Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23329 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23329 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nata a San Bonifacio 1’01/10/1964
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia il 04/03/2024;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia della parte civile RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso; udito NOME COGNOME difensore di fiducia della società RAGIONE_SOCIALE che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza con cui sono stati condannati COGNOME NOME per il reato di cui all’art. 316 ter cod. pen. e la societ
RAGIONE_SOCIALE di cui COGNOME era rappresentante legale, per l’illecito previsto dall’a 24 d. Igs. 8 giugno 2001, n 231.
A COGNOME è contestato, in concorso con COGNOME, di avere conseguito, attraverso dichiarazioni attestanti fatti non veritieri, contributi di natura agevolat favore della società RAGIONE_SOCIALE, erogati dal Gestore servizi energetici (GSE spa)
In particolare, COGNOME e COGNOME (quest’ultimo assolto) avrebbero attestato falsamente – la COGNOME attraverso la “comunicazione di fine lavori” e COGNOME attraverso l’asseverazione dell’avventa conclusione dei lavori – che, alla data del 31.12.2010, i lavori relativi alla installazione di un impianto fotovoltaico posizionato tetto di un capannone industriale, sito nel comune di Pressana, fossero conclusi, laddove, invece, detto capannone non era stato completamente realizzato e comunque era privo dei pannelli fotovoltaici; ciò avrebbe determinato l’indebito erogazione in favore della società dell’importo complessivo di euro 2.623.504 a titolo di incentivo (dal settembre 2011 al marzo 2017- come da modifica della imputazione).
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
Il tema attiene al ruolo ricoperto in concreto dall’imputata all’interno della socie RAGIONE_SOCIALE; si assume che la ricorrente fosse solo una “testa di legno” e che il vero gestore della società fosse il di lei ex-coniuge NOME COGNOME; dunque, la ricorrente non avrebbe avuto consapevolezza di conseguire indebitamente il contributo economico di cui alla imputazione.
La Corte avrebbe affermato che l’imputata, lungi dal ricoprire un ruolo solo formale, avesse un ruolo effettivo all’interno della società e fosse stata, in particolare, firmataria della comunicazione di fine lavori, senza tuttavia considerare che detta comunicazione fu redatta da COGNOME assolto perché il fatto non costituisce reato.
La Corte avrebbe inoltre tratto argomenti a favore del ruolo non formale della imputata dal fatto che questa fosse l’unica abilitata ad operare sul conto corrente della società, mentre COGNOME non era delegato a fare ciò, e che proprio l’imputata, nel corso di un accesso presso la sede della società della Guardia di Finanza nel 2016, presenziò all’attività dei militari nella sua qualità di legale rappresentante, interloquendo c finanzieri, fornendo notizie sui documenti che le venivano richiesti, indicando i principa clienti della società, fornendo informazioni sui conti cassa e sulle movimentazioni in contante, specificando quali fossero i contratti di locazione in corso della società, dimostrando di essere a conoscenza di tutta l’attività societaria.
La Corte avrebbe inoltre valorizzato la circostanza che quando, nel 2011, GSE aveva preavvisato NOME dell’intenzione di revocare l’erogazione, l’imputata nel novembre di quell’anno sottoscrisse una lettera con cui fornì spiegazioni e chiarimenti, dimostrando
anche in questa occasione piena conoscenza della procedura di concessione del beneficio.
Assume invece la ricorrente che si tratterebbero solo di “firme”, in realtà confermative del ruolo meramente formale ricoperto dalla donna.
Né sarebbe condivisibile l’affermazione secondo cui l’imputata, in occasione dell’accesso della Guardia di Finanza, fornì informazioni, essendosi in realtà anche nell’occasione limitata a firmare il verbale; in particolare, si argomenta, la COGNOME dovette chiamare il figlio NOME COGNOME per fornire le informazioni richieste dai finanzier
Ciò sarebbe attestato dal verbale delle operazioni compiute, da cui emerge che la ricorrente lavorava all’epoca come autista di scuolabus e come i finanzieri dovettero attendere la fine del turno di lavoro prima di stilare il verbale; si aggiunge che, frattempo, era sopraggiunto sul posto il figlio, NOME COGNOME che, come risulterebbe documentato, aveva fornito le informazioni richieste, apponendo la firma sul documento.
Dunque, si aggiunge, non sarebbe chiaro sulla base di quali elementi vi sarebbe la prova della consapevolezza da parte dell’imputata dell’uso della attestazione di fine lavori.
Anche la circostanza, valorizzata in chiave accusatoria, che l’imputata abitasse “al di là della strada”, e, quindi, non potesse non accorgersi della mancata ultimazione dei lavori, non sarebbe affatto decisiva, ben potendo la donna abitare nei pressi del capannone e, tuttavia, non sapere ciò che stesse accadendo sul tetto dello stesso.
Anche la lettera di chiarimenti inoltrata alla GSE sarebbe stata scritta da COGNOME ed esclusivamente firmata dalla ricorrente.
La Corte, sotto altro profilo, avrebbe erroneamente valorizzato la deposizione di NOME COGNOME, progettista elettrico che lavorò all’impianto nel 2010, che avrebbe riferito di avere ricevuto l’incarico dall’imputata a cui aveva fatto un preventivo; in rea il teste avrebbe fatto nell’occasione solo riferimento ad un preventivo inviato dall società (viene riportato un passo delle dichiarazioni rese).
Diversamente dagli assunti della Corte, confermativa del ruolo meramente formale della ricorrente sarebbe, invece, la scrittura privata del 10.9.2010 – per il subentro perfezionando contratto di locazione finanziaria immobiliare – stipulata tra la stessa RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE in cui sarebbe stato dato atto che l’impianto fotovoltai avrebbe dovuto essere ultimato dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME il quale, come risulterebbe dagli stessi documenti prodotti dal Pubblico Ministero, avrebbe chiesto lui ai progettisti COGNOME e COGNOME di attestare la fine dei lavori dell’impianto; d progettisti avrebbero a loro volta attestato con la comunicazione scritta del 31.12.2010 le interlocuzioni avute con COGNOME NOME, quale soggetto operante per conto della RAGIONE_SOCIALE
Lo stesso COGNOME avrebbe dichiarato che l’incarico per il collaudo gli fosse stato conferito dalla RAGIONE_SOCIALE, società amministrata da COGNOME NOME, e non dalla RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova quanto al giudizio di responsabilità in relazione alla valutazione delle dichiarazioni NOME COGNOME il progettista elettrico di cui si è detto, e dei testi Veronese e Ca il tema attiene all’accertamento della data di ultimazione dei lavori.
Vengono riportate le dichiarazione di COGNOME da cui, secondo l’imputata, emergerebbe che, alla data del 31.12.2010, l’impianto poteva essere ultimato e ciò, diversamente dagli assunti della Corte, confermerebbe le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME ritenuti inattendibili al riguardo.
Considerazioni analoghe vengono compiute anche con riferimento ai testi COGNOME e COGNOME che, secondo la Corte, avrebbero confermato la mancata ultimazione dei lavori; secondo l’imputata si tratterebbe di una testimonianza, quella del COGNOME, in realtà proveniente da un soggetto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, non era disinteressato e terzo.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla disposta confisca per equivalente nei confronti di COGNOME.
L’art. 322 ter cod. pen., nella parte in cui prevede la confisca del profitto, sareb entrato in vigore dopo il compimento della condotta attribuita all’imputata, conclusasi con l’attestazione di fine lavori del 31.12.2010; il tema attiene alla qualificazione de confisca di valore come pena e alla conseguente operatività del principio di irretroattività.
Si aggiunge che, pur volendo fare riferimento alla data del marzo 2017, data di cessazione del conseguimento dei contributi, nondimeno il quantum di confisca andrebbe diminuito nel senso che andrebbe determinato solo sulla base di quanto conseguito dopo l’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190.
Si osserva ancora che l’importo andrebbe comunque diminuito per effetto della compensazione con gli importi che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto ottenere per effetto del Terzo conto energia nel periodo 2011- 2017 (cfr., sul tema, anche il terzo motivo di ricorso proposto dalla società)
La compensazione sarebbe stata negata sulla base dell’art. 23, comma 3, del d. Igs. 3 marzo 2011, n. 28, secondo cui coloro nei cui confronti risultano accertate dichiarazioni false o mendaci in ordine alla richiesta di incentivi non possono essere ammessi ad alcun tipo di agevolazione per un periodo di dieci anni.
Si tratterebbe di una norma dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 51 del 2017 della quale la Corte non avrebbe tenuto conto.
Per l’effetto, si aggiunge, dovrebbe essere revocata anche la somma liquidata a titolo di provvisionale del risarcimento del danno.
Ha proposto ricorso per cassazione anche la società RAGIONE_SOCIALE articolando quattro motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato presupposto.
Il tema attiene alla valutazione delle testimonianze dei testi COGNOME COGNOME e COGNOME e il motivo è testualmente sovrapponibile al secondo motivo proposto dalla COGNOME
3.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato presupposto.
Diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, il lucro conseguito sarebbe di particolare tenuità e il falso contestato innocuo.
La Mamir avrebbe realizzato un impianto fotovoltaico con un investimento economico di 4,9 milioni; detto impianto avrebbe prodotto dal 2011 al 2017 energia e utilità per l società per circa 2,6 milioni di euro in ragione del c.d. Secondo Conto Energia al cui accesso era legittimato solo chi avesse concluso i lavori entro il 31.12.2010.
Si afferma che il d.m. 6.8.2010, n. 129 prevede la possibilità, ottenendo una tariffa men vantaggiosa di incentivo economico, di accedere al Terzo Conto Energia nel caso di ultimazione dell’impianto dopo il 31.10.2010 e collegato alle rete entro il 30.6.2011; sulla base di tali dati, dunque, ove pure si volesse ritenere che l’impianto non fosse stato ultimato entro il 31.12.2010, nondimeno vi sarebbe la prova che fosse stato ultimato e attivo entro il giugno del 2011: la Mamir aveva quindi diritto ad accedere al Terzo Conto Energia.
Per effetto dell’accesso al Terzo Conto Energia, la società avrebbe comunque conseguito una utilità di circa 2.3 milioni di euro; una differenza, quindi, di 250.000 eur tra la somma conseguita e quella che sarebbe stata ottenuta attraverso l’accesso al Terzo Conto Energia; una differenza “di poco conto” rispetto alla somma investita.
Detto importo dovrebbe peraltro essere posto in connessione con quanto la GSE avrebbe conseguito nel corso degli atti, tenuto conto che dal 2017 non corrisponderebbe più incentivi alla Mamir e continuerebbe ad ottenere utilità.
Sarebbe quindi viziata l’ affermazione della Corte di appello secondo cui il lucro di 250.000 euro non sarebbe di “particolare tenuità” rispetto alla parte civile.
Sulla base delle considerazioni esposte, la condotta di falso sarebbe innocua e priva di offensività.
3.3. Con il terzo motivo si desume violazione di legge e vizio di motivazione quanto al punto della confisca.
Il tema attiene alla compensazione tra quanto ottenuto con il Secondo Conto Energia e quanto comunque sarebbe stato ottenibile dalla società con il Terzo Conto Energia.
Il divieto di compensazione, come detto, sarebbe stato affermato dalla Corte in ragione dell’art. 23, comma 3, del d. Igs. n. 28 del 2011, secondo cui coloro nei cui confronti risultano accertate dichiarazioni false o mendaci in ordine alla richiesta d incentivi non possono essere ammessi ad alcun tipo di agevolazione per un periodo di dieci anni; si tratterebbe di una norma dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 51 del 2017 della quale la Corte non avrebbe tenuto conto.
Sul punto, il motivo è sostanzialmente sovrapponibile a quello contenuto nel ricorso proposto dalla COGNOME.
3.4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivamente severo anche in ragione dell’entità del danno; la sentenza sarebbe viziata anche in ordine alla sanzione interdittiva inflitta, in ragion dell’assenza di un profitto di rilevante entità.
È stata prodotta una memoria difensiva nell’interesse della società con cui si ripercorrono le argomentazioni già sviluppate e si evidenzia la essenzialità e la connessione tra i due termini che la legge prevedeva (30.12.2010 e 30.6.2011), di cui è detto; si afferma che proprio il fatto che l’impianto fosse funzionante alla data de 30.6.2011 renderebbe innocuo il falso della attestazione dei lavori al 30.12.2010 e insussistente, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen offesa all’interesse protetto dalla norma, da identificarsi nel buon andamento della pubblica amministrazione e, in particolare, nella corretta produzione di energia elettrica.
Il falso sulla ultimazione dei lavori sarebbe stato sanzionato come se questo avesse prodotto l’indebita percezione del contributo e ciò a prescindere dal fatto che i contributo fu accordato dopo il controllo della GES e la verifica che alla data de 30.6.2011 l’impianto fosse funzionante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è inammissibile.
È inammissibile il primo motivo.
La Corte di appello, con una motivazione puntuale, ha spiegato come, al di là dei molteplici, rilevanti, documenti firmati dall’imputata, il ruolo di COGNOME emerg chiaramente da una serie di elementi; COGNOME era l’unica a poter accedere al conto della società, era la persona che aveva chiesto il preventivo dei lavori, era colei che, i occasione dell’accesso della Guardia di Finanza, aveva fornito ai militari le informazioni sui documenti, sui clienti della società, sulla cassa, sulla movimentazione del denaro.
Non esattamente un ruolo meramente formale.
Non è condivisibile l’assunto difensivo secondo cui invece il ruolo meramente formale dell’imputata emergerebbe dal verbale redatto 1’8.3.2016 dalla Guardia di Finanza.
Diversamente dagli assunti difensivi, dal verbale – allegato al ricorso- non emerge affatto che le informazioni ai militari furono fornite da COGNOME NOME COGNOME, per ragion di lavoro, dovette allontanarsi dalla sede della impresa dalle 15.40 alle 16, e i milita alla presenza di COGNOME attesero il suo ritorno e fu l’imputata a interloquire con i finanz
Sul punto il ricorso è silente.
È possibile che COGNOME avesse un ruolo operativo nella società, ma ciò non esclude affatto il ruolo attribuito alla COGNOME e che emerge, come correttamente rilevato dalla Corte, dalle evidenze probatorie.
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla prova che l’impianto fosse ultimato alla data del 31.12.2010, è inammissibile.
La Corte ha spiegato, da una parte, il senso e la portata probatoria delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME e di come questi abbia riferito che l’impianto, alla data del 31.12.2010, non fosse ultimato, e dall’altra, perché le dichiarazioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME siano dotate di limitata attendibilità e smentite da numerose e diverse elementi di prova di segno contrario, tutti indicati con precisione in motivazione (cfr pag. 8 e ss, sentenza impugnata).
In tale contesto il motivo rivela la sua strutturale inammissibilità.
Le censure dedotte si sviluppano infatti sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettur orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, d preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considera maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata ( Sez. n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
L’odierna ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporr la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire s questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito
una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
E’ possibile che nella valutazione sulla “tenuta” del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2 Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, rv. 209145).
Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, ciò è legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice.
Nel caso di specie, come detto, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell’impugnazione di appello, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
4. Anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla confisca è inammissibile.
In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, le Sezioni unite hanno spiegato che nell’ipotesi in cui il vantaggio sia stato indebitamente conseguito, come nel caso di specie, in ratei periodici e in tempi diversi, il reato è unitari consumazione prolungata, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo (Sez. U, n. 11969 del 28/11/2024, dep. 2025, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 287649).
Dunque, non assume rilievo la circostanza che la falsa attestazione sia stata compiuta prima della modifiche apportate all’art. 322 cod. pen. con la legge 6 novembre 2012, n. 190, che hanno previsto la possibilità di confiscare, anche per equivalente, il profitto de reato, non essendo in contestazione che nella specie le erogazioni si siano protratte fino al 2017.
Né, sotto altro profilo, assume rilievo l’assunto difensivo secondo cui dal profitt confiscato dovrebbero essere detratte le somme conseguite prima del 2012; sul punto
il motivo è obiettivamente generico, non essendo stato nemmeno indicato quali sarebbero gli importi erogati prima del 2012.
Il ricorso proposto nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE è fondato limitatamente al terzo motivo e, in particolare, alla sanzione interdittiva inflitta.
Il primo motivo, relativo al giudizio di responsabilità e, in particolare, alla pr della avvenuta ultimazione dell’impianto alla data del 31.12.2010, è inammissibile.
Si tratta di un motivo sostanzialmente sovrapponibile al secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME e sul tema possono essere richiamate la considerazioni già esposte
E’ inammissibile anche il secondo motivo di ricorso.
È utile ricostruire il quadro normativo.
Il Conto Energia è stato introdotto in Italia con la Direttiva comunitaria 2001/77/CE e poi recepita con l’approvazione del d. Igs. 29 dicembre 2003, n. 387.
Si tratta di un sistema diventato operativo con l’entrata in vigore dei Decret interministeriali del 28/07/2005 e del 06/02/2006 (I° Conto Energia) che hanno introdotto il sistema di finanziamento in conto esercizio della produzione elettrica.
Con il D.M. 19/02/2007 (II° Conto Energia) sono state introdotte alcune novità come l’applicazione della tariffa incentivante su tutta l’energia prodotta dall’impianto, semplificazione delle regole di accesso alle tariffe incentivanti e la differenziazione del tariffe anche in funzione del tipo di integrazione architettonica e della tagl dell’impianto.
L’incentivazione era prevista per gli impianti che avevano concluso i lavori e che erano entrati in esercizio entro la data di scadenza del Secondo Conto Energia, ovvero il 31 dicembre 2010.
Con la legge n. 129 del 13.8.2010 sono state confermate le tariffe dell’anno 2010 del II° Conto Energia a tutti gli impianti in grado di certificare la conclusione dei lavori e il 31 dicembre 2010 e di essere entrati in esercizio entro il 30 giugno 2011.
In particolare, la legge n. 129 del 2010, che ha convertito con modifiche il d.l. 8 lugl 2010, n. 105, ha introdotto l’art. 1 septies con cui si è stabilito che:
“1. Le tariffe incentivanti di cui all’articolo 6 del decreto del Ministro dello svil economico 19 febbraio 2007, recante criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione foto-voltaica della fonte solare, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2007, sono riconosciute a tutti i soggetti che, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 5 del medesimo decreto ministeriale, abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, abbiano comunicato all’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione, al gestore di
rete e al Gestore dei servizi elettrici-RAGIONE_SOCIALE, entro la medesima data, la fine lavor ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011.
1-bis. La comunicazione di cui al comma 1 è accompagnata da asseverazione, redatta da tecnico abilitato, di effettiva conclusione dei lavori di cui al comma 1 e di esecuzione degli stessi nel rispetto delle pertinenti normative. Il gestore di rete e il GSE S.p. ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, possono effettuare controlli a campione per la verifica delle comunicazioni di cui al presente comma, ferma restando la medesima facoltà per le amministrazioni competenti al rilascio dell’autorizzazione”.
In tale contesto generale si colloca il decreto ministeriale 6/8/2010 (c.d. Terzo Conto Energia), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24/08/2010, emanato per dare continuità al meccanismo di incentivazione in Conto Energia per gli impianti fotovoltaici già avviati con i decreti del 28/07/2005, 06/02/2006 (Primo Conto Energia) e 19/02/2007 (Secondo Conto Energia).
Con tale decreto si prevede che possono usufruire degli incentivi definiti nel provvedimento tutti gli impianti che entrano in esercizio dopo il 31/12/2010 a seguito di interventi di nuova costruzione, rifacimento totale o potenziamento, appartenenti a quattro specifiche categorie:
gli impianti fotovoltaici (“su edifici” o “altri impianti”);
gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative;
gli impianti fotovoltaici a concentrazione;
gli impianti fotovoltaici con innovazione tecnologica.
Un decreto riferibile agli impianti entrati in esercizio a partire dal 1 gennaio 2011 fino al 31 maggio 2011.
Dunque, sulla base del quadro normativo indicato, la società ricorrente, che non aveva ultimato alla data del 31.12.2010 l’impianto, il quale, quindi, non poteva essere entrato in esercizio a quella data, non poteva beneficare delle condizioni del Secondo Conto Energia previste con l’originario dm. 19/02/2007.
La società, non avendo ultimato l’impianto alla data del 31.12.2010, non poteva nemmeno beneficiare della proroga attuata con la legge n. 129 del 13.8.2010, che riguardava solo gli impianti ultimati al 31.12.2010 e entrati in esercizio entro 30.6.2011.
Con la falsa asseverazione per cui si procede, la società attestò l’esistenza di un requisito – falso- cioè l’avvenuta ultimazione dei lavori entro il 31.12.2010 che unitamente all’ulteriore requisito – vero- relativo alla entrata in funzione dell’impia prima del 30.6.2011, consenti di usufruire dei benefici del Secondo Conto energie, prorogati con la legge n. 129 del 2010.
Il falso, dunque, diversamente dagli assunti difensivi oggetto anche dei motivi aggiunti, non era affatto innocuo ed inoffensivo perché senza quella attestazione
l’impresa non avrebbe avuto diritto ad accedere ai benefici previsti con il Secondo Conto Energia, estesi con la legge n. 129 del 2010.
È inammissibile anche il terzo motivo d ricorso, strettamente connesso al secondo, che riguarda la quantificazione del profitto.
Si è già detto di come il tema attenga alla compensazione tra il profitto conseguito attraverso l’accesso illecito al Secondo Conto Energia e quello che sarebbe stato comunque conseguibile con il Terzo Conto Energia.
Si tratta di un assunto obiettivamente non condivisibile, trattandosi di una mera prospettazione astratta che non consente di affermare che vi fossero le condizioni per beneficiare del Terzo Conto Energia.
Il quarto motivo di ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio, è inammissibile quanto alla dedotta eccessività della sanzione pecuniaria, essendosi limitato il ricorrente a deduzioni generiche senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, mentre è fondato in relazione alla sanzione interdittiva inflitta.
È noto come, al fine di infliggere una sanzione interdittiva, il giudice debba verificar l’ulteriore profilo relativo alla ricorrenza delle condizioni cui l’art. 13 comma 1, lett a) e b) , d. Igs. n. 231 del 2001, e cioè che: a) l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato risulti commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) l’ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti.
La disposizione ha tradotto il criterio di delega contenuto nella direttiva di cui all’ 11, lett. I), I. 29 settembre 2000, n. 300, che prevedeva l’applicazione delle sanzioni interdittive solo nei casi di particolare gravità.
Si tratta di condizioni che devono sussistere alternativamente e non congiuntamente (Sez. 2, n. 4703 del 24/11/ 2011, dep. 2012, Studio dentistico “NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME” RAGIONE_SOCIALE, Rv. 251722; Sez. 6, n. 32627 del 23/06/2006, RAGIONE_SOCIALE a r.I., Rv 235636).
Il legislatore non ha fornito una nozione di “profitto di rilevante entità”, tantomeno, è rintracciabile in nessun testo normativo una nozione generale di profitto. Per tali ragioni è rimesso all’interprete il compito di delinearne una definizione.
In giurisprudenza, è diffusa l’affermazione secondo cui il profitto cui si riferisce l’ 13, a differenza del profitto inteso come vantaggio materiale direttamente derivante dal reato, deve essere inteso anche “in senso dinamico”, in maniera da ricomprendervi anche i vantaggi economici non immediatamente conseguiti attraverso la realizzazione dell’illecito (Sez. 2, n. 11209 del 23/06/2006, Rv. 266427; la giurisprudenza successiva si è allineata al principio di dinamicità del profitto di rilevante entità. In tal sens
anche, Sez. un., n. 26654, del 27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, in motivazione).
Si è precisato che nella nozione di profitto di rilevante entità rientrano anche vantaggi economici relativi alla posizione di privilegio che l’ente collettivo può acquista sul mercato; possono assumere rilievo: a) gli ulteriori lavori acquisiti dall’impresa a seguito di una pregressa aggiudicazione illecita; b) l’assunzione dei requisiti per la partecipazione a gare di affidamento di lavori pubblici; c) l’incremento del merito dell’impresa presso gli istituti bancari o finanziari; d) l’aumento del potere contrattuale nei confronti dei fornitori e subappaltatori (Sez. 2, n. 11209 del 09/02/2016, cit.).
Si tratta di affermazioni che devono essere esplicitate e poste in connessione con la tendenza sempre più evidente ad interpretare in senso estensivo la nozione di profitto; una nozione capace di accogliere al suo interno non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa.
Questa tendenza ha portato, ad esempio, il legislatore, nel corso del tempo, ad ampliare, in relazione a specifiche fattispecie di reato, l’oggetto della confisca (es. a 416bis settimo comma, cod. pen.) ovvero a introdurre disposizioni di analogo tenore, che hanno incluso nell’oggetto della confisca, oltre al prodotto, al profitto e al prez del reato, anche le cose «che ne costituiscono l’impiego», consentendo così l’ablazione non solo dei proventi direttamente derivati dalla commissione del reato, ma anche delle utilità economiche in cui tali proventi sono stati trasformati o reinvestiti.
Questo indirizzo si pone in linea di continuità con il diritto sovrannazionale e, particolare, con la Convenzione di Vienna contro il narcotraffico del 1988, con la Convenzione contro il crimine organizzato di Palermo del 2000 e con la Convenzione contro la corruzione di New York del 2003 in cui, per definire l’oggetto della confisca, si fa riferimento ai proceeds cioè ai proventi, non ai profitti.
Secondo tali Convenzioni, costituiscono proceeds anche i beni ottenuti o derivati direttamente o indirettamente dalla commissione di un reato.
Non diversamente, la Direttiva U.E. 2014/42, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, riferiva l’oggetto della confisca al «provento», inteso come ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso, si legge, può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile (art. 2, ma anche considerando 11).
In senso conforme si pone anche l’articolo 12 della nuova Direttiva U.E. 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 24 aprile 2024 (in vigore dal 22 maggio 2024), che ha sostituito lo strumento del 2014 sopra citato (art. 36) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 23 novembre 2026 (art. 33) (Su
tali temi, da ultimo, Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, in CED 287716 e, diffusamente, in motivazione).
Una tendenza che induce a riflettere e a valorizzare, ai fini della nozione di profitto rilevante entità, non più, di per sé, il profilo della derivazione indiretta del vanta dall’illecito, quanto, piuttosto, quello quantitativo, cioè della rilevanza della consiste del vantaggio conseguito dall’illecito, comprendendovi in essa ogni vantaggio comunque derivante dal reato – anche quegli indiretti- e, quindi, anche i vantaggi tradizionalmente ritenuti “dinamici”, di cui si è detto.
L’ampliamento della nozione di profitto derivante dall’illecito, attraverso riconoscimento della rilevanza anche dei vantaggi indiretti, conduce, cioè, a conformare diversamente la nozione di profitto di cui all’art. 13 e ad attribuire ad essa una nozion per certi versi più ristretta, perché non più configurabile nei casi in cui l’accresciment pur comprendendo vantaggi “ulteriori” rispetto a quello immediatamente conseguito dal reato, non sia comunque quantitativamente rilevante, nel senso che sarà specificato.
La norma di cui all’art. 13 richiede la certezza e la rilevante entità del profit quest’ultima può essere legittimamente dedotta, oltre che dal dato oggettivo della consistenza del vantaggio conseguito (es. una consistenza autoevidente, che può di per sé assumere decisiva valenza), anche dal dato soggettivo, cioè in ragione delle caratteristiche dell’ente, dell’impatto, della incidenza del profitto illecito – e, dell’arricchimento indebito – rispetto alla specifica attività dell’ente, al suo volum affari, alla struttura dell’impresa, alla sua posizione sul mercato.
Un profitto può essere non oggettivamente, in assoluto, quantitativamente rilevante ma può diventarlo rispetto alla struttura dell’ente nei cui confronti si procede.
Sul punto, la sentenza impugnata è del tutto silente, essendosi la Corte limitata a un riferimento incidentale al profitto “rilevantissimo” conseguito senza spiegare alcunchè, e deve, quindi, essere annullata senza rinvio.
In ragione della inammissibilità del ricorso COGNOME NOME deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
I ricorrenti devono inoltre essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, RAGIONE_SOCIALE che si liquidano in complessivi euro 6.332,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
limitatamente all’applicazione delle sanzioni interdittive che elimina e dichiara inammissibile nel resto il ricorso nonché quello di COGNOME NOMECOGNOME condannando,.
quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Monica alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Società
RAGIONE_SOCIALE che liquidano in complessivi euro 6.332,00, olte accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 febbraio 2025.