Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14671 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14671 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GIOIA TAURO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità d ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 07 luglio 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della Giustizia emesso il 11 luglio 2022, di proroga della sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis Ord.pen. sul presupposto del suo permanente inserimento nella omonima cosca di appartenenza, tuttora attiva.
Il Tribunale ha ritenuto legittimamente emesso il decreto ministeriale, dal momento che la proroga della sottoposizione del detenuto al regime differenziato non richiede, diversamente dalla valutazione della legittimità della prima applicazione dello stesso, la prova della capacità di relazionarsi con l’organizzazione esterna nel regime penitenziario ordinario, ma richiede l’accertamento che tale capacità non sia cessata per fatti sopravvenuti, come il venir meno dell’operatività della cosca e del legame associativo, o la cessazione di ogni ruolo da parte del detenuto. In particolare, non è richiesta la prova della effettività e attualità dei contatti con i sodali, ma solo l’attualità della capacità mantenerli o attivarli, dedotta dagli elementi indicati dalla norma stessa. Gli indizi rilevanti di tale pericolo sono costituiti dal ruolo apicale rivestito dall’ist all’interno della sua omonima cosca, ruolo che non è mutato nel tempo stante anche la base familistica di quest’ultima, dalle recenti indagini che hanno accertato la attuale commissione di gravi delitti da parte di membri del clan, e dall’assenza di un percorso di rivisitazione critica delle proprie condotte criminose da parte del detenuto.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, attraverso un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione.
L’ordinanza impugnata non ha risposto alle censure sollevate con il reclamo, e contiene una motivazione solo apparente. Il Tribunale ha ripetuto le affermazioni del decreto ministeriale, circa l’esito dell’indagine denominata “Mediterraneo”, senza prendere atto delle dichiarazioni rese, in quel procedimento, da vari collaboratori di giustizia, che hanno ridimensionato il ruolo del ricorrente e della cosca stessa, e si è basato solo sul dato formale della sopravvenuta condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis, comma 2, cod.pen. Tale condanna, peraltro, attesta il ruolo da lui ricoperto in epoche passate, già valutate in occasione della emissione dei precedenti decreti di proroga, ma non è significativa della sua attuale capacità di mantenere i contati con l’associazione di appartenenza.
Il Tribunale non ha fondato la sua valutazione sui criteri indicati dal legislatore, quali il profilo criminale del detenuto, la perdurante vitalità pericolosità dell’associazione, le sopravvenienze giudiziarie, il risultato dell’osservazione carceraria, il tenore di vita dei familiari: tali criteri non so stati esaminati, o lo sono stati ma con valutazioni contraddittorie. Il decreto ministeriale e le informative esaminate dal Tribunale non contengono elementi da cui dedurre che il ricorrente ha continuato a gestire e dirigere le attività del clan, ma parlano solo delle attività svolte, all’esterno, da alcuni suoi familiari. L’ordinanza è errata perché desume da queste condotte e dal ruolo apicale ricoperto in passato dal ricorrente la sua attuale pericolosità, con un automatismo da sempre ritenuto illegittimo. Manca, quindi ogni concreta ed effettiva valutazione circa l’attualità della pericolosità del ricorrente.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e generico, nonché meramente reiterativo dei motivi del reclamo esaminati in modo approfondito dal Tribunale di sorveglianza, e deve perciò essere dichiarato inammissibile.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il Tribunale ha fondato la sua decisione sulla valutazione della sussistenza dei criteri indicati dal legislatore e dalla giurisprudenza di legittimità, e richiamati nel ricorso stesso. Ha valutato, infatti, la permanente operatività della cosca di appartenenza, dimostrata da operazioni di polizia e dall’esecuzione di misure cautelari compiute sino al 2023, anche nei confronti di familiari del ricorrente. Ha ribadito la rilevante caratura criminale dello stesso, dimostrata dalle condanne da lui riportate e dal ruolo apicale da lui sempre ricoperto all’interno della cosca, nonché ha richiamato gli accertamenti che, in passato, hanno permesso di verificare che egli dettava ordini attraverso i colloqui con i familiari. Infine h preso atto della mancanza di un suo pentimento e dell’assenza di qualunque manifestazione di resipiscenza, dal momento che continua a definire i delitti commessi come semplici “errori di gioventù”, e della sua negativa condotta carceraria, connotata da numerose violazioni.
Tale motivazione risulta quindi non apparente, ma dettagliata e approfondita, nonché conforme ai principi di questa Corte, secondo cui «Ai fini
della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un “clan” camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice)» (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, Rv. 274912; Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, Rv. 279221).
Il ricorso, invece, non si confronta con detta motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto lamenta la mancata indicazione di elementi che dimostrino l’attualità dei contatti del ricorrente con la cosca di appartenenza e la prosecuzione del ruolo apicale ricoperto in passato, mentre l’ordinanza ha applicato correttamente i principi sopra richiamati, relativi in particolare alla non necessità della individuazione di elementi nuovi, essendo sufficiente, per la proroga del regime penitenziario differenziato, la permanenza della già accertata situazione di pericolo del ripristino di tali contatti, rilevando anche l’assenza di indici dimostrativi del sopravvenuto venir meno di tale pericolo, indici non evidenziati neppure dal ricorrente.
Deve, pertanto, ribadirsi che «L’impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità» (Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 236945; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, in misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 21 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente