Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21609 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21609 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI FIORE NOME nato a ACERRA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo presentato da NOME COGNOME (soggetto detenuto presso la Casa circondariale di Roma – Rebibbia in esecuzione della pena dell’ergastolo, determinata dal provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli il 17/11/2016, contenente condanne per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio e violazione della legge sulle armi) avverso il decreto ministeriale di proroga – per il periodo di anni due a partire dal 05/01/2023 – della sospensione, stante il regime differenziato ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n 354, di alcune regole di trattamento penitenziario, con particolare riferimento alla disciplina dei colloqui con i familiari, ai colloqui c i terzi, alla corrispondenza telefonica, alla ricezione di somme di denaro e pacchi dall’esterno, alla nomina e alla partecipazione alle rappresernanze dei detenuti e alla permanenza all’aperto; trattasi di soggetto che ha ottenuto 658 giorni di liberazione anticipata e che annovera pregiudizi per violazione della legge sulle armi e tentata estorsione, nonché carichi pendenti per rissa, resistenza e minaccia grave.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo degli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO Accorretti, deducendo un motivo unico, che viene di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen., violazione ed errone applicazione dell’art. 41-bis Ord. pen., nonché dell’art. 125 cod. proc. pen. La motivazione in ordine ai presupposti atti a legittimare la proroga del suddetto regime è meramente apparente, essendo essa incentrata sulla posizione apicale assunta dal condannato all’interno dell’associazione criminale omonima e dalla persistente operatività della stessa. Emerge dagli atti, al contrario, come il RAGIONE_SOCIALE omonimo non sia allo stato operativo. Il Tribunale di sorveglianza, inoltre, non ha analizzato le vicende familiari del ricorrente, i cui due figli – NOME e NOME sono il primo collaboratore di giustizia e il secondo assolto dall’accusa di partecipazione ad associazione ex art. 416-bis cod. pen. La difesa aveva segnalato, altresì, come il condannato avesse riallacciato i rapporti con il figlio ch aveva effettuato la scelta collaborativa, circostanza non conciliabile con la persistenza di una posizione qualificata del condannato, all’interno del RAGIONE_SOCIALE di riferimento. Inìnfluente è poi il richiamo ai rilievi disciplinari e, quindi, alla con carceraria non sempre regolare tenuta dal condannato, trattandosi di fatti estranei alla funzione stessa del regime differenziato in esame.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. La doglianza ripete le argomentazioni proposte in sede di reclamo, alle quali il Tribunale di sorveglianza ha adeguatamente risposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Giova premettere come, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertament inerente alla sussistenza della attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri di cui al comma 2 -bis della medesima disposizione citata (che indica come si debba fare riferimento al fatto che non sia venuta meno “la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale”), si debba concretizzare in un equilibrato apprezzamento di merito, attinente a tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, che possano essere evocativi della permanenza delle medesima condizioni di pericolo, già in origine poste a fondamento del suddetto regime (in questi termini, Sez. 1 n. 2660 del 9.10.2018, dep. 2019, Vinciguerra, rv 274912). La motivazione del provvedimento di proroga deve, pertanto, da un lato essere raffrontata con le originarie statuizioni, dall’alt prendere in considerazione elementi eventualmente sopravvenuti, di significazione idonea a determinare mutamenti nelle varie condizioni di fatto e, correlativamente, in grado di influire sul profilo della necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Deve ancora osservarsi – in punto di diritto – come la finalità esclusiva, sottesa alla sottoposizione del condannato al regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., sia costituita dalla necessità di inibire forme di comunicazione (interna ed esterna al carcere) tra il soggetto detenuto e il contesto criminale di provenienza. Ciò in ragione della concreta possibilità di trasmissione di ordini o direttive che alimentino, all’esterno del carcere, la sopravvivenza di organizzazioni criminali o siano di viatico alla consumazione di altri reati. Si tratta dunque di un finalità di matrice preventiva, che fonda la sua cittadinanza costituzionale sull’apprezzamento – da parte del giudice – della esistenza, nel caso concreto, di simile necessità, in ragione di un giudizio sulla attitudine del detenuto a realizzare simili comportamenti, nonché sulla perdurante esistenza di un consorzio criminale di riferimento.
2.2. Nella ricostruzione sistematica delle finalità del provvedimento in argomento, a mezzo del quale viene limitata la fruizione di alcuni istituti che sono propri dell’ordinamento penitenziario, è la stessa Corte Costituzionale ad aver più volte affermato come il ruolo affidato alla particolare disciplina derogatoria delineata dall’art. 41-bis Ord. pen. sia quello di impedire – in riferimento alla accentuata pericolosità sociale dei soggetti destinatari le possibili forme relazionali con il tessuto criminale di provenienza, in un contesto di tutel anticipata dell’ordine e della sicurezza pubblica (Corte cost., sentenza n. 376 del 1997; Corte cost. sentenza n. 143 del 2013; Corte cost. n. 186 del 2018; Corte cost., ordinanza n. 417 del 2004, Corte cost., ordinanza n. 192 del 1998).
Ciò che l’applicazione del regime differenziato si propone di inibire, in sostanza, è che gli esponenti dell’organizzazione, i quali si trovino in condizioni detentive, siano ancora in grado – traendo giovamento dalle regole che disciplinano il regime detentivo ordinario – di proseguire nell’impartire direttive sodali in stato di libertà e, in tal modo, di mantenere, anche dall’interno de carcere, il controllo sulle attività delittuose svolte dall’organizzazione. Tratta peraltro, di finalità di per sé ritenuta – dalla stessa Corte EDU – non in contrast con i diritti fondamentali della persona, allorquando emerga la necessità di adottare particolari forme di inibizione, dei contatti tra il soggetto detenuto e contesto criminale di provenienza.
Tanto premesso, ai fini dell’inquadramento giuridico della dedotta questione, va rilevato come – sul piano strettamente formale non sussista dubbio alcuno, circa il fatto che la condanna per i reati sopra detti, dei quali COGNOME stato ritenuto colpevole, consenta, in rapporto alla disciplina di legge l’applicazione del regime differenziato ex art. 41-bis Ord. per.
3.1 Il quadro ermeneutico sopra tratteggiato, oltre che l’espresso dettato normativo (nella parte in cui esso valorizza la necessità di impedire i collegamenti con l’associazione criminale), ìmpongono però un costante dialogo con il dato costituito dalla persistenza delle finalità legittime, poste a fondamento de trattamento differenziato, in chiave funzionale. Ciò che in concreto viene in rilievo, in relazione a tale specifica finalità, non è però la condizione di pericolosità quanto tale, del detenuto in espiazione che si trovi assoggettato al regime differenziato (pericolosità che, in tal modo, risulterebbe impropriamente desunta dalla gravità dei reati commessi e dalla considerazione della loro complessiva antigiuridicità), quanto piuttosto la capacità di tale soggetto di mantenere legami, proseguire nei contatti, o impartire ordini verso l’esterno, in tal modo finendo per costituire un concreto pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica. Solo laddove sia individuabile una forma di pericolosità di tal genere, quindi, sarà legittim
l’applicazione del modello detentivo differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., dato che altre tipologie di pericolosità sociale possono invece essere adeguatamente affrontate attraverso l’adozione di altri istituti di carattere penitenziario. Applic o prorogare il regime differenziato in esame in modo avJlso, rispetto a tale finalismo, concretizzerebbe una modalità trattamentale vanamente afflittiva e punitiva, che finirebbe per porsi in una situazione di conflitto con i parametri costituzionali richiamati in apertura.
3.2 Nel caso del COGNOME, pertanto, coglie nel segno la doglianza difensiva, incentrata sul fatto che l’avversato provvedimento di proroga, pure al cospetto delle allegazioni difensive, volte a dimostrare l’assenza di coinvolgimento del reclamante in fatti di reato riguardanti associazioni di stampo mafioso, non affronta in modo espresso ed esaustivo il tema dei potenziali destinatari delle ipotetiche comunicazioni, verso l’esterno, dell’attuale ricorrente.
Non vi è confronto sostanziale – ravvisandosi, anzi, una elusione delle regole normative che disciplinano la materia e, pertanto, la dedotta violazione di legge – con gli ulteriori profili evidenziati dalla difesa, ossia:
– il dato oggettivo, rappresentato dalla mancata operatività attuale del RAGIONE_SOCIALE, in passato molto attivo nel territorio di Acerra, fatto che dovrebbe, in ipotesi difensiva, elidere la persistente pericolosità sociale del ricorren (l’ordinanza impugnata si affida, sul punto, a un argomento di tipo personologico, sottolineando come si tratti di un soggetto che, in carcere, ha minacciato di morte il medico e che continua a tenere un tipico atteggiamento coerente con la pregressa posizione apicale, al tempo assunta all’interno del sodalizio criminale; si ricordano, inoltre, le informazioni richieste da COGNOME nel corso dei colloqu intrattenuti in carcere con i familiari);
il condannato ha riallacciato i contatti con il figlio, divenuto collaboratore giustizia (tale atteggiamento sarebbe – in ipotesi difensiva – non del tutt combaciante con la decisione di prorogare il regime detentivo ex art. 41-bis Ord. pen., potendo evocare la condivisione di una precisa scelta di vita operata dal figlio, ormai definitivamente dissociatosi dalla malavita organizzata e, anzi, sicuramente destinatario dello stigma di quest’ultima).
3.3. La decisione impugnata, dunque, non chiarisce in che termini – a distanza temporale considerevole dai fatti di reato – un determinato detenuto possa ancora influenzare, con ordini e direttive, i comportamenti criminali dei soggetti affiliati alla cosca di riferimento, la cui perdurante operatività finisce tale quadro – per essere un elemento non influente. Né si chiarisce, d’altra parte, se il gruppo criminale di tipo mafioso, al quale era prima intraneo il detenuto, sia ancora attivo e quale sia la sua attuale composizione soggettiva. È fondata, allora,
la doglianza formulata dalla difesa, che ha lamentato la scarsa aderenza dell’avversata ordinanza ai parametri normativi sopra delineati.
3.4. Si tratta di punti decisivi nella economia della decisione, il cui esame va rimesso ad una nuova valutazione del giudice del merito, previo annullamento del provvedimento impugnato.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio degli atti – per nuovo giudizio – al Tribunale di sorveglianza di Roma.
P.Q’M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso in Roma, 28 marzo 2024.