Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3236 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3236 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CUTRO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30.3.2023, il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della Giustizia del 9.2.2022, con cui era stata disposta, nei confronti dello stesso, la proroga del regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen.
Avverso detta ordinanza ha proposto dichiarazione d’impugnazione, per mezzo del suo difensore, l’interessato, che ha denunciato violazione di legge in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del Decreto Ministeriale e per non avere correttamente valorizzato l’intervenuta dissociazione del COGNOME , avvenuta con missiva del 18/01/2021, e ribadita con ulteriore missiva del 22/08/2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
L’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. Pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, e da ultimo dall’art. 2, comma 25, lett. d), legge 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni, quando “risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
2.1. L’ambito del sindacato devoluto a questa Corte è segnato dal comma 2sexies del novellato art. 41-bis, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge.
2.2. Nella specie, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha proceduto, con corretta interpretazione ed esatta applicazione dei principi di diritto in materia, alla verifica della permanenza dei dati indicativi della capacità di collegamento del ricorrente con la criminalità organizzata, evidenziando gli elementi sui quali ha fondato la valutazione della pericolosità del medesimo e della legittimità e fondatezza dell’applicazione, in proroga, della misura in oggetto.
Il Tribunale ha, al riguardo, congruamente motivato – con richiamo alle più recenti informative degli organi preposti e con riferimento ai dati processuali – sia con riferimento alla qualificata ed immutata pericolosità sociale del condannato derivante dalla posizione apicale rivestita dal ricorrente nel sodalizio (‘ndrangheta operante in Emilia Romagna) e alla sua biografia penale, sia in relazione all’attualità del pericolo, risultando lo stesso concretamente in grado – nonostante il regime più severo in atto –
di mantenere contatti con il predetto sodalizio, attualmente operante come risulta dalle recenti operazioni investigative che lo hanno coinvolto; quanto alle valutazioni effettuate dal Tribunale (pagg. 4-6) in ordine alla dedotta dissociazione del COGNOME, le doglianze difensive non superano il vaglio dell’ammissibilità, attenendo a profili di fatto non deducibili in questa sede.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, condotta nel rispetto dei principi di legge, come interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di legittimità di questa Corte, nonché in conformità a logica argomentativa coerente e lineare, si sottrae alle non fondate quanto generiche censure proposte dal ricorrente, solo formalmente anche sulla base di assunte violazioni di legge, ma sostanzialmente su profili di merito o di motivazione non proponibili in questa sede.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023.