Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30976 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30976 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMENOME nato a Taurianova il DATA_NASCITA
con ordinanza emessa il 12/04/2024 dal Tribunale di sorveglianza di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 aprile 2024 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo presentato da NOME COGNOME avverso il decreto di proroga del regime detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), per la durata di due anni, al quale il ricorrente risultava sottoposto dal 7 ottobre 2015, che era stato emesso nei suoi confronti dal Ministro della Giustizia il 25 settembre 2023.
Secondo il Tribunale di sorveglianza di Roma, il regime detentivo speciale di cui si controverte era giustificato da una pluralità di elementi, riconducibil all’inserimento del condannato in una posizione apicale nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, facente parte della criminalità oroanizzata attiva nel traffico di sostanze stupefacenti e collegata all’ambiente ‘ndranghetistico reggino, all’interno della quale la sua famiglia, storicamente, svolgeva un ruolo egemonico.
La sottoposizione di NOME COGNOME al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., al contempo, si imponeva in conseguenza della gravità dei reati per i quali era stato condannato – riguardanti, tra l’altro, i delitti associazione finalizzata al narcotraffico, commessi tra il 2011 e il 2015 -, che risultavano connessi alla sfera di operatività della RAGIONE_SOCIALE in cui, da tempo, gravitava, rispetto alla quale assumevano un rilievo altamente sintomatico le condanne riportate dal ricorrente, che ne attestavano il ruolo consortile.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME, a mezzo degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente alla ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., che erano stati valutati dal Tribunal di sorveglianza di Roma con un percorso argomentativo connotato da apparenza e contrastante con le risultanze processuali, che imponevano di escludere il ruolo consortile egemonico del ricorrente all’interno della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sul quale la decisione censurata si era soffermata in termini svincolati dalle acquisizioni documentali.
Si deduceva, in proposito, che il Tribunale di sorveglianza di Roma non si era confrontato con le censure difensive e aveva disatteso le emergenze processuali, che non consentivano di formulare un giudizio di attualità dei legami di NOME COGNOME con l’ambiente ‘ndranghetistico collegato al traffico di sostanze stupefacenti, attesa l’inconsistenza degli elementi sintomatici richiamati
nella decisione censurata e il lungo periodo di carcerazione patito dal ricorrente, che risultava sottoposto al regime differenziato speciale in esame dal lontano 2015.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile, risultando incentrato su motivi manifestamente infondati.
Osserva preliminarmente il Collegio che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione, nelle ipotesi di applicazione o proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., è stabilito dal comma 2-sexies della stessa disposizione, a norma del quale il procuratore AVV_NOTAIO presso la corte di appello, l’internato ovvero il difensore del detenuto possono proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di sorveglianza per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge comporta che il controllo di legittimità riguardi l’inosservanza di disposizioni di leg sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che firisce per privare il provvedimento impugnato dei requisiti prescritti dall’art. 41-bis, comma 2sexies, Ord. pen., a tenore del quale il Tribunale di sorveglianza di Roma, sul reclamo presentato dal detenuto, decide «in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 ».
In questa cornice, il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione dell’ordinanza del tribunale di sorveglianza, conformemente a quanto da tempo affermato dalle Sezioni Unite in tema di ricorsi per cessazione ammessi per le sole violazioni di legge (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611 – 01), comprende, oltre all’ipotesi, meramente scolastica, di un provvedimento totalmente privo di giustificazione, ma dotato del solo dispositivo, tutti i casi i cui la motivazione risulti sprovvista dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito. A queste patologie motivazionali devono essere equiparate le ipotesi in cui le linee argomentative del provvedimento relativo al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen. siano talmente scc:iordinate e carenti dei necessari
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passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione relativa al regime detentivo speciale controverso (tra le altre, Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2004, Trigila, Rv. 260805 – 01; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, COGNOME, Rv. 226628 – 01; Sez. 1, n. 45723 del 24/10/2003, COGNOME, Rv. 226035 – 01).
Deve, invece, escludersi che le violazioni di legge censurabili in questa sede, relativamente ai provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., possano comprendere i vizi di illogicità e di contraddittorietà della motivazione, che non possono trovare spazio giurisdizionale, presupponendo tali censure l’esistenza di un provvedimento dotato di una struttura argomentativa, che è incompatibile con la patologia processuale in esame (tra le altre, Sez. 1, n. 4428 del 14/01/2009, Riedo, Rv. 242797 – 01; Sez. 1, n. 43010 dell’11/10/2005, COGNOME, Rv. 232706 – 01; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303 – 01).
Tali parametri sono stati più volte ribaditi da questa Corte, che, tra l’altro, ha affermato il seguente principio di diritto: «Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41-bis Ord. pen. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 267248 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361 – 01; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, COGNOME, Rv. 256495 – 01).
In questa cornice ermeneutica, deve rilevarsi che il ricorso proposto da NOME COGNOME, pur denunciando formalmente la sola violazione di legge, tende a provocare una, inammissibile, rivalutazione degli elementi di giudizio posti a fondamento dell’ordinanza censurata, che appaiono esaminati nel rispetto dell’art. 41-bis Ord. pen.
Il Tribunale di sorveglianza di Roma, invero, valutava correttamente il compendio informativo posto a fondamento del decreto di proroga emesso dal Ministro della Giustizia il 25 settembre 2023, con cui si confrontava con una motivazione congrua, soffermandosi analiticamente sull’attualità dei collegamenti consortili esistenti tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, storicamente legata al traffico di sostanze stupefacenti e attiva nell’area di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Si evidenziava, in proposito, che il ricorrente, forte dei suoi legami consolidati con il vertice della RAGIONE_SOCIALE, attualmente rappresentato dal nipote, NOME COGNOME, doveva ritenersi un esponente storico della criminalità organizzata attiva nell’area di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che, da tempo, gestiva i traffici di sostanze stupefacenti collegati al porto cittadino comprovati dalle condanne per le quali il ricorrente risultava detenuto, irrogategli, tra l’altro, per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico procedimenti penali denominati “Puerto Liberado” e “Gentlemen”, che riguardavano l’arco temporale compreso tra il 2011 e il 2015.
Né il periodo, pur consistente, di carcerazione patito da COGNOME possiede una valenza decisiva, ai fini del vaglio della proroga censurata ex art. 41-bis, comma 2-sexies, Ord. pen., dovendosi valutare la posizione del detenuto in un più vasto ambito prognostico, rispetto al quale assumono rilievo differenti indicatori sintomatici, in linea con quanto costantemente affermato da questa Corte, secondo cui: «Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 è necessario accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione RAGIONE_SOCIALE non sia venuta meno, accertamento che deve essere condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri quali il profilo RAGIONE_SOCIALE, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che devono essere considerati mediante l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualità del pericolo di collegamenti con l’esterno, non neutralizzata dalla presenza di indici dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo» (Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253713 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01; Sez. 1, n. 14551 del 03/03/2006, COGNOME, Rv. 233944 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si muove, a ben vedere, in questa direzione la missiva inviata al ricorrente da un suo congiunto, NOME COGNOME, menzionata nella nota della RAGIONE_SOCIALE dell’Il settembre 2023 e richiamata dal Tribunale di sorveglianza di Roma, con cui il mittente manifestava la sua immutata vicinanza al ricorrente, nonostante la sua carcerazione; disponibilità espressa con la frase “non mi dimentico di te e sono a disposizione per te e per la tua famiglia”.
Non è, per altro verso, possibile dubitare della persistente operatività della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella quale il ricorrente gravitava da diversi anni, che risultava attestata dalle note informative richiamate dal Tribunale di sorveglianza di Roma, nelle quali si dava atto delle numerose operazioni di
polizia eseguite in tale ambito e che la famiglia del ricorrente continuava a svolgere un ruolo egemonico nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti gestito nell’area di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Basti, in proposito, richiamare gli esiti de procedimento penale denominato “Tre Croci”, citato nelle pagina 2 e 3 del provvedimento impugnato, nel quale risultava imputato anche il nipote, NOME COGNOME, di cui si è già detto, da cui emergeva che il predetto congiunto era «imputato per aver organizzato la medesima attività illecita svolta dal padre e dal reclamante, agevolando le organizzazioni di ‘ndrangheta che operano sul territorio », in conseguenza della quale si affermava che «la famiglia COGNOME è ancora attiva continuando a proseguire i traffici illeciti, conservando i pieno controllo del porto e continuando a disporre di operatori portuali compiacenti».
Occorre evidenziare ulteriormente che’ tenuto conto della consolidata posizione del ricorrente nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nel quale aveva anche ricoperto ruoli apicali, eventuali modifiche degli assetti organizzativi della RAGIONE_SOCIALE e dei suoi organismi di vertice non possono assumere alcun rilievo in senso favorevole al detenuto. La modifica degli assetti consortili, infatti non incide sul ruolo associativo svolto da COGNOME in seno al RAGIONE_SOCIALE nel corso degli anni e, soprattutto, non consente, ex se, di ritenere attenuato il giudizio di pericolosità sociale sotteso all’originar applicazione del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., tenuto conto dell’importanza e della risalenza del contributo fornito dal reclamante al sodalizio in questione.
Ricostruito in questi termini il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di sorveglianza di Roma, il provvedimento impugnato appare conforme al compendio informativo acquisito nei confronti di NOME COGNOME e rispettoso dei parametri affermati dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., secondo cui: «Ai fini della proroga del regime di detenzione differenziata ai sensi dell’art. 41-bis L. 26 luglio 1975 in. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario) non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della RAGIONE_SOCIALE di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario» (Sez. 1, n. 47521 del 02/12/2008, Rogoli, Rv. 242071 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263508 – 01; Sez. 1, n. 5842 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 242784 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 luglio 2024.