Profitto Ingiusto: Quando l’Estorsione si Configura anche Senza un Danno Evidente
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito importanti principi sul reato di estorsione, in particolare sulla nozione di profitto ingiusto e sul momento in cui il delitto può considerarsi consumato. La decisione chiarisce che l’estorsione sussiste anche quando la pretesa economica del reo ha ad oggetto somme provenienti da un’attività illecita della vittima, e che il reato si perfeziona con la sola limitazione della libertà di scelta della persona offesa.
I Fatti del Caso: La Controversia sull’Estorsione
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per estorsione. L’imputato aveva avanzato due principali doglianze contro la sentenza della Corte d’Appello:
1. Errata qualificazione giuridica: Sosteneva che i fatti dovessero essere inquadrati nel reato meno grave di violenza privata (art. 610 c.p.) e non in quello di estorsione (art. 629 c.p.), poiché a suo dire mancava un danno effettivo per la vittima.
2. Mancata configurazione del tentativo: In subordine, chiedeva che il reato fosse considerato solo tentato e non consumato.
La vittima, infatti, svolgeva l’attività di parcheggiatore abusivo e la condotta minacciosa dell’imputato l’aveva costretta ad allontanarsi dal luogo dove abitualmente operava.
La Decisione della Cassazione sul Profitto Ingiusto
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando le argomentazioni dell’imputato come manifestamente infondate e riproduttive di censure già esaminate e respinte nel precedente grado di giudizio. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per riaffermare due principi consolidati nella giurisprudenza penale.
In primo luogo, è stato chiarito che la provenienza illecita dell’oggetto della pretesa estorsiva (in questo caso, i proventi dell’attività di parcheggiatore abusivo) non esclude né l’ingiustizia del profitto perseguito dall’agente, né la sussistenza di un danno per la vittima. La legge tutela il patrimonio nella sua accezione più ampia, indipendentemente dalla sua origine.
In secondo luogo, la Corte ha stabilito che il reato era da considerarsi consumato. La condotta minacciosa aveva infatti determinato una concreta limitazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa, costringendola a modificare le proprie abitudini e a rinunciare a svolgere la sua (seppur illecita) attività in quel luogo. Questo risultato, ovvero l’allontanamento della vittima, rappresenta già di per sé il conseguimento di un profitto ingiusto per l’estorsore.
Le Motivazioni della Corte
Nelle motivazioni, i giudici hanno sottolineato come la ricostruzione dei fatti operata dai tribunali di merito fosse logica e coerente. La condotta dell’imputato non si era arrestata a uno stadio di mero tentativo. Il contegno minaccioso aveva prodotto un effetto concreto: la vittima, per timore, si era allontanata dal luogo di lavoro abituale, salvo rare eccezioni. Tale allontanamento forzato costituisce la prova del perfezionamento del reato, poiché l’agente ha ottenuto il vantaggio desiderato, ovvero il controllo di quell’area, limitando la libertà altrui.
La Corte ha ribadito un principio fondamentale: per la consumazione del reato di estorsione, è sufficiente che la vittima compia un atto di disposizione patrimoniale (o una rinuncia) a seguito della violenza o minaccia, non essendo necessario un arricchimento monetario diretto nelle mani dell’estorsore. La limitazione della sfera di libertà personale e patrimoniale della vittima è di per sé sufficiente a integrare il delitto.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. Primo, il reato di estorsione tutela la libertà di autodeterminazione patrimoniale in senso lato. La legge non fa distinzioni sull’origine lecita o illecita dei beni o dei proventi che sono oggetto della pretesa estorsiva. Secondo, il confine tra tentativo e consumazione nell’estorsione è superato nel momento in cui la condotta minacciosa produce un effetto reale sulla vittima, costringendola a un’azione o a un’omissione che altrimenti non avrebbe compiuto, e che realizza il vantaggio ingiusto per l’autore del reato.
Si può commettere estorsione se si pretende denaro proveniente da un’attività illecita della vittima?
Sì. Secondo la Corte, la provenienza da un’attività illecita dell’oggetto della pretesa estorsiva non esclude né il carattere ingiusto del profitto per chi commette il reato, né la sussistenza del danno per la vittima.
Quando si considera consumato il reato di estorsione?
Il reato di estorsione si considera consumato nel momento in cui la condotta minacciosa determina una limitazione della libertà di autodeterminazione della vittima, portandola a compiere un atto (o a ometterlo) e consentendo così all’agente di ottenere un profitto ingiusto. Nel caso specifico, l’allontanamento forzato della vittima dal suo luogo di attività è stato ritenuto sufficiente.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano manifestamente infondate e si limitavano a riproporre le stesse censure già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi ed efficaci elementi di diritto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9317 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9317 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 30/05/1987
avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che il ricorrente contesta la mancata riqualificazione dei fatti reato di cui all’art. 610 cod. pen., anziché in quello di cui all’art. 629 cod essendo configurabile alcun danno altrui (primo motivo), e la mancata sussunzi del delitto perpetrato ai danni del signor COGNOME nella fattispecie tentata motivo);
che ambedue le doglianze risultano, oltre che manifestamente infondat riproduttive di profili di censura già prospettati in appello e adeguatamente e disattesi dalla Corte territoriale (cfr. pp. 3-5)
che, quanto alla prima censura, con corretti argomenti logici e giurid giudici di appello hanno congruamente evidenziato il principio consolidato n giurisprudenza di legittimità, secondo cui la provenienza da un’attività dell’oggetto della pretesa estorsiva non esclude il carattere ingiusto del perseguito dal soggetto agente né la sussistenza del danno in capo alla vi (cfr. Sez. 2, n. 40457 del 07/06/2023, COGNOME, Rv. 285101; Sez. 27257 del 11/05/2007, COGNOME, Rv. 237211);
che, quanto alla seconda doglianza, in base alla ricostruzione operat giudici di merito (ed impermeabile allo scrutinio di legittimità, siccome sce illogicità o contraddittorietà), emerge come la condotta perpetrata dal ric non possa ritenersi arrestata allo stadio di tentativo, avendo il c minaccioso posto in essere determinato una limitazione della libert autodeterminazione della persona offesa (allontanatasi dal consueto luogo svolgeva l’attività di parcheggiatore abusivo, salvo che in rare occas assenza dei suoi estorsori), con conseguente ottenimento dell’ingiusto profit rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.