Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15835 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15835 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Palermo il 10/01/1953 avverso l’ordinanza del 31/10/2024 del Tribunale di Sorveglianza di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza in data 31 ottobre 2024, ha rigettato il reclamo avverso il decreto ministeriale del 6 settembre 2023 di proroga del regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. già disposto nei confronti di NOME COGNOME.
Il Tribunale valorizza il ruolo e la figura di COGNOME, il contenuto dei pareri quanto all’assenza di elementi sintomatici del venir meno dell’associazione che non risulta disarticolata, il fatto che dall’osservazione carceraria non risulta un percorso di dissociazione e, in concreto, il tenore di una conversazione intercettata
nell’anno 2005 nella quale NOME COGNOME ribadiva che NOME da detenuto continuava a esercitare i poteri di capofamiglia.
Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’interessato che, a mezzo dei difensori, ha dedotto il seguente motivo.
3.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 41 bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. Nell’unico motivo la difesa rileva che Tribunale avrebbe omesso di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti normativi che legittimano la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41 bis ord. pen. La valutazione effettuata, infatti, non tenendo in alcun conto il fatto che il ricorrente è detenuto dall’anno 1993 e omettendo di acquisire e quindi considerare gli elementi indicati dalla difesa anche quanto all’esito del processo celebrato nei confronti del figlio, sarebbe priva di effettiva consistenza e, di conseguenza, la motivazione del provvedimento impugnato risulterebbe apparente se non addirittura inesistente quanto all’effettivo, attuale e concreto pericolo che il ricorrente abbia contatti con l’esterno. Non potendo questo, d’altro canto, fondarsi su di una conversazione avvenuta nel 2005 il cui contenuto è indicato in termini riassuntivi perché il Tribunale ha immotivatamente respinto la richiesta di trascrizione integrale.
In data 17 dicembre 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in rela tione agli artt. 41-bis ord. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. evidenziando che ribunale avrebbe omesso di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti normativi che legittimano la proroga del regime detentivo.
La doglianza è infondata.
2.1. Il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dal Tribunale di Sorveglianza in materia di regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. è ammesso solo per violazione di legge (art. 41 bis, comma 2 -sexies ord. pen.).
Tale vizio, in generale, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, comprende sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296 – 01; con specifico riferimento all’art. 41 bis ord. pen. Sez. 1, n. 23538 del 20/5/2021, Fragapane, n.m.; Sez. 1, n. 48494 del 9/11/2004, Rv 230303; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303 – 01; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226628 – 01).
In questi casi, infatti, la motivazione del provvedimento impugnato è da ritenersi del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Rv 264011 – 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Rv 254893 – 01).
2.2. La situazione che si determina nel caso di omessa risposta a specifiche deduzioni difensive, d’altro canto, sempre in generale, si pone in termini differenti.
In questa specifica ipotesi, infatti, la pacifica giurisprudenza di legittimità evidenzia che l’omessa considerazione degli elementi indicati e degli argomenti contenuti in una memoria difensiva, ovvero nell’atto di impugnazione, configura un vizio di motivazione deducibile in cassazione e non una violazione di legge (cfr. Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667 – 01; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea, Rv. 272542 – 01).
La carenza di specifica risposta alle critiche esposte dalla difesa, d’altro canto, non determina alcuna nullità (in tal senso Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259488 – 01; Sez. 1, n. 31245 del 07/07/2009, COGNOME, Rv. 244321 – 01; Sez. 1, n. 45104 del 14/10/2005, COGNOME, Rv. 232702 – 01) ma può, invece, influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea, Rv. 272542 – 01) e può, pertanto, essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, potendo la motivazione risultare indirettamente viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato, in relazione alle questioni sostenute nell’atto difensivo ovvero devolute con l’impugnazione (Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667 – 01; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 29/01/2016, COGNOME Rv. 267561 – 01; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME, Rv. 252713 – 01; Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248551- 01).
Per tali ragioni, al fine della deduzione e della verifica dell’effettiva esistenza in concreto di tale vizio, quindi, si deve fare riferimento al criterio decisorio tipico della fase o del giudizio e alla decisività del tema introdotto dalla difesa, che deve
appunto essere tale da risultare idoneo a destrutturare la conclusione cui il giudice è pervenuto proprio sulla base dello standard probatorio applicato (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, COGNOME, Rv. 277220 – 01). Ciò in quanto il giudice non è comunque tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che nella motivazione indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto così presente ogni fatto decisivo, tanto che la sola ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali non costituisce vizio di motivazione valutabile in sede di legittimità (così Sez. 1, n. 6128 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259170 – 01).
2.3. In conformità con i principi generali richiamati, con specifico riferimento al procedimento di cui all’art. 41-bis ord. pen., si deve pertanto ribadire il principio per cui «in tema di trattamento penitenziario differenziato, non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260805 – 01; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230303 – 01).
In tale ipotesi, infatti, la motivazione è incompleta ma non inesistente o apparente e, non rilevando quale violazione di legge, non determina la nullità del provvedimento impugnato.
2.4. In ordine alla natura dei poteri cognitivi demandati alla giurisdizione di sorveglianza in riferimento ai provvedimenti di applicazione o di proroga del regime detentivo differenziato, d’altro canto, si deve altresì ribadire che la verifica del Tribunale di sorveglianza, in quanto organo giurisdizionale di merito, non è circoscritta al solo rispetto delle norme di legge costituenti il parametro del giudizio espresso nel decreto ministeriale (Sez. 1, Sentenza n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 281361 – 01).
Il controllo del giudice della sorveglianza, infatti, si deve estendere alla motivazione resa in riferimento alle circostanze di fatto valutate nel provvedimento ministeriale, come desunte dalle fonti compulsate, per riscontrarne la valenza e l’idoneità rappresentativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata e della sua pericolosità sociale e assicurare il collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.
Proprio sotto tale profilo si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità, riguardante il solo vizio di violazione di legge sostanziale e processuale e quindi esercitabile, quanto alla legalità della decisione sul reclamo, in riferimento ai parametri normativi che regolano il procedimento e la materia e alla presenza di motivazione, reale ed effettiva, senza potersi addentrare in considerazioni sul materiale probatorio, la sua corretta valutazione e la logicità del procedimento inferenziale che ha condotto alla decisione, né poter prendere in esame, per quanto già esposto, eventuali profili di illogicità o contraddittorietà della motivazione.
Ciò in quanto l’accertamento che deve svolgere il Tribunale ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis ord. pen. circa l’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale deve essere svolta tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata e si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (Sez. 1, Sentenza n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361 – 01; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912).
2.5. Nel caso di specie l’ordinanza oggetto di ricorso risulta corredata da motivazione effettiva e chiaramente esplicativa delle ragioni della decisione, che ha investigato i profili fattuali necessari per ravvisare la legittima proroga della sottoposizione del ricorrente al regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41bis or. pen.
Nel provvedimento impugnato il giudice della sorveglianza ha dato atto di avere considerato tutti gli elementi di fatto emersi e di avere su questi fondato il proprio giudizio prognostico in merito all’attuale e perdurante sussistenza del pericolo di mantenimento di contatti tra il ricorrente e l’organizzazione di appartenenza (Sez. 1, n. 1391 del 19/04/2016, Durali, Rv 268295 – 01; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv 253713 – 01; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, Stranieri, Rv. 232892 – 01; Sez. 1, n. 40220 del 20/10/2005, COGNOME, Rv. 232466 – 01; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, COGNOME, Rv. 232684 – 01; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, COGNOME, Rv. 232114 – 01).
La conclusione, infatti, coerentemente esposta quanto all’esistenza e operatività del clan con il riferimento alla coesione mostrata da tutti i membri, tra cui il ricorrente, che non ha posto in essere condotte dissociative né ha avviato un percorso di revisione critica, risulta ancorata agli elementi contenuti nelle note della D.I.A, della D.D.A. di Palermo e del Comando Generale dell’Arma dei
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Carabinieri, nonché nella relazione comportamentale del 20 marzo 2024 (cfr.
paginine 3 e 4 dell’ordinanza impugnata).
Senza che sul punto, d’altro canto, considerata l’efficacia dimostrativa di quelli indicati dal tribunale, possa assumere alcun rilievo il fatto evidenziato nel ricorso
che il figlio del ricorrente sia stato recentemente condannato quale “mero”
partecipe dell’associazione e non come capo o promotore. Risultando anzi tale elemento estremamente significativo dei persistenti rapporti tra stretti congiunti
del ricorrente e la criminalità organizzata e, pertanto, dell’autorità che ancora gli viene riconosciuta in tale ambito per cui anche il fatto che la conversazione indicata
è avvenuta nell’anno 2005 diventa del tutto secondario.
3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23 gennaio 2025
Il Consigligre relatore
Pfesidente