Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6230 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6230 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 01/10/1966
avverso l’ordinanza del 27/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME Sostituta Procuratrice generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 giugno 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto dal detenuto in espiazione pena NOME COGNOME avverso il decreto emesso dal Ministro della Giustizia il 9 ottobre 2023, concernente la proroga, nei confronti del reclamante, del regime detentivo differenziato disciplinato dall’art. 41-bis ord. pen.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con atto volto ad ottenere l’annullamento del suddetto provvedimento del Tribunale di sorveglianza.
Il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 41-bis I 26 luglio 1975, n. 354, ord. pen., e degli artt. 125 e 666 cod. proc. pen. Secondo la difesa, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma merita censura per aver violato i precisi oneri di verifica che gravavano sul giudicante rispetto al contenuto del decreto ministeriale di proroga della sottoposizione di NOME COGNOME al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis I. 26 luglio 1975, n. 354, ord. pen. Il Tribunale di sorveglianza avrebbe costruito una motivazione non basata sulla doverosa valutazione, in riferimento all’attualità, dei presunti sintomi di pericolosità che la norma richiede perché si possa prorogare il regime detentivo speciale.
La difesa richiama la giurisprudenza di legittimità e afferma che nel caso in esame essi non sono stati rispettati, perché dall’ordinanza impugnata emergerebbe l’insussistenza dei presupposti legittimanti la proroga, che sarebbero stati valutati ivi in forma solo apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. L’art. 41-bis, comma 2-bis, ord. pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, e da ultimo dall’art. 2, comma 25, lett. d), legge 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno
pari a due anni, quando “risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto a questa Corte è segnato dal comma 2-sexies del novellato art. 41-bis ord. pen., a norma del quale il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (tra le altre, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Rv. 224611).
1.2. Nel caso concreto ora in esame, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha compiuto, sulla base di corretta interpretazione ed esatta applicazione delle norme e dei principi di diritto in materia, la verifica della permanenza dei dati indicativ della capacità di collegamento di NOME COGNOME con la criminalità organizzata, evidenziando gli elementi sui quali sono fondate le valutazioni in ordine alla pericolosità di costui e alla legittimità e fondatezza della proroga della misura in oggetto.
Tutti i presupposti per la proroga, con riferimento all’elevatissima pericolosità sociale del condannato e alla intatta capacità di collegamento con gli ambienti criminali di riferimento, ancora operanti e in ogni caso suscettibili di rigenerarsi, sono stati ritenuti persistenti.
Il Tribunale di sorveglianza ha chiarito, fra l’altro, che il decorso dell’ulterior tempo rispetto all’ultimo provvedimento di proroga non ha visto l’emersione di alcun fatto nuovo, in carenza di effettiva dissociazione dall’ambiente criminale predetto e in costanza di operatività dell’associazione di riferimento, non essendo mutate le capacità di collegamento del detenuto al gruppo.
La motivazione non può ritenersi apparente, né carente su alcun punto decisivo: non si configura, pertanto, un vizio di violazione di legge.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, resa nel rispetto dei principi di legge, come interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di legittimità, nonché in conformità a logica argomentativa coerente e lineare, non è colpita dalle
non fondate censure proposte dal ricorrente, solo formalmente ricollegate ad assunte violazioni di legge, ma sostanzialmente riguardanti profili di merito o di motivazione non proponibili in questa sede.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 6 novembre 2024.