare una inversione dell’onere della prova (nello stesso senso Sez. 1, n. 15283 del 30/03/2006, COGNOME Rv. 234844; Sez. 1, n. 41316 del 23/09/2009, COGNOME, Rv. 245048), ribadendo che il provvedimento di proroga deve contenere una adeguata motivazione sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali (nello stesso senso ex plurimis Sez. 1, n. 48396 del 06/10/2011, Lucchese, Rv. 251583) e che, conseguentemente, “in sede di controllo giurisdizionale spetterà al giudice verificare in concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto – se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale” (sentenza n. 417 del 2004). Successivamente, nel considerare infondata la censura relativa all’asserita cancellazione di ogni controllo di legalità, da parte del tribunale di sorveglianza, sui contenuti del provvedimento ministeriale applicativo delle prescrizioni dettate dall’art. 41-bis, comma 2 -quater, della legge n. 354 del
1975, nel testo modificato dalla legge n. 94 del 2009, con conseguente violazione degli artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, ha precisato, sulla base di ricostruzione sistematica delle norme dell’ordinamento penitenziario, che le proroghe -a prescindere dalla soppressione, nella disciplina del reclamo di cui al comma 2-sexies cit. contro il decreto applicativo del regime speciale, del riferimento al controllo sulla congruità di contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza – al pari di tutti i provvedimenti adottati nei confronti dei detenuti lesivi di posizioni giuridiche che, per la loro stretta inerenza alla persona umana, sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, continuano ad essere reclamabili con lo strumento generale previsto dall’art. 14- ter Ord. pen. davanti al giudice dei diritti e cioè al giudice ordinario ai sensi dell’art. 24 della Costituzione (sentenza n. 190 del 2010).
Il sindacato giurisdizionale attivato dai detenuti attraverso tale rimedio, proprio perché funzionale alla tutela di diritti soggettivi, si estende «non solo alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e 5 dalla Costituzione in ordine al contenuto di questo», con la conseguenza che «eventuali misure illegittime, lesive dei diritti del detenuto, dovranno perciò essere a questi fini disattese, secondo la regola generale per cui il giudice dei diritti applica i regolamenti e gli atti dell’amministrazione solo in quanto legittimi » (sentenza n. 351 del 1996, richiamata dalla n. 190 del 2010 ).
4.3. Conclusivamente, il controllo da parte del Tribunale di sorveglianza, adito in sede di reclamo avverso i provvedimenti di proroga del regime differenziato, lungi dal costituire un sindacato di mera legittimità sulla congruità della motivazione, come tale limitato alla valutazione della correttezza, logica e giuridica, del provvedimento reclamato, è, invece, volto a verificare la sussistenza nel caso concreto dei presupposti normativi di cui all’art. 41-bis Ord. pen. mediante il ponderato apprezzamento dell’intero materiale probatorio raccolto, quindi non solo degli elementi fattuali posti a fondamento del decreto ministeriale ma anche di quelli, eventualmente, allegati dal reclamante o comunque emersi dall’istruttoria, al fine di riscontrarne, con congrue e pertinenti argomentazioni critiche sulle contrapposte prospettazioni, la idoneità dimostrativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361 – 01; Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 267248 – 01; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, Rv. 256495 – 01).
Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità sulla decisione sul reclamo, circoscritto al solo vizio di violazione di legge da intendersi nel senso che il controllo ha per oggetto, oltre che l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, la mancanza di motivazione con la precisazione che in tale vizio devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U, n. 25080 del 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224611).
5. Alla luce dei richiamati parametri ermeneutici, deve osservarsi che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha, invero, valutato correttamente gli elementi risultanti dagli atti nonché le circostanze allegate dalla difesa pervenendo, con motivazione che certamente non può dirsi carente o apparente, alla conclusione circa la sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato e, in particolare, il pericolo che Magrì possa continuare a svolgere il ruolo di rilievo ricoperto in passato, qualora rimesso in regime penitenziario ordinario.
Sotto questo profilo, ha congruamente valorizzato la biografia criminale del condannato, il ruolo apicale o comunque di rilievo ricoperto dallo stesso all’interno del sodalizio come accertato con sentenze irrevocabili, la perdurante attività del suo gruppo criminale.
Quanto alla asserita rottura con il clan, ha osservato che, alla luce delle informazioni più recenti fornite dalla DDA e dalla DNA, le dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese in più procedimenti, peraltro in epoca così recente da non consentire di verificare il carattere più o meno irreversibile dell’atteggiamento, appare il risultato di valutazione di convenienza meramente processuale, considerata la posizione degli accusati già raggiunti da severe condanne, non in grado di sminuire la portata maggiormente dimostrativa degli elementi che depongono per il mantenimento di stretti rapporti con il clan mafioso fino ad epoca recente, quale la consumazione di un estorsione contestata fino al 2020 e, soprattutto, l’inserimento del suo nome nell’elenco degli stipendiati del clan con un ruolo di vertice fino al 2019.
Da tali informazioni, il Tribunale ha tratto la convinzione, nient’affatto illogica, che COGNOME, in virtù del ruolo in passato svolto, possa ancora oggi
rappresentare un punto di riferimento capace di mantenere collegamenti con l’esterno.
A fronte di tale motivazione, che ha evidenziato gli elementi di attuale pericolo di ristabilimento delle relazioni con il contesto malavitoso di provenienza, il ricorso si è limitato a contestare le argomentazioni del provvedimento impugnato in chiave meramente confutativa, in realtà confrontandosi con il richiamato percorso giustificativo, solo apoditticamente considerato come del tutto mancante, mentre, per le considerazioni già espresse, esso deve considerarsi non solo presente, ma finanche adeguatamente sviluppato. Il ricorrente, pertanto, pur denunciando formalmente la violazione di legge, tende in realtà a provocare una nuova – e non consentita – valutazione del merito delle circostanze di fatto, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 27 maggio 2025.