Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1548 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1548 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LO COGNOME nato a CORLEONE il 09/04/1953
avverso l’ordinanza del 09/02/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento ministeriale di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen.
Nel valutare la sussistenza dei presupposti di legge, riferiti alla proroga ed in particolare alla capacità di LO BUE di mantenere, ove ammesso al regime carcerario ordinario, i collegamenti con l’organizzazione criminale, il Tribunale, valorizzando, in risposta alle doglianze difensive, quanto accertato nelle sentenze in esecuzione e nelle informative trasmesse dagli organi investigativi, poneva in evidenza:
il ruolo di spicco ricoperto quale reggente del mandamento mafioso di Corleone, almeno dal 2010;
la duplice condanna subita, per reato associativo mafioso, con sentenza emessa in data 2 maggio 2018 dalla Corte di appello di Palermo (definitiva il 5 aprile 2019, con accertamento del ruolo dirigenziale), e con sentenza emessa dalla medesima Corte territoriale in data 15 giugno 2001 (definitiva il 7 maggio 2002), a testimonianza della risalente appartenenza mafiosa del detenuto;
lo scioglimento, con d.P.R. 12 agosto 2016, del consiglio comunale di Corleone per infiltrazione mafiosa, a seguito di vari episodi, tra i quali quello afferente a u concorso pubblico indetto dal Comune per “assistente igienico sanitario”, vinto dall’unica concorrente NOME COGNOME figlia del detenuto, con bando mai pubblicato;
l’applicazione, con decreto del 17 settembre 2021 reso dal Tribunale di Palermo, di misure di prevenzione personale e patrimoniale;
l’attuale vitalità della compagine associativa di riferimento, dimostrata da recenti indagini, operazioni di polizia e provvedimenti giurisclizionali riguardanti soggetti ritenuti organici e contigui alla organizzazione criminale, indipendentemente dal coinvolgimento del detenuto;
l’assenza di segni di dissociazione o di elementi sopravvenAi da cui desumere il mutamento del ruolo apicale rivestito.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME sviluppando un unico motivo, per violazione di legge in riferimento agli artt. 13 e 41-bis Ord. pen., 27 Cost., 3 e 6 CEDU.
Lamenta, in primo luogo, il ricorrente la mancata acquisizione, da parte del Tribunale di sorveglianza, della “relazione di sintesi intramuraria insieme al programma trattamentale sottoscritto dal Magistrato di Sorveglianza di Milano”.
Tale carenza istruttoria avrebbe indotto il giudice a quo a esprimere una valutazione parziale e ingiusta, in quanto fondata “sui soli elementi promananti dagli Organi di controllo investigativo” e mancante del “tassello più importante, il percorso detentivo della persona ristretta che nessuno ha osservato”.
Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto redatto in violazione del principio di autosufficienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
Giova premettere che, ai fini dell’adozione del provvedimento di applicazione del regime che, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., comporta la sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per gravi reati espressamente individuati, occorrono «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva». Non si esige sul punto un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono primaria rilevanza quelli desumibili dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (fra le altre, Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, Mule’, Rv. 281361; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, Giuliano, Rv. 267248).
Si tratta, quindi, di un accertamento prognostico diverso da quello finalizzato a verificare il pericolo di reiterazione delle medesime condotte delittuose perché, in un’ottica di tutela più anticipata, ha l’obiettivo di prevenire, tramite le funzion prescrizioni del regime detentivo speciale, già il solo collegamento operativo con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave allarme sociale posti a fondamento della detenzione.
Ai fini della proroga del regime differenziato di cui trattasi, va, invece, apprezzato non tanto il concreto realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli, quanto, più propriamente, la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi – non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti – la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 24134 del 10/5/2019, COGNOME, Rv. 276483; Sez.1, n. 2660 del 9/10/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 274912; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, Stranieri, Rv. 232892; Sez. 1, n. 36302 del 21/9/2005, COGNOME, Rv. 232114). Va, infatti, verificata, a mente dell’art. 41-bis, comma 2, cit., la «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati, «anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati, in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’inte dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto. Mentre si sottolinea che il mero decorso
del tempo non costituisce da solo elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra.
Il perimetro e le modalità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti ministeriali previsti dalla disposizione in commento, circoscritto nel testo attuale del comma 2 -sexies alla verifica della “sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento” sono stati precisati da numerosi interventi della Corte costituzionale.
4.1. Con riferimento ai provvedimenti di applicazione del regime differenziato, il Giudice delle leggi ha affermato la loro piena sindacabilità, ad opera del giudice ordinario, e precisamente del Tribunale di sorveglianza adito col reclamo di cui all’art. 14 -ter Ord pen., sia sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti Der tale applicazione e della congruità della relativa motivazione, sia sotto il profilo del rispetto – n contenuto delle misure restrittive disposte – dei limiti del potere ministeriale: tanto d quelli “esterni”, collegati cioè al divieto di incidere sul residuo di libertà person spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti dell’esecuzione che toccano, anche indirettamente, la qualità o la quantità della pena detentiva da scontare o i presupposti per l’applicazione delle misure così dette extramurali, quanto di quelli “interni”, discendenti dal necessario collegamento funzionale fra le restrizioni concretamente disposte e le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza cui devono essere rivolti i provvedimenti applicativi del regime differenziato, nonché dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e dall’obbligo di non vanificare la finalità rieducativa della pena (sentenza Corte cost. n. 376 del 1997 che, espressamente richiama le precedenti pronunce n. 349 del 1993 e n. 351 del 1996; e più, di recente, n. 186 del 2018 e n. 97 del 2020).
4.2. Con riguardo ai provvedimenti di proroga del regime differenziato, la Corte costituzionale è pervenuta a conclusioni dello stesso tenore, esplicitamente avallando la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo le modifiche apportate all’art. 41 -bis Ord. pen dalla legge n. 279 del 2002 e dalla legge n. 94 del 2009. Essa, dapprima, nell’esaminare le conseguenze dell’introduzione al comma 2 -bis cit. dell’inciso «purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno» (oggi soppresso), ha escluso che nella verifica dei presupposti possa operarsi una inversione dell’onere della prova (nello stesso senso Sez. 1, n. 15283 del 30/3/2006, COGNOME Rv. 234844; Sez. 1, n. 41316 del 23/9/2009, COGNOME, Rv. 245048), ribadendo che il provvedimento di proroga deve contenere un’adeguata motivazione sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali (nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 1, n. 48396 del 6/10/2011, Lucchese, Rv. 251583) e che, conseguentemente, «in sede di controllo giurisdizionale spetterà al giudice verificare in concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di
ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale» (sentenza n. 417 del 2004). Successivamente, nel considerare infondata la censura relativa all’asserita cancellazione di ogni controllo di legalità, da parte del Tribunale di sorveglianza, sui contenuti del provvedimento ministeriale applicativo delle prescrizioni dettate dall’art. 41-bis, comma 2-quater, della legge n. 354 del 1975, nel testo modificato dalla legge n. 94 del 2009, con conseguente violazione degli artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, ha precisato, sulla base di ricostruzione sistematica delle norme dell’ordinamento penitenziario, che le proroghe – a prescindere dalla soppressione’ nella disciplina del reclamo di cui al comma 2-sexies cit. contro il decreto applicativo del regime speciale, del riferimento al controllo sulla congruità di contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza – al pari di tutti i provvedimenti adottati ne confronti dei detenuti lesivi di posizioni giuridiche che, per la loro stretta inerenza all persona umana, sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, continuano ad essere reclamabili con lo strumento generale previsto dall’art. 14-ter Ord. pen. davanti al giudice dei diritti e cioè al giudice ordinario ai sensi dell’art. della Costituzione (C. Cost., sentenza n. 190 del 2010). Il sindacato giurisdizionale attivato dai detenuti attraverso tale rimedio, proprio perché funzionale alla tutela di diritti soggettivi, si estende «non solo alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto di questo», con la conseguenza che «eventuali misure illegittime, lesive dei diritti del detenuto’ dovranno perciò essere a questi fini disattese, secondo la regola generale per cui il giudice dei diritti applica i regolamenti e gli atti dell’amministrazione solo in quanto legittimi» (C. Cost., sentenza n. 351 del 1996, richiamata dalla n. 190 del 2010 ).
4.3. Conclusivamente, il controllo da parte del Tribunale di sorveglianza, adito in sede di reclamo avverso i provvedimenti di proroga del regime differenziato, lungi dal costituire un sindacato di mera legittimità sulla congruità della motivazione, come tale limitato alla valutazione della correttezza, logica e giuridica, del provvedimento reclamato, è, invece, volto a verificare la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti normativi di cui all’art. 41-bis Ord. pen. mediante il ponderato apprezzamento dell’intero materiale probatorio raccolto: quindi, non solo degli elementi fattuali posti a fondamento del decreto ministeriale, ma anche di quelli, eventualmente allegati dal reclamante o comunque emersi dall’istruttoria, al fine di riscontrarne, con congrue e pertinenti argomentazioni critiche sulle contrapposte prospettazioni, la idoneità dimostrativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, cit.; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, cit.; Sez. 1, n. 22721 del 26/3/2013, Di Grazia, Rv. 256495).
Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità sulla decisione sul reclamo, circoscritto al solo vizio di violazione di legge da intendersi nel senso che il controllo ha per oggetto, oltre che l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, la mancanza di motivazione, con la precisazione che a tale vizio devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutl:o priva dei requ minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U, n. 25080 del 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224611).
Quanto agli oneri difensivi da assolvere nella presente sede di legittimità, va ribadito che, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, cligs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 5897 del 3/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419).
A tale ultimo riguardo, si è, condivisibilmente, precisato che «sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l’interpretazione del ricorso. Si ritiene, dunque, che anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen. è necessario il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso che si traduce nell’onere di puntuale indicazione da parte del ricorrente degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione delegata alla Cancelleria» (Sez. 2, n. 35164 del 8/5/2019, COGNOME, Rv. 276432).
Alla luce dei richiamati parametri ermeneutici, deve osservarsi che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha, invero, valutato correttamente gli elementi risultanti dagli atti, soffermandosi sulle circostanze già riportate nella esposizione in fatto (che qui si richiamano) e argomentando dalle stesse, con motivazione congrua, la sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato.
Di contro, il ricorso si presenta connotato da assoluta genericità.
Ed invero, in esso si lamenta la mancata acquisizione della “relazione di sintesi intramuraria” e del “programma trattamentale”, senza che, però, la difesa abbia
chiarito: a) se il tema fosse stato già dedotto nel reclamo o davanti al Tribunale di sorveglianza; b) il carattere di decisività degli atti da acquisire, nell’ottica di eventuale ribaltamento della decisione.
Il ricorso, poi, pecca sotto il profilo dell’autosufficienza, poiché ad esso non risultano allegati gli atti la cui mancata acquisizione si è inteso contestare.
Infine, va rimarcato che la prospettazione difensiva si rivela, nella sostanza, inficiata da travisamento, poiché, a pag. 4 dell’ordinanza impugnata, il Tribunale fa esplicito riferimento proprio alla relazione comportamentale redatta in data 4 febbraio 2023 dai responsabili della RAGIONE_SOCIALE Milano-Opera, il che necessariamente implica la presupposta acquisizione dell’atto.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, dal che consegue la condanna del proponente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente