Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26602 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26602 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/12/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma con ordinanza in data 10 dicembre 2023 rigettava il reclamo proposto da COGNOME NOME avverso il decreto del Ministro di Giustizia del 26 aprile 2023 che prorogava nei suoi confronti il regime di cui all’art. 41 bis O.P.
A fondamento del rigetto il Tribunale osservava che il decreto di proroga aveva evidenziato come il gruppo di appartenenza del COGNOME fosse ancora attivo e presente sul territorio; come non vi fossero elementi che facciano ritenere venuto meno il ruolo o la posizione dell’internato all’interno dell’organizzazione; come egli, nel corso della detenzione, abbia continuato a svolgere funzioni direttive delle famiglie mafiose, come, infine, sia mantenuto dal reggente della famiglia COGNOME.
Pur essendo, infatti, la sua condotta regolare e pur dedicandosi egli ai progetti intramurari, nel prorogare di un anno la misura di sicurezza detentiva, il Magistrato di sorveglianza di Udine, nel prorogare per un anno la misura di sicurezza detentiva, aveva evidenziato l’assenza di una reale revisione critica del passato e il senso di riconoscenza nei confronti dei sodali che lo hanno sempre sostenuto nel corso degli anni.
Nel reclamo, respinto, il COGNOME lamentava la mancata considerazione dei progressi trattamentali, la circostanza che il figlio NOME si trovasse in libertà vigilata e svolgesse regolare attività lavorativa e che a moglie fosse stata assolta dal reato di truffa ai danni dello Stato.
Il Tribunale di sorveglianza riteneva che le informazioni riportate nel decreto fossero più che sufficienti a sorreggere la proroga del regime di 41 bis, posto che ciò che deve essere valutato non è l’attualità dei contatti con la criminalità organizzata quanto, piuttosto, la qualificata capacità del detenuto di riprendere i vincoli associativi all’interno del carcere o della casa di lavoro e tale capacità non viene meno per il mero decorso del tempo.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso COGNOME NOME, lamentando la violazione dell’art. 41 bis OP nonché dell’art. 125 cod. proc.pen.
Secondo il ricorrente, nell’impugnato provvedimento difetterebbero i presupposti legittimanti la proroga; il Tribunale di sorveglianza non si sarebbe confrontato con la particolare p·Szione del COGNOME, internato in regime di art. 41 bis OP da cinque anni, non avrebbe valutato, altresì, la risalente condotta delinquenziale, la definitiva espiazione della pena fin dal 2019, la riqualificazione della posizione dello stesso all’interno della organizzazione, l’assenza di nuove incriminazioni, le allegazioni positive circa il nucleo familiare, la condotta
A)
intramuraria positiva, l’impegno costante nel lavoro nel corso della esecuzione della misura di sicurezza.
Il Tribunale di sorveglianza non avrebbe neppure valutato le quattro relazioni comportamentali relative all’osservazione del ricorrente; da un lato, dunque, l’ordinanza conterrebbe una valutazione della pericolosità non aggiornata e, dall’altro, non avrebbe considerato gli elementi positivi attinenti il nucleo familiare di provenienza.
La motivazione, dunque, sarebbe inidonea a consentire la proroga del regime in oggetto, poiché il Tribunale di Sorveglianza non avrebbe vagliato, in aperto contrasto con quanto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, la capacità del soggetto in stato detentivo di mantenere contatti e impartire ordini verso l’esterno.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il AVV_NOTAIO Generale concludeva per il rigetto del ricorso in difetto di allegazione degli atti rilevanti segnatamente delle quattro relazioni comportamentali cui il ricorrente ha fatto riferimento.
CONSIDERATO IN DIRMO
Come evincibile dal ricorso e dal provvedimento impugnato, COGNOME NOME è soggetto internato presso la Casa Circondariale di Tolmezzo in esecuzione della misura di sicurezza della casa di lavoro, e al medesimo è stato prorogato per due anni il regime di cui all’art. 41 bis O.P.
La doverosa premessa alla disamina dei motivi di ricorso è la accertata compatibilità del regime in oggetto con lo status di internato come statuito sia da questa Suprema Corte, secondo la quale « il regime penitenziario previsto dall’art. 41-bis ord. pen. è applicabile anche agli internati cui sia stata applicata una misura di sicurezza detentiva, potendo ricorrere, nei confronti di costoro, le medesime esigenze tutelate con la sottoposizione a regime differenziato dei detenuti in esecuzione di una pena.» (Sez. 1, Sentenza n. 10619 del 27/11/2017), sia dalla Corte costituzionale che, con sent. 197/2021, ha dichiarato non fondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, commi 2 e 2-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’art. 2, comma 25, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 , in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
La motivazione posta dal Tribunale di Sorveglianza a fondamento del rigetto del reclamo e, dunque, a conferma della disposta proroga, lungi dall’essere apparente o meramente formale, è accurata, approfondita e calata nel concreto.
Il Tribunale affronta, infatti, tutti gli aspetti evidenziati dal ricorren precisando come le condizioni che legittimano la proroga del regime in oggetto lungi dall’identificarsi nella attualità dei contatti con l’organizzazione d appartenenza, si debbano individuare nella qualificata capacità del detenuto di riprendere i vincoli associativi dall’interno del carcere, ovvero nel regime di internamento.
La circostanza, evidenziata nel decreto ministeriale, che COGNOME avesse continuato a mantenere un ruolo apicale all’interno della organizzazione di appartenenza anche durante la detenzione, che egli sia mantenuto dalla famiglia di appartenenza, i cui affiliati hanno ancora un ruolo di spicco all’interno della RAGIONE_SOCIALE, costituiscono certamente elementi rilevanti al fine di valutare la permanenza del pericolo di un attuale collegamento con la criminalità organizzata.
E ciò in ossequio all’insegnamento in punto alla natura dei requisiti necessari per la proroga del trattamento in oggetto impartito da questa Corte, che ha statuito che « Ai fini della proroga del regime di detenzione differenziata, ai sensi dell’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario» (Sez. 1, Sentenza n. 24134 del 10/05/2019).
Ulteriori elementi ritenuti rilevanti solo la mancata emersione di segnali che indichino la volontà di allontanarsi dalle logiche antigiuridiche dell’organizzazione di appartenenza, peraltro ancora attiva nel panorama criminale.
L’impugnato provvedimento non si sottrae neppure al confronto con i dati relativi alla attività lavorativa del figlio, rispetto al quale osserva che egli risu avere iniziato a svolgere un lavoro dipendente solo in epoca ,molto recente.
Il decreto ministeriale oggetto del controllo del Tribunale – che ha ritenuto idonee le informazioni ivi contenute al fine di sorreggere la necessità della proroga – quanto al contenuto delle relazioni di sintesi richiamava il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Udine che, proprio in forza di tali rilievi, anziché rilevare il venire Meno della pericolosità del COGNOME, ha prorogato la misura di sicurezza.
Ciò in quanto il comportamento collaborativo e l’atteggiamento positivo, nonchè la partecipazione ai progetti intramurari nulla hanno a che fare con la
rivisitazione delle sue scelte di fondo, che rimangono inalterate, nell’ottica, cioè di una totale adesione e lealtà alle logiche criminali dell’organizzazione cui lo lega un sentimento di riconoscenza per essere stato sostenuto e supportato durante gli anni della carcerazione.
E’ evidente che tale decisione è intervenuta a valle delle quattro relazioni comportamentali redatte fra il 2020 e il 2022 il cui contenuto, con tutta evidenza, ha condotto a ritenere che la situazione personale del COGNOME fosse invariata.
La decisione del Magistrato di Sorveglianza – presa in ragione anche delle considerazioni nelle stesse espresse – ne evidenzia la irrilevanza proprio sotto il profilo indicato dal ricorrente, cioè sotto l’aspetto della revisione critica del passato e del distacco dalle condotte devianti.
Il Tribunale di Sorveglianza ha richiamato tale passaggio argomentativo del decreto ministeriale, valutando il contenuto di tali relazioni proprio per i riflessi che le stesse hanno avuto sulla valutazione fatta propria dal Magistrato di Sorveglianza, circa la revisione critica e la cesura dal passato criminale del COGNOME.
In sintesi, la motivazione del Tribunale di Sorveglianza è ampia ed esaustiva, affronta tutti i profili richiamati dal ricorrente, rilevando, inoltre, com già nel passato il COGNOME avesse mantenuto, durante la carcerazione sofferta in regime ordinario, i contatti con la consorteria criminosa di appartenenza.
La completezza della motivazione, la sua esaustività, fa emergere l’infondatezza del motivo di doglianza con il quale il ricorrente mira, in effetti, non già a denunciare un insussistente vizio di legge, o una carenza di motivazione, bensì ad ottenere una diversa valutazione delle condizioni di fatto, operazione inammissibile nella fase di legittimità.
Il ricorso deve, conseguentemente, essere rigettato con condanna del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7 maggio 2024
Il Consigliere estensore CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Il Presidente