Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17251 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17251 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 28/04/1945
avverso l’ordinanza del 06/12/2024 del TRIBUNALE di RAGIONE_SOCIALE di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 7 aprile 2023, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Ministro della giustizia in data 10 giugno 2022 con il quale era stata disposta nei suoi confronti, per la durata di 2 anni, la proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (di seguito Ord. pen.), già applicatogli a decorrere dal 12 luglio 2006.
1.1. Con sentenza n. 19719 in data 28 marzo 2024, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione annullò il predetto provvedimento, rilevando l’assenza della motivazione sulla persistenza dell’organizzazione e sul ruolo in essa ricoperto dal detenuto, avuto particolare riguardo alle argomentazioni difensive, sostenute da produzioni, in base alle quali Cina’ sarebbe «divenuto estraneo» alle compagini criminali indicate nel decreto ministeriale. In particolare, la pronuncia rescindente rilevò l’intervenuta sua «assoluzione in via definitiva» dal cd. processo trattativa, su cui l’ordinanza era rimasta «muta», nonostante la rilevanza «di tale evenienza in punto di persistenza dei contatti e di concreta pericolosità», tenuto conto del «rilievo assunto da tale contestazione nell’inquadramento sia della persistente operatività del sodalizio, sia dello stabile e rilevante ruolo del condannato in tale contesto direttivo di alto livello».
1.2. Con ordinanza in data 6 dicembre 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma, pronunciandosi in sede di rinvio, ha nuovamente rigettato il reclamo proposto nell’interesse di Cina’, respingendo contestualmente anche l’ulteriore reclamo proposto dal detenuto avverso il successivo decreto ministeriale del 6 giugno 2024 di proroga per ulteriori due anni.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di rinvio per il tramite dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41bis Ord. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che l’ordinanza impugnata abbia riproposto i medesimi argomenti del precedente provvedimento, annullato dalla Corte di cassazione, costruendo una motivazione priva dei necessari approfondimenti istruttori e della doverosa attualizzazione dei sintomi di pericolosità richiesti per la proroga del regime detentivo differenziato. In particolare, il Tribunale, pur dando atto dell’assoluzione di COGNOME in relazione alla sua partecipazione al cd. direttorio e ai fatti estorsivi, avrebbe richiamato la sua
condanna per l’omicidio di COGNOME e le vicende del processo cd. trattativa, dalle quale sarebbe emersa la posizione di vertice ricoperta da Cina’ con funzione di cerniera tra l’associazione mafiosa e le istituzioni; e avrebbe ritenuto non riscontrata l’attendibilità delle propalazioni del collaboratore COGNOME. Tuttavia, il Collegio di merito non si sarebbe soffermato sugli attuali equilibri del mandamento, retto da soggetti ritenuti “fedelissimi” dei COGNOME, in primis NOME COGNOME, con i quali, da anni, Cina’ sarebbe in contrasto, sicché egli non potrebbe avere mantenuto un ruolo qualificato all’interno del gruppo criminale. Il Tribunale, in sostanza, si sarebbe riferito unicamente a circostanze risalenti agli anni ’90 e ai primi anni del 2000, ampiamente superate dagli eventi successivi, che avrebbero cristallizzato nuovi equilibri all’interno del mandamento. In questo modo, la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe solo apparente, integrando conseguente il vizio di violazione di legge, in relazione all’attuale situazione del sodalizio criminale, di cui il ricorrente aveva fatto parte sino al 2007 e in relazione al decisivo tema dei potenziali destinatari delle ipotetiche comunicazioni da e verso l’esterno. Ciò alla luce del principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale ai fini della proroga del regime differenziato viene in rilievo non la condizione di pericolosità, in quanto tale, del detenuto assoggettato al regime differenziato, quanto piuttosto la sua capacità di mantenere legami, proseguire nei contatti, o impartire ordini verso l’esterno (Sez. 1, n. 21610 del 28/03/2024), che il Tribunale avrebbe dovuto ipotizzare a partire da specifici elementi di fatto dimostrativi dell’assunto conclusivo, idonei «a svolgere una funzione in qualche modo individualizzante, rispetto al singolo detenuto» (Sez. 1, n. 14334 del 11/01/2024). Al contrario, il Collegio di merito avrebbe fatto ricorso ad affermazioni di mero stile, che evidenzierebbero un’incolmabile distanza tra i criteri posti dalla sentenza di annullamento e quanto in concreto motivato dal Tribunale, che la giurisprudenza di legittimità ricorda essere tenuto a vagliare gli elementi sopravvenuti idonei a rappresentare mutamenti di fatto che possono incidere sulla necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In data 6 febbraio 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente giova rilevare la proroga del regime differenziato è disposta, ai sensi del comma 2 -bis dell’art. 41 -bis Ord. pen., «quando risulta che
la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa». Secondo la giurisprudenza di legittimità, a tali fini si richiede non già un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio necessario per l’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti (Sez. 1 n. 20986 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279221 – 01), fra cui assumono primaria rilevanza, in chiave di valutazione prognostica, quelli desumibili dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (Sez. 1 n. 18434 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 282361 – 01; Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 267248 01; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, COGNOME, Rv. 232114 – 01; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, COGNOME, Rv. 232684 – 01). L’accertamento, quindi, si caratterizza per avere ad oggetto non già il pericolo di reiterazione delle condotte delittuose, ma quello di un eventuale collegamento del soggetto con il contesto criminale nel quale si sono manifestati i fatti delittuosi. Ai fini della proroga pertanto, ciò che deve essere valutato è non già il realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata, ma la necessità di mantenere il regime differenziato in quanto idoneo a impedire tali contatti, in ragione della permanenza delle condizioni di pericolo che ne avevano giustificato l’adozione. In ogni caso, anche per i decreti di proroga si richiede una congrua motivazione in ordine alla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza che le misure mirano a prevenire, non potendosi consentire, con una sorta di inammissibile automatismo, immotivate proroghe del regime differenziato, ovvero motivazioni del tutto apparenti o stereotipe inidonee a giustificare, in termini di concretezza e attualità, la misura (ex multis Sez. 1, n. 14016 del 7/03/2008, COGNOME, Rv. 240141 – 01; Sez. 1, n. 4480 del 10/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230828 – 01; Sez. 1, n. 4599 del 26/01/2004, Zara, in motivazione). Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, «ogni provvedimento di proroga deve invece contenere una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire e non possono ammettersi motivazioni apparenti o stereotipe inidonee a giustificare, in termini di attualità le misure disposte (…) Il provvedimento di proroga deve contenere un’adeguata motivazione sulla permanenza dei presupposti che legittimano l’applicazione del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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regime differenziato, vale a dire sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali. In sede di controllo giurisdizionale, spetterà al giudice verificare i concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale» (Corte cost. 23 dicembre 2004, n. 417).
3. A tali coordinate si è complessivamente uniformato il provvedimento impugnato, che ritenendo non necessaria l’acquisizione di elementi sopravvenuti rispetto a quelli già valorizzati in occasione delle proroghe precedenti, ha ribadito l’allarmante quadro di pericolosità di NOME COGNOME tratto, innanzitutto, dalla gravità dei reati per cui è stato condannato, essendo egli detenuto in esecuzione della pena dell’ergastolo inflitta per i reati di omicidio pluriaggravato e d associazione mafiosa, e confermato dalla posizione qualificata al vertice della famiglia mafiosa San Lorenzo di Palermo, rivestita da Cina’ dal 1995 al giugno 2007 (e dunque fino ad epoca successiva alla restrizione in carcere e alla sottoposizione al regime differenziato, iniziata a giugno 2006). In tale contesto, inoltre, egli è stato riconosciuto responsabile, nel processo per la cd. trattativa Stato-mafia, del delitto di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, per il quale è stato condannato, in esito al giudizio di appello, alla pena di 12 anni di reclusione, per poi essere prosciolto per intervenuta prescrizione dal predetto delitto, riqualificato nella forma solo tentata, con sentenza n. 45506 pronunciata dalla Sesta sezione penale della Corte di cassazione in data 27 aprile 2023. Tale pronuncia, peraltro, lungi dall’affermare l’estraneità di Cina’ ai fatti contestatigl ne ha sostanzialmente riconosciuto, nella fase della sua progressiva ascesa ai vertici nell’organizzazione mafiosa, il fondamentale ruolo di collegamento tra i soggetti apicali di Cosa Nostra e il mondo politico-istituzionale al quale i primi si erano rivolti anche per il tramite dell’odierno ricorrente. Su tali premesse, dunque, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto non rilevante la circostanza che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con sentenza in data 19 dicembre 2001, definitiva nel 2003, abbia escluso la partecipazione di Cina’ al cd. Direttorio di Cosa nostra e che egli non abbia riportato condanne per reati estorsivi, evidenziando come tali evenienze, indubbiamente favorevoli rispetto alla posizione del detenuto, non ne elidano in alcun modo la elevata caratura criminale, attestata, oltre che dalla posizione ricoperta all’interno dell’organizzazione, dalle responsabilità, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’omicidio di NOME COGNOME all’epoca reggente del mandamento di Resuttana e ritenuto responsabile di essersi appropriato di denaro provento delle estorsioni Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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mafiose, per il quale Cina’ è stato condannato alla pena dell’ergastolo. E proprio l’elevato ruolo ricoperto, indicativo di una totale compenetrazione con l’organizzazione criminale, ha poi indotto il Tribunale a ritenere, non essendovi elementi per ritenere che il mero decorso del tempo ne abbia mutato il ruolo all’interno di essa, la concreta possibilità che Cina’, in caso di revoca del regime differenziato, riprenda i rapporti con personaggi di assoluto rilievo nel mandamento mafioso, che le operazioni denominate Bivio e Bivio 2·hanno rivelato essere attualmente operativo (v. l’ordinanza custodiale del 12 luglio 2023 nell’ambito del procedimento n. 2300/2023, che ha documentato incontri riservati tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME, per la trattazione di affari della cosca mafiosa). Un ruolo, quello testé riassunto, rispetto al quale le propalazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOMEsecondo cui Cina’ sarebbe stata «persona priva di carisma, buona e molto influenzabile che non aveva fatto il salto nell’associazione RAGIONE_SOCIALE e che se fosse tornato, una volta posto in libertà, a reclamare il suo ruolo, gli altri lo avrebbero preso a pedate») sono state ritenute non dirimenti, non essendo stata documentata, dalla difesa che le ha introdotte nel reclamo, la valutazione giudiziale compiuta sulla attendibilità del dichiarante e sui relativi riscontri al suo narrato. Tanto più i rapporto al dato, confermato dall’esperienza giudiziaria, secondo cui, nelle organizzazioni di stampo mafioso, il vincolo associativo permane anche in costanza di detenzione in carcere, in particolare in relazione ai soggetti che hanno rivestito posizioni di vertice e in mancanza di chiare manifestazioni di resipiscenza, qui non rinvenibili, al di là di una generica critica ai propri trascorsi che il detenuto avrebbe espresso, secondo quanto riferito dagli operatori penitenziari, i quali hanno anche sottolineato come Cina’ professi la propria innocenza e si consideri tuttora estraneo alle accuse mossegli. Né, evidentemente, è stata ritenuta decisiva la circostanza, pur dedotta dalla Difesa, dei contrasti con altri soggetti al vertice di altra famiglia mafiosa, e segnatamente con i COGNOME, sul presupposto che egli potesse comunque ristabilire, in un quadro di alleanze interne all’organizzazione fluide e cangianti, contatti con altri soggetti intranei alla stessa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. La motivazione ora riassunta si mantiene nel perimetro di una ragionevole opinabilità di apprezzamento e, dunque, non può ritenersi né mancante, né apparente. Ne consegue che le censure difensive finiscono per impingere il merito della motivazione o, comunque, per prospettare vizi di logicità che non sono, tuttavia, deducibili con il ricorso per cassazione. Infatti, mentre il controllo svolt dal Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato si estende alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata (Sez. 1, n.
18434 del 23/04/2021, Mule’, Rv. 281361 – 01), il sindacato esperibile nel giudizio di legittimità è soltanto quello relativo alla violazione di legge, secondo quanto
stabilito testualmente dall’art.
41-bis, comma
2-sexies,
Ord. pen.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 25 marzo 2025
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