Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19782 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19782 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CETRARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 26 ottobre 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto ministeriale emesso in data 12 febbraio 2023 con cui il Ministro della Giustizia gli ha applicato la proroga per due anni del regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41-bis Ord.pen.
Il Tribunale ha affermato che, ai fini della, legittimità del provvedimento di proroga, non è necessaria la prova della esistenza di contatti con il clan di appartenenza, ma è sufficiente il pericolo di ripristino di tali contatti. Non è necessario neppure che vengano indicati elementi nuovi o diversi rispetto alla prima applicazione del regime differenziato, essendo sufficiente valutare la permanenza del pericolo attuale di collegamento con la criminalità organizzata, secondo gli indici esposti dalla legge n. 94/2009. Nel presente caso gli elementi rilevanti sono la permanente operatività della cosca, l’inserimento in essa del reclamante sin dagli anni ’90, il ruolo apicale da lui ricoperto al suo interno, l’assenza di segni di resipiscenza e di definitivo allontanamento dalle logiche criminali.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME AVV_NOTAIO COGNOME, per mezzo dei suoi difensori AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la mancanza di motivazione in relazione al reclamo.
Il Tribunale si è limitato ad elencare elementi che non dimostrano la sua perdurante pericolosità ed il pericolo di ripristino dei contatti con la originaria cosca di appartenenza, adagiandosi sulle affermazioni del decreto ministeriale stesso, senza fornire una motivazione autonoma e, in particolare, senza rispondere alle censure formulate nel reclamo.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 41-bis Ord.pen. e 14-ter d.lgs. n. 159/2011 (rectius Ord.pen.)
L’ordinanza omette di valutare l’attualità della sua pericolosità sociale, efonda la decisione solo su una presunzione di pericolosità derivante dalla asserita indissolubilità del patto associativo criminoso. Tale pericolosità, però, deve essere accertata con riferimento alla sua attualità, mentre le informazioni poste la base del decreto ministeriale di proroga sono le stesse sulla base delle quali il regime differenziato è stato applicato. Il ricorrente non risulta coinvolto nelle indagini succedutesi negli anni 2015/2022, ha partecipato all’opera rieducativa, ha tenuto una condotta carceraria corretta, e la sua famiglia ha un tenore di vita
normale. Non vi sono elementi che dimostrino la stabilità del vincolo associativo e il decorso del tempo, essendo egli sottoposto al regime differenziato da dodici anni, se non è sufficiente per escludere la sua pericolosità, impone però una valutazione più approfondita circa la sussistenza degli indici sintomatici del suo permanente inserimento nella cosca.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’art. 41-bis, comma 2 sexies, Ord.pen. stabilisce che il ricorso avverso il provvedimento di applicazione o di proroga del regime differenziato è proponibile solo per violazione di legge, mentre il ricorrente ha sollevato, con entrambi i motivi, solo questioni inerenti la completezza della motivazione dell’ordinanza impugnata.
Costituisce un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la limitazione dei motivi del ricorso alla sola violazione di legge deve essere interpretata nel senso che il controllo è esteso, in ogni caso, alla mancanza di motivazione, vizio idoneo ad integrare la violazione dell’art. 125 cod.proc.pen. e dello stesso art. 41-bis, comma 2-sexies, Ord.pen., che stabilisce che la decisione del tribunale di sorveglianza deve riguardare la sussistenza dei presupposti per l’adozione del decreto ministeriale. E’ notorio, poi, che alla mancanza di motivazione, come assenza grafica della stessa, equivale la sua mera apparenza, che ricorre quando essa risulta del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, ovvero non rende comprensibile la ratio decidendi (Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Rv. 230303), o, infine, «omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio» (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284)
Con riferimento allo specifico oggetto del ricorso, deve ribadirsi che, secondo il consolidato principio di questa Corte, ai fini della proroga dell’applicazione del regime penitenziario differenziato la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (vedi Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, Rv. 27922; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, Rv, 276483; Sez. 1,
n. 18791 del 06/02/2015, Rv. 263508). La proroga del regime differenziato, peraltro, postula l’accertamento della persistenza della capacità del detenuto di tenere contatti con l’associazione criminosa di appartenenza, non l’effettivo mantenimento di tali contatti, che possono essere stati interrotti proprio dall’applicazione del regime stesso.
La persistenza di tale pericolo di ripresa o mantenimento dei collegamenti deve essere verificata sulla base degli indici di pericolosità esposti dalla legge n. 94/2009, non necessariamente compresenti, quali l’attuale operatività della cosca, il ruolo apicale del ricorrente e il suo profilo criminale, l’assenza di resipiscenza. Come già affermato da questa Corte, «l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale … si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un “clan” camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice)» (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, Rv. 274912). Inoltre, il mero decorso del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato o la corretta condotta carceraria non sono indici rilevanti della cessazione del pericolo di ripristino o di mantenimento dei contatti con l’associazione di riferimento, né del venir meno della pericolosità sociale del condannato (Sez. 1, n. 32337 del 03/07/2019, Rv. 276720).
L’ordinanza impugnata si è conformata a questi principi, ed ha fornito una motivazione adeguata in ordine ai motivi del reclamo, fondata su argomentazioni logiche e non contraddittorie. Essa, infatti, ha esaminato dettagliatamente gli elementi di fatto indicati nel provvedimento dell’autorità amministrativa, da cui è desumibile la persistenza del pericolo di un ripristino dei collegamenti con il suo clan di appartenenza, pericolo tale da legittimare la proroga disposta. Ha, in particolare, valutato le questioni poste dal ricorrente quanto alla sua ancora attuale pericolosità, come indicata nel decreto ministeriale impugnato, e ne ha confermato la sussistenza sulla base della sua «grave biografia delinquenziale», caratterizzata dal lunghissimo inserimento nella cosca COGNOME, la sua stretta vicinanza al capo-clan, il ruolo di promotore e organizzatore delle azioni delittuose da compiere nel settore del traffico di stupefacenti, il mancato allontanamento da logiche criminali e la persistente attività della cosca, accertata dalle recenti operazioni di polizia.
SM
Il ricorso non si confronta, in realtà, con tale motivazione, in quanto si limita a riproporre, in modo generico, le considerazioni già esposte nel reclamo, contrastanti con il contenuto del decreto ministeriale e dell’ordinanza stessa, senza citare accertamenti o provvedimenti che sostengano le sue obiezioni, e a lamentare l’assenza di una valutazione autonoma degli elementi indicati nel decreto ministeriale a sostegno della decisione di proroga del regime differenziato, valutazione che invece è stata svolta approfonditamente.
Il ricorso, di fatto, mira a richiedere a questa Corte una diversa valutazione degli elementi che il Tribunale di sorveglianza ha posto a base della sua decisione. COGNOME Si deve, invece, ricordare che «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000 Rv. 216260). Esula, pertanto, dai poteri di questa Corte la formulazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, in quanto il giudizio di legittimità può riguardare solo la verifica dell’iter argomentativo esposto nel provvedimento impugnato, accertando se esso dia conto adeguatamente delle ragioni di quella decisione. Nel presente caso la motivazione risulta completa, adeguata, non illogica e non contraddittoria, nonché corretta alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali in tema di proroga del regime penitenziario differenziato, mentre è il ricorso a prospettare delle violazioni di legge, esposte in maniera generica e, comunque, manifestamente insussistenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente