Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2139 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2139 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMENOME nato a BOLOGNA il 08/03/1968
avverso l’ordinanza del 5/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
lette le conclusioni scritte presentate dall’avv. NOME COGNOME il quale, nell’interesse di NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 22 giugno 2023, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del 5 gennaio 2022 con cui il Ministro della giustizia aveva prorogato, per la durata di 2 anni, il regime detentivo previsto dall’art. 41-bis Ord. pen., in esecuzione dal 2005. Secondo il Collegio, COGNOME, ristretto in espiazione della pena dell’ergastolo in forza di un provvedimento di cumulo comprensivo di condanne per i reati di associazione di stampo mafioso, commesso dal 1999, di violazione della disciplina degli stupefacenti, commesso nel 2004, di omicidio e violazione della legge sulle armi con l’aggravante mafiosa, commessi nel 2004, nonché di omicidio aggravato e di soppressione di cadavere, commessi nel 2002, era un soggetto apicale della famiglia mafiosa di Villabate dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, già in diretto contatto con il latitante COGNOME e con altre famiglie mafiose di Palermo. Inoltre, le più recenti indagini avevano dimostrato l’intatta operatività dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, mentre il mancato coinvolgimento di Mandala’ in recenti operazioni di polizia giudiziaria valeva solo a dimostrare l’efficacia, nei suoi confronti, del regime differenziato.
1.1. Con sentenza n. 14334 in data 11 gennaio 2024, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione annullò il predetto provvedimento, ritenuto affetto da carenza assoluta di motivazione, non essendosi il Tribunale confrontato con le doglianze della difesa e non avendo indicato alcun elemento individualizzante da cui desumere la attuale pericolosità del ricorrente.
1.2. Con ordinanza in data 5 luglio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma, in sede di rinvio, ha nuovamente rigettato il reclamo avverso il decreto di proroga del regime differenziato e ha, altresì, respinto il reclamo avverso il nuovo decreto ministeriale, datato 3 gennaio 2024, di ulteriore proroga del suddetto regime, ravvisando una serie di indicatori della capacità del detenuto di ristabilire, in caso di ammissione al regime detentivo ordinario, i contatti con l’organizzazione criminale di provenienza: dalla elevatissima pericolosità sociale di Mandala’ (dedotta dai gravissimi reati commessi, dal ruolo apicale rivestito, dall’assenza di un autentico percorso di revisione critica nel corso della carcerazione), all’attuale operatività del sodalizio (desunta da una serie di operazioni di polizia giudiziaria nel mandamento di Bagheria-Villabate), anche tenuto conto dei provvedimenti di trattenimento della corrispondenza adottati nei suoi confronti in epoca recente.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 627 cod. proc. pen. e 41-bis, commi 2 e 2-bis, Ord. pen., non essendosi l’ordinanza impugnata confrontata con i principi di diritto espressi dalla Suprema Corte con la sentenza di annullamento.
Nel dettaglio, quanto al pericolo di ristabilire i contatti con il sodalizio appartenenza, il Tribunale di sorveglianza non si sarebbe fatto carico dell’obiezione difensiva, confermata dalla sentenza “Cupola 2.0”, circa il suo mancato coinvolgimento nelle recenti indagini; né del fatto che costituisse una motivazione apparente l’avere valorizzato, quali elementi sfavorevoli, i crimini efferati commessi nel 2003-2005 e l’attuale operatività della cosca di appartenenza.
Sotto altro profilo, l’ordinanza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui affermerebbe che il tribunale di sorveglianza non debba entrare nel merito della questio facti, ma debba limitarsi ad un mero controllo sulla motivazione del decreto. In realtà, l’art. 6 Cedu imporrebbe, come chiarito dalla Corte Edu, un sindacato di full jurisdiction, diretto e sostituivo, proprio della giurisdizione di merito, sulla scelta della pubblica amministrazione, dovendo il tribunale accertare la sussistenza dei requisiti necessari per il mantenimento del regime differenziato alla stregua di quanto ritenuto dall’amministrazione, su cui incomberebbe l’onere di indicare gli elementi che sostanziano il pericolo di collegamenti con il sodalizio mafioso di provenienza e gli indici di pericolosità qualificata a carico del soggetto.
Nel caso di specie, le ragioni del rigetto si fonderebbero:
sulla qualità di “uomo d’onore” di COGNOME, in posizione apicale in seno alla famiglia mafiosa di Villabate, sui gravi delitti dallo stesso commessi e sul suo ruolo di collettore di proventi illeciti derivanti dall’attività di estorsione;
sulla attuale operatività della famiglia mafiosa di Villabate;
sull’essere stato Mandala’ sanzionato per 7 infrazioni disciplinari, nel periodo di tempo decorrente dal 2012 al 2019;
sulla mancata volontà del ricorrente di dissociarsi dall’organizzazione di appartenenza, emersa dalla mancata scelta di collaborare con la giustizia.
In realtà, quanto al primo profilo, i reati sarebbero stati commessi in un limitato arco temporale (dal 2003 al 2005) e nulla direbbero a proposito del pericolo di mantenimento di contatti con la criminalità organizzata; fermo restando che, tra essi, non vi sarebbero reati di estorsione, né attinenti alle materie esplosive, come invece erroneamente sostenuto nella nota della DIA riportata nell’ordinanza.
Quanto all’attuale operatività della famiglia mafiosa di Villabate, l’ordinanza riporterebbe una serie di operazioni di polizia dalle quali essa si dovrebbe desumere, senza però confrontarsi con il fatto che le operazioni “RAGIONE_SOCIALE“, “Araldo” e “Roccaforte” non avrebbero attinto la famiglia di Villabate, né, soprattutto, con il dato emerso nell’operazione “Luce” di cui alla sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo del 24 giugno 2024,
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evidenziato nella nota del 13 dicembre 2023 e riportato dalla difesa nella memoria. Nel corso di tale operazione, infatti, sarebbe stata intercettata una conversazione tra due soggetti apicali del clan, COGNOME e COGNOME, dalla quale emergerebbe l’attuale inoperatività della “famiglia”, sciolta a seguito della collaborazione del capo mandamento NOME COGNOME, tanto che COGNOME avrebbe inteso ricostituirla, non riuscendovi per l’arresto dei conversanti. Tanto è vero che il Ministro della giustizia avrebbe deciso di non prorogare il regime differenziato nei confronti di NOME COGNOME concorrente in tutti i reati commessi da Mandala’. Elementi, quelli ora riassunti, che l’ordinanza avrebbe omesso di valutare.
Quanto alle condotte di rilievo disciplinare, si tratterebbe di infrazioni assolutamente marginali, che, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, dovrebbero essere valutate nella loro concretezza e andrebbero comparate con ogni altro elemento positivo risultante dalla condotta carceraria; fermo restando che la relazione di sintesi della Casa circondariale di Cuneo del 10 luglio 2024, darebbe atto di una condotta intrannuraria, da ultimo, regolare.
Quanto, infine, alla mancata recisione di ogni legame con l’organizzazione di appartenenza, in assenza di una scelta collaborativa con la giustizia, l’avvenuta dissociazione di COGNOME‘ emergerebbe dalle dichiarazioni etero e autoaccusatorie rese in data 13 ottobre 2009 dinanzi alla Corte di assise di appello di Palermo, incompatibili con il mantenimento del ruolo di membro dell’associazione mafiosa, secondo le regole proprie della consorteria. E l’affermazione secondo cui il modo esclusivo per manifestare la dissociazione sia dato dalla scelta di collaborare con la giustizia, contrasterebbe con il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione, conformemente alla giurisprudenza costituzionale e della Corte Edu, secondo cui la mancata collaborazione con la giustizia non può fondare una presunzione assoluta di pericolosità del condannato, potendo detta presunzione relativa essere vinta ove risultino altri indici da cui rilevare la dissociazione dal contesto criminale di appartenenza.
Infine, ancora una volta, l’ordinanza non si sarebbe confrontata con gli elementi individualizzanti non valutati dall’ordinanza annullata, ovvero che:
da 18 anni, nessun collaboratore avrebbe riferito di un ruolo attuale ricoperto da Mandala’ all’interno dell’organizzazione criminale di provenienza;
da nessuna attività di indagine sarebbe emerso un qualsivoglia suo coinvolgimento nel sodalizio, tantomeno con un ruolo apicale;
dalle indagini e dalla sentenza irrevocabile emessa nell’ambito dell’operazione “RAGIONE_SOCIALE“, relativa alla ricostituzione della commissione provinciale di Cosa nostra e in particolare del mandamento Bagheria-Villabate, emergerebbe l’assenza di un potere decisorio di Mandala’, l’assenza di una sua partecipazione nel sodalizio e di una sua posizione apicale al suo interno;
la sua dissociazione emergerebbe dalle dichiarazioni, riportate nella sentenza “Cupola 2.0”, rese da NOME COGNOME, soggetto apicale e divenuto collaboratore di giustizia, il quale non menzionerebbe Mandala’ quale attuale associato, ma indicherebbe sé stesso quale capo mandamento e capo famiglia e non quale semplice reggente di Mandala’, come avrebbe dovuto fare se costui avesse mantenuto una posizione al vertice della cosca;
nessuna delle informative allegate alle richieste di proroga farebbe riferimento a ordini, decisioni o comunicazioni riferibili all’istante o a violazioni riscontrate durante l’esecuzione dei colloqui con i familiari;
ì componenti del nucleo familiare svolgerebbero una lecita attività lavorativa e sarebbero estranei a contesti criminali, come confermato dall’informativa dei Carabinieri di Palermo dell’8 febbraio 2023;
il padre di Mandala’, pensionato, seppur in passato condannato, avrebbe beneficiato, nel 2016, della revoca della misura di sicurezza, avrebbe ottenuto la remissione del debito e non gli sarebbe stata applicata la misura di prevenzione per assenza di attuale pericolosità;
Mandala’ non sarebbe mantenuto economicamente dall’associazione mafiosa, secondo quanto sarebbe imposto dalle regole del sodalizio;
egli avrebbe svolto attività lavorativa nei limiti consentiti dal regime differenziato;
avrebbe beneficiato della liberazione anticipata.
Dunque, l’ordinanza impugnata avrebbe eluso di confrontarsi con gli indici individualizzanti previsti dall’art. 41-bis, 2-bis, Ord. pen.
In data 25 settembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso, avendo l’ordinanza correttamente rilevato che i presupposti per la proroga siano ravvisabili nel ruolo di vertice assunto da COGNOME illo tempore nella famiglia mafiosa di Villabate, dalla piena operatività del sodalizio mafioso e dalla capacità del detenuto di interagire con gli esponenti del dan ancora in libertà.
In data 21 ottobre 2024 è pervenuta in Cancelleria una memoria scritta presentata dall’avv. NOME COGNOME con la quale si ribadiscono le ragioni per cui il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 41bis Ord. pen. e dell’art. 627 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata, infatti, trasformerebbe la sospensione delle ordinarie regole di trattamento dei detenuti in una misura di carattere afflittivo e di natura permanente, in violazione dell’art. 27 Cost. e dell’art. 3 Cedu.
Essa, inoltre, violerebbe l’art. 627 cod. proc. pen., non essendosi uniformata ai principi di diritto sanciti dalla sentenza rescindente e in particolare: per non aver
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motivato in ordine al pericolo di contatti del ricorrente con l’associazione mafiosa; per non aver dialogato con le specifiche questioni documentate dalla Difesa a sostegno del reclamo; per non aver indicato elementi individualizzanti, sintomatici della possibilità di riallacciare i rapporti con il sodalizio.
Quanto alla requisitoria scritta del Procuratore generale, gli elementi dallo stesso valorizzati per sollecitare il rigetto del ricorso sarebbero gli stessi che la sentenza di annullamento avrebbe ritenuto inidonei a dimostrare il pericolo di contatti con l’associazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Va premesso che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza che decide sul reclamo avverso il decreto del Ministro della giustizia che applica il regime differenziato di cui all’art. 41 -bis Ord. pen. è impugnabile unicamente per violazione di legge, sicché il controllo di legittimità riguarda solo l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che priva il provvedimento impugnato dei requisiti prescritti dall’art. 41-bis, comma 2sexies, Ord. pen. Il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione dell’ordinanza del tribunale di sorveglianza comprende i casi in cui la motivazione risulti sprovvista dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito. A queste patologie motivazionali devono essere equiparate le ipotesi in cui le linee argomentative del provvedimento relativo al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen. sono talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione relativa al regime detentivo speciale (Sez. 1, n. 37351 del 6/05/2004, Trigila, Rv. 260805 – 01; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, Ganci, Rv. 226628 – 01; Sez. 1, n. 45723 del 24/10/2003, COGNOME, Rv. 226035 – 01). Infatti, anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 -bis Ord. pen. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalità del tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 267248 – 01). In ogni caso è stato affermato che «non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dall’art. 41-
bis della legge n. 354 del 1975, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il tribunale di sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi» (Sez. 1, n. 37351 del 6/05/2014, Trígila, Rv. 260805 – 01).
Viceversa, il controllo demandato al tribunale di sorveglianza in materia di reclamo avverso i provvedimenti di applicazione o di proroga del regime differenziato deve riguardare, secondo la previsione del comma 2 -sexies dell’art. 41 -bis Ord. pen., «la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento», sicché esso si estende a ogni profilo giuridico e fattuale posto a fondamento del medesimo e non si esaurisce, dunque, in un mero controllo di legittimità dell’atto sotto il profilo della violazione di legge, come invece previsto per il ricorso per cassazione. E’ stato, infatti, affermato che «anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 -bis ord. pen. dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, il controllo svolto dal tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato, diversamente dal sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, non è limitato ai profili di violazione della legge, ma si estende alla motivazione e alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra re prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (cfr. Sez. 1, n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281361 – 01; Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274912 – 01).
2.1. Sempre in premessa va ricordato che la proroga del regime differenziato è disposta, ai sensi del comma 2 -bis dell’art. 41-bis Ord. pen., «quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa». Secondo la giurisprudenza di legittimità, a tali fini si richiede non già un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio necessario per l’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono primaria rilevanza, in chiave di valutazione prognostica, quelli desumibili dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (Sez. 1 n. 18434 del 23/04/2021, Mulè, Rv. 282361 – 01; Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016,
ub-
COGNOME, Rv. 267248 – 01; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, COGNOME, Rv. 232114 – 01; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, COGNOME, Rv. 232684 – 01). L’accertamento, quindi, si caratterizza per avere ad oggetto non già il pericolo di reiterazione delle condotte delittuose, ma quello di un eventuale collegamento del soggetto con il contesto criminale nel quale si sono manifestati i fatti delittuosi. Ai fini della proroga, pertanto, ciò che deve essere valutato è non già il realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata, ma la necessità di mantenere il regime differenziato in quanto idoneo a impedire tali contatti, in ragione della permanenza delle condizioni di pericolo che ne avevano giustificato l’adozione.
In ogni caso, anche per i decreti di proroga si richiede una congrua motivazione in ordine alla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza che le misure mirano a prevenire, non potendosi consentire, con una sorta di inammissibile automatismo, immotivate proroghe del regime differenziato, ovvero motivazioni del tutto apparenti o stereotipe inidonee a giustificare, in termini di concretezza e attualità, la misura (ex multis Sez. 1, n. 14016 del 7/03/2008, COGNOME, Rv. 240141 – 01; Sez. 1, n. 4480 del 10/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230828 01; Sez. 1, n. 4599 del 26/01/2004, Zara, in motivazione). Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, «ogni provvedimento di proroga deve invece contenere una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire e non possono ammettersi motivazioni apparenti o stereotipe inidonee a giustificare, in termini di attualità le misure disposte (…) I provvedimento di proroga deve contenere un’adeguata motivazione sulla permanenza dei presupposti che legittimano l’applicazione del regime differenziato, vale a dire sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali. In sede di controllo giurisdizionale, spetterà al giudice verificare in concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale» (Corte cost. 23 dicembre 2004, n. 417). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata non abbia correttamente delimitato il perimetro del proprio intervento facendo riferimento soltanto ai profili di violazione di legge. E tuttavia, il Tribunale, pur errando in tale assunto preliminare, ha sviluppato un controllo complessivamente adeguato rispetto alla sussistenza dei presupposti per la proroga del regime differenziato, di tal che il provvedimento esaminato si sottrae alle censure svolte dal ricorso.
3.1. Il Tribunale capitolino ha, infatti, emendato il vizio riscontrato in sede rescindente, verificando, alla stregua di un percorso motivazione niente affatto apparente, la sussistenza delle condizioni per la proroga del regime differenziato.
In particolare, esso ha riepilogato gli indici di pericolosità qualificata indicat nel decreto ministeriale – ruolo di vertice già assunto dal detenuto nella famiglia mafiosa di Villabate Palermo, piena operatività del sodalizio e intatta capacità di quest’ultimo di controllo del territorio, persistente capacità del detenuto di interagire con gli esponenti del dan ancora in libertà, nonostante la detenzione e li ha giudicati sintomatici ai fini del mantenimento del regime speciale di restrizione. Dunque, il Tribunale ha ben applicato il comma 2-bis dell’art. 41-bis Ord. pen., compiendo un apprezzamento di merito congruamente motivato, dando puntuale conto degli elementi individualizzanti circa la posizione del soggetto all’interno del sodalizio, consolidatasi nel tempo anche in ragione della permanenza in carcere.
3.2. Nel dettaglio, il Collegio di merito ha messo in luce, innanzitutto, l’elevata pericolosità sociale di NOME COGNOME, desunta, in primo luogo, dal ruolo di uomo d’onore della famiglia mafiosa di Villabate Palermo, inquadrata nel mandamento di Bagheria, al cui interno aveva fatto parte di commandos omicidi, sino ad assumere, all’esito di una vera e propria “scalata” delle gerarchie del dan, una posizione apicale, tanto da essere stato in diretto contatto con l’allora latitante NOME COGNOME e con i vertici di altre famiglie mafiose (quali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). Inoltre, l’ordinanza ha evidenziato come l’attuale carcerazione non abbia fatto emergere segnali di significativo distacco rispetto ai propri vissuti e alla subcultura mafiosa, tenuto conto della relazione di sintesi della Casa circondariale di Cuneo, che non ha riferito dell’avvio di un percorso di revisione critica rispetto al suo percorso criminale e considerate, altresì, sia la condotta intramuraria, punteggiata da ripetute violazioni disciplinari (ben 7 infrazioni disciplinari tra il 2012 e il 2022), sia l’adozione, d parte del Magistrato di sorveglianza di Cuneo, di ripetuti provvedimenti di trattenimento della corrispondenza (v. decreto in data 6 marzo 2021, 15 aprile 2022, 21 dicembre 2022), dal Tribunale ritenuti indicativi, evidentemente, di altrettanti tentativi di stabilire contatti non consentiti con il contesto criminale provenienza.
Inoltre, il provvedimento oggetto di ricorso ha evidenziato come dalle più recenti attività investigative (quali: l’operazione “Persefone” del 13 settembre 2021, relativa al sodalizio mafioso del mandamento di Bagheria-Villabate; l’operazione “Araldo” del 20 settembre 2021, relativa all’operatività di un gruppo criminale sul territorio dei mandamenti di Bagheria e Misilmeri-Belmonte Mezzagno; l’operazione “Roccaforte” in data 20 gennaio 2023, attestante l’operatività di Cosa Nostra palermitana; gli esiti investigativi relativi ad alcuni
omicidi di mafia tra il 14 maggio 2019 e il 28 febbraio 2021 e ai condizionamenti mafiosi delle amministrazioni comunali) sia emersa l’attuale esistenza e operatività della cosca di riferimento.
Tale circostanza, unitamente al ruolo di spicco ricoperto da COGNOME‘ all’interno del sodalizio, al suo profilo criminale, alla sua capacità di intrattenere rapporti con personaggi di rilievo nel territorio di riferimento, ha infine indotto il Collegio, i mancanza di elementi attestanti un allontanamento dall’esperienza criminale maturata, a ritenere concreto il pericolo che, ove collocato nel circuito penitenziario ordinario, egli possa impartire disposizioni per la commissione di nuovi delitti e dirigere l’organizzazione mafiosa, non potendo ritenersi rilevante il suo mancato coinvolgimento nelle operazioni di polizia giudiziaria avvenute dopo il suo arresto, posto che tale circostanza non è idonea, sul piano logico, ad escludere il pericolo di un ripristino dei contatti con l’organizzazione mafiosa.
Né sono state ritenute dirimenti le propalazioni etero e accusatorie rese da Mandala’ in sede giudiziaria, non sufficienti a dimostrare un “nuovo corso” intrapreso dal detenuto e, quindi, un’effettiva, certa e irrevocabile recisione di ogni legame con l’organizzazione di appartenenza.
In conclusione, l’ordinanza impugnata ha, dunque, fatto buon governo non solo del principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente, ma dei costanti orientamenti giurisprudenziali in tema di proroga del regime differenziato secondo quanto più sopra evidenziato (v. supra § 2.1 del «considerato in diritto») e la motivazione resa si mantiene nei limiti di una fisiologica opinabilità propria dell’apprezzamento di merito, non potendo certo affermarsene l’apparenza, né tantomeno l’inesistenza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 8 novembre 2024
r37.1? – 7:TATO IN CANCELLE, A
Il Consigliere estensore
Il Presidente
COGNOME
NOME
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