Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6848 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6848 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, n. Belvedere Marittimo (Cs) 16/06/1962
avverso l’ordinanza n. 689/24 del Tribunale di Milano del 24/07/2024
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito per il ricorrente, l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per il suo accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Milano ha respinto l’istanza di riesame avanzata da NOME COGNOME avverso quella del 02/07/2024 con cui il G.i.p. dello stesso Tribunale ha disposto nei suoi confronti gli arresti domiciliari in relazione alle accuse provvisorie di corruzione propria aggravata (artt. 319, 319bis cod. pen., capo 1 dell’imputazione provvisoria) di alcuni reati connessi (turbativa d’asta, capo 3; rivelazione di segreto d’ufficio, capo 4; emissione di fatture per operazioni inesistenti, capo 12), la prima consumata, secondo l’accusa, in veste di Generale dell’Arma dei Carabinieri, preposto pro tempore al comando del 2. Rgt. Allievi Marescialli e Brigadieri di Velletri (Rm), mediante accettazione di svariate utilità da alcuni imprenditori in cambio della conduzione di gare ad evidenza pubblica in violazione di plurime previsioni di legge.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dello indagato, che, non contestando il profilo della gravità indiziaria del reato in addebito, concentra le censure su due aspetti.
2.1. Con un primo motivo di doglianza deduce, infatti, violazione di legge e vizi correlati di motivazione con riguardo agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen. e alla determinazione della competenza territoriale.
Sostiene la difesa che il luogo di consumazione del più grave reato contestato di corruzione non può essere individuato in Milano.
Una delle utilità di cui si contesta la ricezione è, infatti, consistita nella mess a disposizione di un biglietto per un evento tenutosi al INDIRIZZO di Milano, il quale venne trasmesso in formato elettronico mediante messaggio whatsapp da parte della sig. NOME COGNOMEdipendente del RAGIONE_SOCIALE, ricevendolo l’indagato sul proprio dispositivo cellulare mentre si trovava a Roma, dove risiede e dove all’epoca dei fatti prestava servizio presso il CASD, Centro Alti Studi per la Difesa.
Il Tribunale ha, invece, ritenuto applicabili gli artt. 8 e 9 cod. proc. pen valorizzando la partecipazione a quell’evento della figlia e della nipote del ricorrente, facendo in tal modo cattivo governo delle citate previsioni di legge, aggravato dalla contraddittoria affermazione di non poter determinare con certezza il luogo di consumazione del reato, dopo averlo fatto nella maniera erronea sopra indicata.
Il Tribunale, inoltre, non ha fatto buon governo neppure dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno stabilito come, ai fini della competenza per territorio in ordine a reati connessi (come nel caso in
esame), qualora non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave a norma degli artt. 8 e 9, comma 1, cod. proc. pen., il giudice competente a decidere deve ritenersi quello del luogo in cui risulta commesso il reato che, in via decrescente, si presenta come meno grave rispetto al primo e più grave degli altri reati (Sez. U, n. 40537 del 2009), da individuare nella fattispecie in quello di turbata libertà degli incanti di cui al capo 3 del incolpazione, commesso in Velletri (Rm).
2.2. Con un secondo motivo si deduce ancora la violazione degli artt. 8 e 9 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1322 e 1418 cod. civ. con riferimento al simulato contratto di locazione di un immobile di proprietà di una società della sorella del ricorrente, utilizzato come schermo per la dazione di corrispettivi in danaro da parte del soggetto locatario (una società riconducibile all’imprenditore NOME COGNOME) in realtà mai venutone nella materiale disponibilità.
La difesa sostiene che la circostanza che, ad un certo punto del rapporto di locazione (in tesi simulato secondo l’accusa), li locatario abbia, invece, iniziato a fruire dell’immobile, non ha comunque avuto l’effetto di sanare la nullità civilistica originaria per mancanza di causa (artt. 1322 e 1418 cod. civ.), con la conseguenza che l’ultima utilità percepita dal ricorrente, corrispondente all’ultimo bonifico eseguito dal locatario, corrisponde alla somma versata in data 23 agosto 2022 con accredito sul conto corrente acceso presso la Banca Unicredit, filiale di INDIRIZZO di Napoli.
2.3. Con un terzo e ultimo motivo deduce, infine, vizi di legge e di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di attuali esigenze cautelari.
Il Tribunale di Milano non ha ritenuto rilevanti, ai fini di una attenuazione del regime cautelare e/o della revoca della misura, la distanza temporale dai fatti, protrattisi al più tardi al mese di dicembre del 2021, oltre che alla intervenuta sospensione dall’incarico.
Anche le ulteriori emergenze investigative portate dal Pubblico Ministero alla attenzione del Tribunale, relative ai contatti intercorsi tra il ricorrente e un altr imprenditore (COGNOME, riguardano in realtà rapporti protrattisi non oltre il mese di dicembre 2022, precedenti circa due anni l’emissione della misura.
Né i rapporti che medio tempore il ricorrente ha intrattenuto con dirigenti e uomini politici possono rilevare in senso accusatorio, atteso il ruolo ricoperto di responsabile dell’ufficio stampa e pubbliche relazioni dell’Arma dei Carabinieri, così come le richieste di biglietti di partecipazione ad eventi calcistici che lo stesso avrebbe rivolto ad un paio di altri imprenditori.
Il Tribunale ha, infine, attribuito rilevanza cautelare a due ulteriori contratti d locazione di immobili siti in Belvedere Marittimo (zona d’origine del ricorrente),
stipulati, con la RAGIONE_SOCIALE evidenziando che uno di essi è ancora in essere, essendone prevista la scadenza alla data del 30 novembre 2025.
Trattasi, tuttavia, di contratti stipulati nel lontano 2019 dalla cui semplice permanenza di effetti giuridici non può logicamente ricavarsi l’attualità del pericolo di reiterazione dei reati richiesto dall’art. 274 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui alla motivazione.
Prima di affrontare il tema dedotto con il terzo motivo di doglianza relativo alle esigenze cautelari, occorre prendere in esame l’eccezione di incompetenza territoriale formulata con i primi due motivi di ricorso.
Costituisce, infatti, dato acquisito la rilevabilità dell’incompetenza territorial da parte della Corte di cassazione anche nei procedimenti cautelari personali e la valenza delle sue determinazioni (v. Sez. 1, n. 9413 del 14/02/2013, COGNOME e altro, Rv. 255065; Sez. 1, n. 20992 del 29/04/2011, confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 250117).
Nella specie, tuttavia, non si può non tener conto della novità processuale partecipata a questa Corte dallo stesso difensore del ricorrente nel corso della camera di consiglio – riguardante l’avvenuto passaggio del procedimento alla fase dibattimentale a seguito di emissione di decreto di citazione a giudizio con rito immediato (art. 459 cod. proc. pen.).
Da tanto deriva un’immediata conseguenza: il giudice competente per l’applicazione, la modifica e/o la revoca delle misure personali cautelari è oggi quello che procede e vale a dire il Tribunale di Milano in sede di cognizione.
Ferma restando, infatti, l’astratta titolarità di questa Corte di legittimità pronunciarsi sul tema nell’ambito del procedimento incidentale cautelare, una sua eventuale pronuncia di incompetenza ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., con la conseguente indicazione del G.i.p. competente, non potrebbe in nessun caso travolgere il disposto dell’art. 279 cod. proc. pen., rimanendo, pertanto, priva di effetti.
Né si può sostenere che l’eccezione sollevata resti, a causa della progressione processuale, priva di risposta, atteso che in forza del vigente art. 24-bis, comma 1, cod. proc. pen., prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa
manchi (come nel caso di rito immediato), entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1, la questione sull’individuazione della competenza territoriale può essere rimessa, anche di ufficio, a questa Corte di cassazione, anche in caso di intervenuto respingimento da parte del giudice dell’udienza preliminare (art. 21, comma 2, ult. parte, cod. proc.).
Resta, però, fermo che è solo il giudice procedente a dover apprezzare l’eventuale sussistenza di profili di incertezza e a decidere di investire o meno della questione la Corte di legittimità, al riguardo essendo stato già affermato il principio secondo cui risulta precluso il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza territoriale ex art. 24-bis cod. proc. pen. quando il giudice investito della questione sia certo della propria competenza o per converso della propria incompetenza, dovendo in tali eventualità adottare i provvedimenti consequenziali, rigettando l’eccezione formulata dalla parte o dichiarando immediatamente la propria incompetenza (Sez. 3, n. 39153 del 12/07/2024, Rv. 286979).
Per le ragioni appena esposte, il primo ed il secondo motivo di censura vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse.
Diverse considerazioni si impongono con riferimento al secondo motivo di doglianza in tema di attualità delle esigenze cautelari in relazione alla misura degli arresti domiciliari in atto nei confronti del ricorrente.
Deduce la difesa che da un lato le condotte illecite risalgono al più tardi al mese di dicembre 2021, precedendo, quindi, di oltre due anni e mezzo l’applicazione della misura e dall’altro che il ricorrente è stato nelle more sospeso dal servizio, non prima di essere stato comandato a ricoprire un ruolo non operativo come quello di responsabile dell’ufficio Pubbliche Relazioni dell’Arma dei Carabinieri.
Deduce, inoltre, la difesa che quegli elementi (v. supra par. 2.3 del Ritenuto in fatto) valorizzati al fine di ribadire la sussistenza di esigenze di cautela non posseggono quella pregnanza loro attribuita dal Tribunale, sicché la motivazione sul punto risulterebbe illogica o gravemente contraddittoria.
Il Collegio non condivide appieno le critiche espresse al provvedimento sul punto, atteso che in ogni caso quei fatti, obiettivamente accertati, sono stati legittimamente apprezzati dal Tribunale in funzione del giudizio demandatogli ai sensi dell’art. 274, lett. a) (pericolo di inquinamento probatorio) e lett. c) (pericolo di reiterazione dei reati per cui si procede), giudizio che per quanto non condiviso dalla difesa non comporta ipso facto che sia affetto da vizi della motivazione e tanto meno da violazione di legge.
Resta, invece, il dato indiscutibile che persiste uno iato temporale consistente tra l’epoca di consumazione delle condotte illecite, al più tardi dispiegatesi nel mese di dicembre 2021 e l’applicazione della misura avvenuta a distanza di oltre due anni e mezzo dalle stesse.
Una volta, inoltre, posto il tema della vigenza della misura cautelare, non può non venire il rilievo, anche per le ragioni di decorrenza temporale appena indicate, il profilo della proporzionalità di quella in concreto applicata in funzione dei titoli di reato per cui si procede.
Da tempo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha affermato il principio che in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il principio di proporzionalità comporta che, ove il periculum libertatis sia individuato, come nella specie, nel rischio di abuso dei pubblici poteri o della qualità, il giudice deve preventivamente verificare l’adeguatezza della misura della sospensione dallo esercizio di un pubblico ufficio o servizio, essendo questa espressamente preordinata alla finalità cautelare che si intendere prevenire (Sez. 6, n. 40529 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282181).
E ancora che è illegittima, per violazione del principio di proporzionalità, l’applicazione, al pubblico ufficiale autore di delitti contro la Pubblica Amministrazione, della misura cautelare dell’obbligo di dimora in un comune diverso da quello in cui egli svolge la propria attività lavorativa, qualora in tal modo si sia voluto esclusivamente contenere il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, atteso che la stessa esigenza può essere efficacemente soddisfatta attraverso l’applicazione della meno grave misura interdittiva della sospensione dal servizio (Sez. 6, n. 32402 del 16/07/2010, COGNOME, Rv. 248323).
Dal momento che il Tribunale paventa che la sola misura disciplinare di sospensione dal servizio non sia in grado di eliminare il rischio di reiterazione dei reati, attesa la sua natura interinale (pag. 26 ord.) e, può aggiungersi, la dipendenza da determinazioni proprie dell’amministrazione di appartenenza, dovrà essere esplorata l’eventualità che la corrispondente misura adottabile dal giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. pen. possa dispiegare un’efficacia diversa e superiore rispetto a quella amministrativa e quanto meno equipollente a quella coercitiva ora in vigore, al prezzo di un minor sacrificio per lo status libertatis del ricorrente.
L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata limitatamente alle esigenze cautelari con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale indicato in dispositivo.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano competente ai sensi dell’art. 309 comma 7, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso, 9 gennaio 2025