Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3528 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3528 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati i tre motivi articolati nel ricorso proposto da NOME COGNOME e l’ordinanza impugnata.
1.Rilevato che la questione di incostituzionalità dell’art. 41 bis Ord. pen. nella parte in cui assegna al Ministro della giustizia e non all’autorità giudiziaria la competenza a disporre l’applicazione o la proroga del regime detentivo speciale prospettata dal ricorrente per violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 111 e 117 Cost., sul presupposto dell’assimilabilità dell’istituto alle misure di prevenzione personali – che sono adottate e prorogate con provvedimento, autonomamente e congruamente motivato, reclamabile davanti all’autorità giudiziaria, all’esito di un procedimento camerale partecipato – è manifestamente infondata riproponendo tematiche già risolte dal giudice delle leggi e comunque in passato affrontate e respinte da questo giudice di legittimità (cfr. sentenze Corte cost. n. 349 e 410 del 1993 e 351 del 1996 nonché Sez. 1, n. 29143 del 22/06/2020, Libri, Rv. 279792 – 01; Sez. 1 n. 3447 del 27 novembre 2017, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263508, in motivazione; sez. 1, n. 50723 del 2014)
Rilevato che, a mente dell’art. 41 bis, comma 2-sexies, Ord. pen., il Procuratore generale presso la Corte di appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza ha prorogato il regime differenziato solo per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U., n. 25080 del 28/5/2003, Pellegrino, Rv. 224611).
Rilevato che la proroga del regime detentivo differenziato può essere disposta ove sia stato accertato che la capacità del condannato di tenere contatti
con l’associazione criminale non sia venuta meno, tenuto conto di una serie di indicatori sintomatici dell’attualità del pericolo di collegamenti con l’esterno, indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis del citato articolo e non necessariamente sopravvenuti (Sez. 1, n. 2660 del 9/10/2018, dep. 2019, Vinciguerra, Rv. 274912), quali: il profilo criminale del soggetto, la posizione dal medesimo rivestita in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, anche considerata l’assenza di elementi di fatto dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo (Sez. 5, n. 40673 del 30/5/2012, COGNOME, Rv. 253713), che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 32337 del 3/7/2019, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Ritenuto che, alla luce dei richiamati parametri ermeneutici, il Tribunale di sorveglianza di Roma, valutando correttamente gli elementi risultanti dagli atti e seguendo un percorso motivazionale congruo e adeguato, ha accertato la sussistenza del pericolo, legittimante la proroga del regime differenziato, che il ricorrente, ove rimesso in regime penitenziario ordinario, possa riprendere i contatti con l’organizzazione nella quale ha a lungo militato disimpegnando un ruolo di primo piano. Sotto questo profilo, ha congruamente valorizzato in risposta ai rilievi difensivi:
la biografia criminale di COGNOME (pagg. 2, 3, 6);
il ruolo di spicco assunto e mantenuto per un lungo periodo dallo stesso all’interno del sodalizio mafioso come accertato con sentenze irrevocabili di condanna (pagg. 2, 3 e 6);
la perdurante attività del gruppo criminale, ampiamente dimostrata dalle numerose operazioni che lo hanno interessato fino ad epoca recente vari sodali, molti dei quali suoi stretti familiari , ritenuti a vario titolo partecipi dell’associazi mafiosa e destinataria di più provvedimenti applicativi di misure natura reale (pagg. 6);
il mantenimento di contatti con l’esterno del carcere attraverso il cognato indicato da un collaboratore di giustizia come il soggetto che funge da tramite tra l’odierno ricorrente e di figlio, anch’egli detenuto e l’esterno (pagg. 6 e 7);
la mancata acquisizione di elementi in qualche modo dimostrativi del mutamento del ruolo di vertice nel sodalizio o dell’avvio di un processo di revisione critica del passato deviante
Sulla base di tali dati fattuali è pervenuto alla conclusione, nient’affatto illogica, che COGNOME, in virtù del ruolo di spicco ricoperto in passato all’interno
del clan a forte carattere familistico, rappresenta, ancora oggi, anche alla luce delle più recenti attività investigative, un punto di riferimento dell’intera organizzazione. Né in senso contrario depongono i risultanti dell’osservazione inframuraria che, anzi, escludono un suo ravvedimento o un suo allontanamento dall’organizzazione criminale di comprovata appartenenza.
Ritenuto che, a fronte di tale motivazione, il ricorso si è limitato a contestazioni generiche, senza confrontarsi con il richiamato percorso giustificativo, apoditticamente considerato come del tutto mancante o apparente, mentre, per le considerazioni già espresse, esso deve considerarsi non solo presente, ma finanche adeguatamente sviluppato o, pur denunciando formalmente la violazione di legge, tende in realtà a provocare una nuova – e non consentita – valutazione del merito delle circostanze di fatto, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità.
Ritenuto che non è fondata nemmeno la doglianza con la quale si assume che non vi sarebbero “fatti nuovi” dimostranti il pericolo di collegamenti attuali del ricorrente con l’ambiente criminale d’appartenenza, giacché essa si fonda sull’errata equiparazione tra attualità, ovvero perduranza, della capacità di collegamenti con l’ambiente mafioso di provenienza e necessità che siffatto perdurante pericolo sia assistito ogni volta da “prove nuove”. Quello che la misura disposta tende a prevenire, al momento della sua applicazione, è difatti la possibilità che tali collegamenti o contatti avvengano. La legittimità della sua proroga non può, pertanto, che essere parametrata alla capacità del detenuto di riprendere detti contatti, che l’utile pregressa applicazione del regime speciale si presume, e si vuole, abbia forzosamente interrotto; quello che occorre è dunque non che vi siano fatti nuovi che dimostrino il perdurante collegamento, ma che «il pericolo che il condannato abbia contatti con associazioni criminali o eversive non è venuto meno», ovverosia che non siano elementi sopravvenuti idonei ad escludere «la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali» (cfr. sentenza Corte Cost. n. 417 del 2004).
Ritenuto che l’esercizio del diritto di difesa non è stato compromesso dalla mancata assunzione della prova testimoniale stante la genericità dell’oggetto vennero chiarito in sede di ricorso.
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
ammende. D . ,CQM€ Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Così deciso, in Roma pb GLYPH otto brO 2023.