Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47252 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47252 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESAGNE il 21/06/1966
avverso l’ordinanza del 07/06/2024 del TRIBUNALE DI RAGIONE_SOCIALE DI ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con l’adozione delle statuizioni consequenziali;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 7 giugno 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975 e succ. modd. (Ord. pen.), da NOME COGNOME -detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo, in quanto condannato per omicidio, partecipazione ad associazione di stampo mafioso e altri reati -avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 18 ottobre 2023 di applicazione del provvedimento di sospensione di alcune regole di trattamento inerente alla proroga del corrispondente regime differenziato per la durata di anni due, rispetto al precedente periodo biennale disposto dal decreto ministeriale del 21 ottobre 2021.
Il Tribunale – ricordato che COGNOME è risultato essere elemento di spicco dell’associazione mafiosa Sacra Corona RAGIONE_SOCIALE, insieme al fratello NOME, con specifico riferimento alla fazione che controlla il territorio della provincia d Brindisi, connotazione soggettiva che il decreto ministeriale aveva tenuto in conto unitamente alle pregresse vicende giudiziarie, ai titoli in esecuzione e al contenuto dei parere forniti dagli organi investigativi e giudiziari competenti, per concludere nel senso della necessità dell’applicazione del succitato regime penitenziario differenziato – ha preso atto che, con il reclamo, la difesa aveva osservato che COGNOME è detenuto dal 1993 ed è quindi estraneo ai procedimenti penali a cui aveva fatto riferimento il decreto ministeriale, che il medesimo non è stato destinatario di nessuna sopravvenienza giudiziaria negli ultimi venti anni, né nel corso della detenzione ha subìto alcun trattenimento della corrispondenza, che non andavano utilizzati i due colloqui del detenuto con la moglie citati nel decreto ministeriale o che i relativi atti avrebbero dovuto essere prima acquisiti, che le dichiarazioni accusatorie a suo carico erano prive di riscontro, mentre i collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME ne avevano, al contrario, asseverato la dissociazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Posto ciò, il Tribunale, analizzati i dati acquisiti, ha ritenuto la persistenza degli elementi univocamente sintomatici dell’attuale capacità di COGNOME di mantenere i collegamenti con l’associazione criminale di riferimento e la sussistenza di riscontri indicativi della perdurante dei gravi motivi di ordine e sicurezza legittimanti la proroga del regime differenziato disposta dal suindicato decreto ministeriale.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di COGNOME chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico, articolato motivo con cui viene dedotta l’erronea applicazione degli artt. 41-bis Ord pen.,
//(
125 e 666 cod. proc. pen., 27 Cost. e 6 CEDU.
Il ricorrente lamenta che a determinare l’impugnata decisione hanno contribuito la mancanza dei necessari approfondimenti istruttori e la carente attualizzazione dei presunti sintomi di pericolosità.
In merito a tale affermata pericolosità, la difesa deduce l’assenza di valutazione in ordine al lunghissimo periodo di continua detenzione sofferta da COGNOME e sostiene l’assenza di valore sintomatico nel senso indicato dal decreto ministeriale degli elementi istruttori acquisiti, stigmatizzando il mancato confronto con le memorie e i documenti prodotti in sede di reclamo, confermativi della mancanza di trattenimenti della corrispondenza e della sua estraneità alle dinamiche inerenti al sodalizio nelle sue susseguenti vicende.
Quanto alle violazioni di legge denunciate, si precisa che la prima riguarda l’omesso assolvimento dell’onere di verifica della congruità logica del decreto ministeriale, per il mancato accoglimento delle richieste istruttorie e il mancato confronto con le produzioni difensive; inoltre, si lamentano la mancata acquisizione dei due colloqui con la moglie citati nel decreto ministeriale, la valorizzazione impropria delle dichiarazioni, mai riscontrate, del collaboratore COGNOME in ordine al persistente ruolo direttivo del sodalizio ascritto a COGNOME, l’enfatizzazione dei delitti commessi dal medesimo, risalenti a un’epoca remota (quale l’omicidio del 1989), nonché l’omessa acquisizione dei verbali delle dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME, ex collaboratore dall’attendibilità quanto meno dubbia.
Essendo questi i connotati della situazione esaminata, la proroga del regime differenziato, secondo il ricorrente, ha perduto ogni requisito collegato all’attualità effettiva della pericolosità, essendo i riferimenti contenuti nel decreto e nel provvedimento impugnato di natura soltanto apparente, dal momento che, pur non richiedendosi il giudizio probatorio proprio del processo penale, l’obiettivo di prevenzione qui perseguito dall’ordinamento esige un giudizio prognostico fondato pur sempre su elementi concretamente verificati nella loro sintomatologia di pericolosità.
In tale prospettiva, si torna a stigmatizzare la scelta del Tribunale di non procedere alle acquisizioni istruttorie richieste dalla difesa, con riguardo, fra le altre, alle lettere che la difesa si era resa disponibile a produrre, se richieste, e all’acquisizione degli atti del processo Old generation.
Sotto altro aspetto, la difesa lamenta la pretermissione degli indici sopravvenuti di segno positivo, quali la dissociazione, da COGNOME maturata fin dal 1998, gli esiti del trattamento penitenziario, caratterizzati dall’assenza di sanzioni disciplinari e di trattenimenti della corrispondenza, il tenore di vita della sua famiglia e, in prospettiva, dello stesso COGNOME, l’assenza di Nove
incriminazioni e l’inattività del clan di provenienza.
In definitiva, secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata, da un lato, si è riferita a dati di fatto smentiti da altri provvedimenti giurisdizionali e, dall’alt ha acceduto a valutazioni meramente ipotetiche e astratte, per modo che la prognosi formulata difetta di qualsiasi attualità e concretezza.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando, in particolare, che le acquisizioni istruttorie delle quali il ricorso lamenta l’illegittima esclusione sono state evidentemente ritenute superflue dal Tribunale alla luce di opposte ed esaustive emergenze già acquisite e valutate, sottolineando che restano insuperate le considerazioni svolte nell’ordinanza impugnata in ordine alla mancanza di accertamenti relativi alla prospettata dissociazione del condannato e alla GLYPH perdurante attività dell’associazione, contestata nel ricorso, ma in contrasto con le recenti operazioni nei confronti del medesimo gruppo criminale, nonché aggiungendo che il ricorrente non si è confrontato con i rilievi contenuti nell’ordinanza impugnata circa le dichiarazioni di collaboratori di giustizia relative al perdurante (nel 2019) ruolo direttivo dei fratelli NOME e NOME COGNOME e alle minacce di morte rivolte nel dicembre 2022 da ignoti a un ex collaboratore di giustizia, indicando come mandante proprio NOME COGNOME menzionato con il soprannome col quale questi era noto nell’ambiente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene l’impugnazione, nel suo complesso, non fondata e, pertanto, da rigettare.
È utile ricordare che il Tribunale di sorveglianza a ragione della conclusione sopra indicata ha, fra l’altro, osservato che il decreto reclamato aveva compiutamente indicato sia gli elementi sintomatici inerenti alla ricorrenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica (relativi al quadro determinato da un’azione ancora diffusa e aggressiva della criminalità organizzata di riferimento e dalla ripresa del conflitto fra clan contrapposti, nonché dall’uccisione di più agenti della Polizia penitenziaria), sia quelli che evidenziano la consistente e attuale pericolosità sociale di COGNOME (anche in relazione alla condanna riportata dal medesimo, per effetto della sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Lecce, per fatti dai quali era emerso che il medesimo aveva continuato a svolgere il ruolo direttivo nell’organizzazione mafiosa mentre era in carcere, quale responsabile della zona di Mesagne, percependo ingenti so . mme,
provento di COGNOME reato commessi da soggetti in quanto appartenenti all’organizzazione, dopo che era risultato mandante e anche esecutore di omicidi).
I giudici di sorveglianza hanno preso in considerazione la dedotta dissociazione e hanno, tuttavia, rilevato che essa non risulta giudizialmente accertata, né è stata riscontrata dalle Autorità inquirenti, venendo poi confermata anche la pregressa latitanza, con la precisazione che la sua epoca è stata antecedente al 2002, così come si segnala che è stata presa in esame l’acquisizione delle registrazioni dei suddetti colloqui, la quale tuttavia non ha offerto concreti spunti argomentativi.
Sono state analizzate le note della Direzione Distrettuale antimafia di Lecce e del Comando Generale dei Carabinieri, le quali hanno indicato COGNOME come ancora inserito nel clan di appartenenza e collegato allo stesso nonostante la detenzione, essendo mancata l’emersione di alcun elemento sintomatico del venire meno del suo legame associativo, anche in relazione al ruolo apicale da lui ricoperto.
Si conferma da parte del Tribunale che l’associazione mafiosa di riferimento di COGNOME è ancora operativa, essendosi, al riguardo, delibate a riscontro le numerose operazioni coordinate dall’Autorità giudiziaria e riferite dalla competente Direzione Distrettuale antimafia, oltre che dalla Direzione Nazionale antimafia, operazioni che hanno attinto altri affiliati al sodalizio facendo emergere il dato di fatto che l’organismo criminale non risulta disarticolato.
Nella stessa direzione non possono, secondo i giudici di sorveglianza, obliterarsi il fatto che alcuni collaboratori di giustizia hanno affermato, nel 2019, la persistenza del ruolo direttivo della corrispondente organizzazione criminale rivestito tanto da NOME quanto da NOME COGNOME e l’ulteriore fatto che il 5 dicembre 2022 alcuni soggetti non identificati hanno minacciato di morte un ex collaboratore di giustizia affermandosi emissari di NOME COGNOME (indicato, non con il suo nome anagrafico, ma con il suo soprannome malavitoso).
Per il resto, il Tribunale specializzato non ha mancato di considerare il complessivo esito dell’osservazione penitenziaria, in rapporto a cui la difesa aveva segnalato il cursus regolare che aveva connotato la condotta del ricorrente, e, però, ha rilevato che tale osservazione, al di là del comportamento regolare, non ha visto affiorare elementi sintomatici di una sua autentica dissociazione e dell’acquisizione da parte sua dei valori della legalità.
Il discorso giustificativo offerto nell’ordinanza impugnata si dimostra adeguatamente articolato e, in ogni caso, effettivo, non apparente: deve, quindi, ritenersi che il Tribunale abbia motivatamente considerato persistente, in n
relazione ai criteri indicati dall’art. 41-bis Ord. pen., come novellato dall’art. 2 legge 15 luglio 2009, n. 94, il pericolo che il detenuto eserciti il suo ruolo mantenendo i contatti con la criminalità organizzata in ragione del suo profilo delinquenziale, della posizione rivestita nel sodalizio e della persistente vitalità dell’organizzazione, con la conseguente emersione della necessità – posta a base del decreto – di prorogare per un biennio il regime detentivo differenziato.
3.1. È da evidenziare, in merito al decreto di proroga, che, una volta cristallizzata l’efficacia del precedente decreto applicativo, è sufficiente a reggere la legittimità di quello successivo la constatazione, alla luce della verifica dei parametri cognitivi indicati dal comma 2-bis della norma, del mancato venir meno dei presupposti su cui si era fondato il primo.
Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis cit., è, dunque, necessario (anche a seguito della modifica apportata dalla legge n. 94 del 2009) accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno: e tale accertamento va condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri, quali il suo profilo criminale, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e l’eventuale sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che vanno ponderati attraverso l’indicazione di indici fattuali sintomatici dell’attualità del pericolo collegamenti con l’ambiente criminale esterno.
Siffatta evenienza, senza alcuna inversione del relativo onere, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, e non risulti, per contro, devitalizzata dalla presenza di indici dimostrativi del sopravvenuto venir meno del suindicato pericolo, di guisa che resti confermata la sussistenza del nesso funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (fra le altre, Sez. 1 n. 18791 del 06/02/2015, Caporrimo; Rv. 263508 01; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253713 – 01).
3.2. Della persistenza di tali indici con riferimento alla situazione di NOME COGNOME il Tribunale ha, come si evince richiamo sopra indicato, fornito una giustificazione corretta, adeguata e non meramente apparente.
In tale prospettiva può ritenersi acquisita la tenuta costituzionale dell’assetto richiamato (ribadita da Corte cost. n. 190 del 2010; cfr., nella stessa prospettiva, Sez. 1, n. 44149 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 268294 – 01, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis Ord. pen., in relazione agli artt. 117 Cost. e 3 CEDU, nonché da Sez. 1, n. 29143 del 22/06/2020, Libri, Rv. 279792 – 01, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-
bis cit., in relazione agli artt. 2, 3, 13, 24, 111 e 117 Cost. nella parte in cui esso assegna al Ministro della giustizia e non all’Autorità giudiziaria, la competenza a disporre l’applicazione o la proroga del suddetto regime detentivo; anche per altro e diverso aspetto, quello inerente alla parte in cui assegna al direttore dell’istituto penitenziario e non all’autorità giudiziaria, la competenza ad autorizzare i colloqui telefonici con i familiari e i conviventi del detenuto, i disposto normativo in esame non ha evidenziato fondati sospetti di contrarietà alla Carta fondamentale e alla CEDU secondo l’articolata valutazione fattane da Sez. 5, n. 6409 del 13/11/2023, dep. 2024, Gallico, Rv. 285979 – 01).
Nell’indicato senso, deve essere nuovamente evidenziato che non è necessario – per legittimare la proroga – l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e della mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, ma è sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario, di guisa che a tal fine la stessa sussistenza di collegamenti con il sodalizio criminale richiesta dalla norma non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279221 – 01; Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276483 – 01).
Sotto altro aspetto, la struttura della previsione normativa della proroga di tale regime impone di non assegnare al decorso del tempo il ruolo di elemento risolutivo, fermo restando che non si esige il pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso, bensì la verifica della sussistenza di elementi idonei a corroborare ragionevolmente la persistenza del concreto pericolo dei contatti con la realtà criminale di provenienza.
In definitiva, è da ritenere che, per la proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis cit., l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati (in termini non esaustivi) dal comma 2-bis della norma citata, costituisce l’esito del ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi – non necessariamente sopravvenuti – rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01). In via speculare, deve, dunque, ribadirsi che onde pervenire all’accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis cit. deve addivenirsi all’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, i quali però,
non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né possono essere rappresentati dall’apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività riferita al trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 32337 del 03/07/2019, Graviano, Rv. 276720 – 01; né l’insegnamento che il ricorrente propone di valorizzare, ossia Sez. 1, n. 32952 del 14/07/2022, NOMECOGNOME non mass., somministra, per vero, nozioni e prospettive esegetiche confliggenti con le coordinate ermeneutiche ora enunciate).
3.3. Nel caso di specie, l’accertamento della persistenza del suindicato, concreto pericolo inerente alla persona di NOME COGNOME ha costituito un approdo raggiunto in modo lineare – con percorso argomentativo chiaro, oltre che adeguatamente fondato su tutte le informative e sugli ulteriori dati acquisiti e citati dal provvedimento di proroga – dal Tribunale di sorveglianza, senza che alcuno dei criteri normativi risulti essere stato violato, pur all’esito dell’anali delle svariate deduzioni articolate dalla difesa del ricorrente.
Sul tema, va disattesa la deduzione difensiva di mancato espletamento da parte del Tribunale della chiesta attività istruttoria.
Le omissioni addebitate ai giudici di sorveglianza hanno, infatti, riguardato o documenti che essi hanno invece esaminati, per essere gli stessi riconnpresi negli atti processuali, o atti relativi a specifiche vicende processuali (in particolare, quella individuata con riferimento all’indagine denominata Old generation) che, ove ne avesse avuto interesse, COGNOME avrebbe potuto produrre segnalandone la specifica rilevanza probatoria: in carenza della produzione e della conseguente specificazione deduttiva, non può farsi carico al Tribunale di sorveglianza di non aver esaminato documenti di indeterminata rilevanza dimostrativa.
Quanto ai riferimenti all’attualità e alla concretezza della possibilità che NOME COGNOME istituisca, se detenuto in regime ordinario, ulteriori collegamenti con l’ambiente criminale di riferimento, evenienza immanente e non adeguatamente arginabile con il regime carcerario ordinario, i giudici di sorveglianza hanno convenientemente spiegato su quali precisi dati di fatto si è fondata, già nel decreto ministeriale di proroga e poi nel provvedimento impugnato, la ragionevole probabilità di tale pernicioso epilogo, sicché risulta asseverata la sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del detenuto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni prorogate con il decreto ministeriale in questione e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.
Nella complessiva valutazione compiuta, i giudici di sorveglianza hanno anche dato conto delle ragioni per le quali hanno tratto elementi di conferma
della persistente pericolosità di COGNOME dai singoli contributi dichiarativi indicati, come formatisi nelle riferite vicende processuali, e dell’avvenuta valutazione – ma con effetti non favorevoli al ricorrente – del percorso trattamentale compiuto sinora dal detenuto.
3.4. All’interno della cornice così tratteggiata, non va obliterato che, ex art. 41-bis, comma 2-sexies, Ord. pen., il vizio di motivazione non è deducibile per l’impugnazione del provvedimento in esame: e le considerazioni svolte escludono senz’altro che il tessuto argomentativo esposto dal Tribunale di sorveglianza possa considerarsi vulnerato da mera apparenza, così da far degradare l’ordinanza fra quelle sostanzialmente prive di motivazione e, come tali, censurabili per violazione di legge.
È, del resto, assodato che, ove l’unico vizio deducibile sia, come è nel caso in esame, la violazione di legge, incorre in tale vizio soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, la quale si verifica anche quando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, nel senso che esso, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio, restando pur sempre esclusa da tale vaglio l’illogicità (pur se manifesta), deducibile invece, quando ammessa, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (v. in generale, sul limite posto dall’impugnabilità per sola violazione di legge Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; fra le successive Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119 – 01).
Assodato ciò, occorre concludere che, in ordine ai principali snodi che il ricorrente assume essere stati scrutinati senza un’effettiva motivazione, è dato invece riscontrare l’articolazione da parte del Tribunale di puntuali risposte al reclamo.
Il provvedimento impugnato è risultato dotato di una motivazione effettiva e rispettosa dei parametri stabiliti dal comma 2-bis dell’art. 41-bis Ord. pen., inerenti alla verifica della persistenza della pericolosità specifica del detenuto, tale da far emergere – al di là dell’attuale condotta inframuraria – la solida acquisizione della perdurante capacità di NOME COGNOME di mantenere i collegamenti con la consorteria di riferimento, anche in relazione al suo notevole profilo criminale e alla posizione rivestita nel sodalizio.
Ciò conduce a considerare correttamente preclusa al ricorrente la possibilità del reingresso nel contesto carcerario ordinario.
4. Discende da tali rilievi il rigetto dell’impugnazione, a cui consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
i
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 29 ottobre 2024
Il Presidente Il Consi liere estensore y