Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1544 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1544 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MESSINA il 07/05/1965
avverso l’ordinanza del 26/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento ministeriale di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen, reso in data 24 gennaio 2022.
Nell’atto di reclamo, la difesa del TROVATO, rilevato che il decreto del 26 gennaio 2018 con cui venne originariamente applicato tale regime era fondato soltanto sulla pendenza di un procedimento per reato associativo mafioso, evidenziava che da quella imputazione il suo assistito era stato definitivamente assolto con sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria, irrevocabile dal 12 ottobre 2021 (quindi in data antecedente a quella di emissione del decreto di proroga), sicché dovevano essere considerati venuti meno i presupposti applicativi della proroga in questione.
1.1. Nell’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza, pur prendendo atto della citata assoluzione, valutata alla stregua di “indubbio elemento di novità”, rigettava egualmente il reclamo, valorizzando, in modo precipuo, i seguenti due elementi sopravvenuti al decreto ministeriale originario: 1) la sentenza di condanna n. 59/2019, emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria (irrevocabile in data 5 dicembre 2019), subìta dal TROVATO per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90, con ruolo di promotore,: 2) la sentenza di condanna n. 323/2021, emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 27 aprile 2021 (irrevocabile in data 12 ottobre 2021), subìta da TROVATO per il reato di violenza privata aggravata dall’art. 7 I. n. 203/91, commesso in concorso con esponenti di spicco del clan mafioso “COGNOME“.
Secondo il Tribunale adìto, in sostanza, NOME COGNOME, seppure assolto dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., doveva considerarsi soggetto “certamente contiguo” al clan suddetto, atteso che non aveva esitato ad agire nell’ambito del procedimento da ultimo citato – sia con suo fratello NOME, condannato “per mafia”, che con il capo dell’associazione. Ciò deponeva, ampiamente, per la possibilità di ripristinare i collegamenti con il clan, la cu attività, commettendo il delitto di violenza privata, non aveva esitato ad agevolare.
Quanto alla condotta inframuraria, ritenuta l’irrilevanza del rapporto disciplinare del 13 ottobre 2021, il giudice a quo notava che, per il periodo precedente, il Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, nel concedere il beneficio della liberazione anticipata “per ben dieci semestri”, aveva dato atto di una condotta corretta del detenuto; tuttavia, al di là di questo dato, il Tribunale non riteneva di ravvisare segni di ravvedimento e di dissociazione del TROVATO.
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Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME sviluppando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. in relazione all’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. pen.
Si censura come apparente la motivazione adottata dal Tribunale di Sorveglianza di Roma sulla permanenza dei presupposti del regime differenziato, in quanto: a) il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90, per il quale, a partire 20 dicembre 2014, il TROVATO era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, non era stato considerato a fondamento del decreto originariamente applicativo del regime differenziato, viceversa fondato sulla emissione di un successivo titolo cautelare (27 marzo 2017), in altro procedimento, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.; b) il reato di c all’art. 74 citato non risultava aggravato dall’art. 7 I. n. 203/91, né l’ordinanz impugnata aveva dato atto dell’esistenza di eventuale collegamenti tra il sodalizio capeggiato dal COGNOME, dedito al narcotraffico, e quello mafioso diretto da NOME COGNOME; c) il reato di violenza privata, aggravato dall’art. 7 I. n. 203/91, era da ritenersi occasionale, né era stato ritenuto espressione dell’intraneità del COGNOME all’organismo associativo di tipo mafioso, tanto che, con la medesima sentenza, l’imputato era stato assolto dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.; d) la persistente operatività del sodalizio mafioso non sarebbe desumibile dal sequestro di prevenzione operato nei confronti di NOME COGNOME (coimputato di COGNOME nel reato di violenza privata citato), avendo esso avuto ad oggetto beni sequestrati già in sede penale contestualmente all’emissione del titolo cautelare personale.
2.2. Con il secondo motivo, si denunciano violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo alla omessa valutazione della funzione rieducativa della pena.
In sintesi, si censura il provvedimento impugnato nella parte in cui aveva ravvisato la capacità del ricorrente di mantenere contatti con la criminalità organizzata senza confrontarsi con la durata della sottoposizione al regime differenziato e, soprattutto, con i risultati del trattamento carcerario, d apprezzarsi quali elementi ineludibili in relazione alla funzione rieducativa della pena.
Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, per aver essa ritenuto sussistenti le condizioni giustificanti la proroga del regime carcerario speciale con motivazione apparente, non rispettosa dei principi di diritto dettati dal giudice di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto per le ragioni che seguono.
Giova premettere che, ai fini dell’adozione del provvedimento di applicazione del regime che, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., comporta la sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per gravi reati espressamente individuati, occorrono «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva». Non si esige sul punto un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono primaria rilevanza quelli desumibili dai fatti di cui all condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso (fra le altre, Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, Mule’, Rv. 281361; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, Giuliano, Rv. 267248).
Si tratta, quindi, di un accertamento prognostico diverso da quello finalizzato a verificare il pericolo di reiterazione delle medesime condotte delittuose perché, in un’ottica di tutela più anticipata, ha l’obiettivo di prevenir tramite le funzionali prescrizioni del regime detentivo speciale, già il solo collegamento operativo con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave allarme sociale posti a fondamento della detenzione.
Ai fini della proroga del regime differenziato di cui trattasi, va, invece, apprezzato non tanto il concreto realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli, quanto, più propriamente, la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi – non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti – la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 24134 del 10/5/2019, COGNOME, Rv. 276483; Sez.1, n. 2660 del 9/10/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 274912; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, Stranieri, Rv. 232892; Sez. 1, n. 36302 del 21/9/2005, COGNOME, Rv. 232114). Va, infatti, verificata, a mente dell’art. 41-bis, comma 2, cit., l «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati, «anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati, in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’interno dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto. Mentre si sottolinea che il mero decorso de tempo
non costituisce da solo elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra.
Il perimetro e le modalità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti ministeriali previsti dalla disposizione in commento, circoscritto nel testo attuale del comma 2-sexies alla verifica della “sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento” sono stati precisati da numerosi interventi della Corte costituzionale.
4.1. Con riferimento ai provvedimenti di applicazione del regime differenziato, il Giudice delle leggi ha affermato la loro piena sindacabilità, ad opera del giudice ordinario, e precisamente del Tribunale di sorveglianza adito col reclamo di cui all’art. 14-ter Ord pen., sia sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti per tale applicazione e della congruità della relativa motivazione, sia sotto il profilo del rispetto – nel contenuto delle misure restrittive disposte limiti del potere ministeriale: tanto di quelli “esterni”, collegati cioè al divie incidere sul residuo di libertà personale spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti dell’esecuzione che toccano, anche indirettamente, la qualità o la quantità della pena detentiva da scontare o i presupposti per l’applicazione delle misure così dette extramurali, quanto di quelli “interni, discendenti dal necessario collegamento funzionale fra le restrizioni concretamente disposte e le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza cui devono essere rivolti provvedimenti applicativi del regime differenziato, nonché dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e dall’obbligo di non vanificare la finalità rieducativa della pena (sentenza Corte cost. n. 376 del 1997 che, espressamente richiama le precedenti pronunce n. 349 del 1993 e n. 351 del 1996; e più, di recente, n. 186 del 2018 e n. 97 del 2020). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Con riguardo ai provvedimenti di proroga del regime differenziato, la Corte costituzionale è pervenuta a conclusioni dello stesso tenore, esplicitamente avallando la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo le modifiche apportate all’art. 41-bis Ord. pen dalla legge n. 279 del 2002 e dalla legge n. 94 del 2009. Essa, dapprima, nell’esaminare le conseguenze dell’introduzione al comma 2-bis cit. dell’inciso «purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato d mantenere contatti con associazioni criminali’ terroristiche o eversive sia venuta meno» (oggi soppresso), ha escluso che nella verifica dei presupposti possa operarsi una inversione dell’onere della prova (nello stesso senso Sez. 1, n. 15283 del 30/3/2006, COGNOME Rv. 234844; Sez. 1, n. 41316 del 23/9/2009, COGNOME, Rv. 245048), ribadendo che il provvedimento di proroga deve contenere un’adeguata motivazione sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali (nello stesso senso, ex plurimis, :Sez. 1, n. 48396 del 6/10/2011,
Lucchese, Rv. 251583) e che, conseguentemente, «in sede di controllo giurisdizionale spetterà al giudice verificare in concreto – anche alla luce delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto – se gli elementi posti dall’amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legittimano l’adozione del regime speciale» (sentenza n. 417 del 2004). Successivamente, nel considerare infondata la censura relativa all’asserita cancellazione di ogni controllo di legalità, da parte del Tribunale di sorveglianza, sui contenuti del provvedimento ministeriale applicativo delle prescrizioni dettate dall’art. 41-bis, comma 2-quater, della legge n. 354 del 1975, nel testo modificato dalla legge n. 94 del 2009, con conseguente violazione degli artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, ha precisato, sulla base di ricostruzione sistematica delle norme dell’ordinamento penitenziario, che le proroghe – a prescindere dalla soppressione, nella disciplina del reclamo di cui al comma 2-sexíes cit. contro il decreto applicativo del regime speciale, del riferimento al controllo sulla congruità di contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza – al pari di tutti i provvedimenti adottati nei confronti dei detenuti lesivi di posizioni giuridiche che, per la lo stretta inerenza alla persona umana, sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, continuano ad essere reclamabili con lo strumento generale previsto dall’art. 14-ter Ord. pen. davanti al giudice dei diritti e cioè al giudice ordinario ai sensi dell’art. 24 della Costituzione (C. Cost., sentenza n. 190 del 2010). Il sindacato giurisdizionale attivato dai detenuti attraverso tale rimedio, proprio perché funzionale alla tutela di diritti soggettivi, si estende «non solo alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto d questo», con la conseguenza che «eventuali misure illegittime, lesive dei diritti del detenuto, dovranno perciò essere a questi fini disattese, secondo la regola generale per cui il giudice dei diritti applica i regolamenti e gli a dell’amministrazione solo in quanto legittimi» (C. Cost., sentenza n. 351 del 1996, richiamata dalla n. 190 del 2010 ). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.3. Conclusivamente, il controllo da parte del Tribunale di sorveglianza, adito in sede di reclamo avverso i provvedimenti di proroga del regime differenziato, lungi dal costituire un sindacato di mera legittimità sulla congruità della motivazione, come tale limitato alla valutazione della correttezza, logica e giuridica, del provvedimento reclamato, è, invece, volto a verificare la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti normativi di cui all’art. 41-bis Ord. pen. mediante il ponderato apprezzamento dell’intero materiale probatorio raccolto: quindi, non solo degli elementi fattuali posti a fondamento del decreto
ministeriale, ma anche di quelli, eventualmente allegati dal reclamante o comunque emersi dall’istruttoria, al fine di riscontrarne, con congrue e pertinenti argomentazioni critiche sulle contrapposte prospettazbni, la idoneità dimostrativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (Sez. 1, n. 18434 del 23/4/2021, cit.; Sez. 7, n. 19290 del 10/3/2016, cit.; Sez. 1, n. 22721 del 26/3/2013, Di Grazia, Rv. 256495).
Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità sulla decisione sul reclamo, circoscritto al solo vizio di violazione di legge da intendersi nel senso che il controllo ha per oggetto, oltre che l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, la mancanza di motivazione, con la precisazione che a tale vizio devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere c:omprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U, n. 25080 del 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224611).
Venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che il Tribunale di sorveglianza di Roma non abbia rispettato i richiamati parametri ermeneutici, rendendo una motivazione inidonea, in relazione al disposto di cui all’art. 125 cod. proc. pen., a giustificare la sussistenza dei presupposti della proroga del regime differenziato.
Come già indicato nella superiore esposizione in fatto, NOME COGNOME era stato sottoposto al regime penitenziario differenziato perché sottoposto a misura cautelare custodiale per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso.
Da tale reato, peraltro, TROVATO è stato pacificamente assolto in via definitiva.
Il Tribunale di sorveglianza, benché abbia esplicitamente apprezzato il dato processuale dell’assoluzione alla stregua di un “indubbio elemento di novità” (quarta pagina del provvedimento reso), lo ha, tuttavia, reputato insufficiente “a far venir meno la legittimità della proroga”, attribuendo valenza preponderante ai due elementi sopravvenuti richiamati in premessa, costituiti dalle sentenze irrevocabili di condanna per i reati di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309/90 e 610 cod.
pen. quest’ultimo aggravato dall’art. 7 I. n. 203/91 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.).
Da tali condanne, il giudice di merito ha tratto in via inferenziale la definizione di TROVATO quale “soggetto certamente contiguo al clan”, per ciò stesso capace di ripristinare i collegamenti con esso.
Orbene, non è superfluo ricordare, come si è già detto, che, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, è necessario accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno, accertamento che deve essere condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri, non esaustivi, quali il profilo criminale, la posizione rivestita da soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario e il tenore di vita dei familiari del sottoposto (pe tutte, Sez. 5, n. 40673 del 30/5/2012, COGNOME, Rv. 253713).
In relazione agli indicati parametri, è certamente da escludersi, per quanto emerge dal tenore del provvedimento impugnato, che le “incriminazioni” di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309/90 e 610 cod. pen. e 7 I. n. 203/91 (oggi art. 416bis.1 cod. pen.) possano considerarsi quali “sopravvenienze non precedentemente valutate”, atteso che: a) quella più grave ha determinato l’emissione di ordinanza cautelare in data 20 dicembre 2014 ed è stata, quanto meno, implicitamente ritenuta irrilevante ai fini della prima applicazione del regime differenziato, risalente al decreto ministeriale del 26 gennaio 2018; b) quella di violenza privata aggravata risulta contestata nello stesso procedimento comprendente l’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa (operante fino al 2018), reato che ha costituito l’unica ragione fondante l’emissione del decreto ministeriale citato.
Ora, se è vero che la ricordata lezione di legittimità è nel senso di considerare “non esaustivi” i parametri elencati dall’art. 41-bis, comma 2-bis, terzo periodo, Ord. pen., è altrettanto vero che, in riferimento agli elementi di carattere “sopravvenuto” in senso “aggravatore”, per così dire, della posizione del detenuto, ci si dovrebbe attenere a criteri interpretativi più vicini alla littera legis, quanto meno nell’esigere, in un caso, come quello di specie, in cui non possono profilarsi vere e proprie “nuove incriminazioni” – ma solo la sopravvenuta irrevocabilità di decisioni aventi ad oggetto imputazioni in ipotesi rilevanti ai fini della proroga – la dimostrazione di uno stretta connessione tra le imputazioni stesse e la richiesta “capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale”.
Sotto quest’ultimo profilo, non può reputarsi corretto, in diritto, sufficiente, sul piano motivazionale, il riferimento, operato dal Tribunale di sorveglianza di Roma, alla mera “contiguità” di TROVATO al clan mafioso “COGNOME“, posto che la situazione di “contiguità”, secondo il costante orientamento di questa Corte, non è ritenuta idonea a integrare il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (Sez. 6, n. 40746 del 24/6/2016, COGNOME e altri, Rv. 268325), né il concetto di “appartenenza” mafiosa, costituente il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271512; Sez. 6, n. 49750 del 4/7/2019, COGNOME, Rv. 237438).
Su un piano più strettamente motivazionale, non si chiarisce, nell’ordinanza impugnata, in relazione alla condotta oggetto di condanna ascritta all’imputato nei due suindicati procedimenti, come l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sarebbe tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria.
Si tratta di lacune, in diritto e motivazionali, che impongono l’annullamento del provvedimento censurato.
Ad avviso del Collegio, anche il secondo motivo è da ritenersi fondato, in quanto, a fronte di un lungo periodo trascorso dal TROVATO in carcere e della concessione, in suo favore, di sei semestri di liberazione anticipata, la motivazione circa l’insufficienza di tale dato a dimostrare ravvedimento o dissociazione del detenuto si delinea come! meramente assertiva, e, quindi, apparente, in violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata va, in conclusione, annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma, che provvederà a sanare i vizi rilevati attenendosi a tutti i criteri prima enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023