Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37963 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37963 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME IMPERIALI NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a Dolo (VE) DATA_NASCITA avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rovigo in data 05/05/2025 preso atto che il ricorso Ł stato trattato con contraddittorio scritto; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni con le quali il AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento con rinvio del decreto impugnato
RITENUTO IN FATTO
1.Con il decreto impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rovigo ha disposto il sequestro preventivo diretto o per equivalente a fini di confisca, del profitto dei reati di cui all’art. 648 bis cod. pen. (capi 51 e 56) contestati a COGNOME NOME nella qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso diretto per cassazione ex art. 325, co. 2, c.p.p., l’indagata affidandolo ai seguenti motivi:
2.1. violazione di legge ( art. 606 lett. b) c.p.p.), in relazione agli artt. 648 bis e 648 quater c.p. Il GIP avrebbe disposto il sequestro preventivo avendo riguardo al profitto del reato presupposto e non al profitto derivante dall’operazione riciclatoria contestata alla ricorrente aderendo ad un orientamento giurisprudenziale del tutto minoritario (Sez. 5, n. 32176 del 08/05/2024, Rv. 286816) contrastato da altre sentenze della Suprema Corte secondo cui il profitto del reato di riciclaggio non coincide con il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal delitto presupposto, consistendo invece nei proventi conseguiti dall’impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
La ricorrente contesta, quindi, la qualificazione di ‘provento’ del reato attribuita dal GIP alle somme sequestrate che, invero, costituirebbero il profitto del reato di bancarotta e non del riciclaggio posto che la COGNOME non avrebbe lucrato alcun accrescimento patrimoniale dalla condotta riciclatoria, consistita nel mero recepimento delle somme provenienti dal delitto di bancarotta. In tale contesto la difesa richiama pronunce della Corte costituzionale che avallerebbero l’assunto secondo il quale in ipotesi di riciclaggio sarebbe suscettibile di confisca ‘ ripristinatoria’ (costituzionalmente legittima), solo l’accrescimento
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
patrimoniale specificamente lucrato dal singolo concorrente e derivante dall’attività riciclatoria e non tutte le somme consegnate dagli autori del reato presupposto al riciclatore poichØ, in tal caso, la confisca assumerebbe i caratteri di una vera e propria ‘pena patrimoniale’ ( la ricorrente richiama sul punto la pronuncia delle Sez. U. ‘Massini’ secondo cui ‘la confisca per equivalente del profitto del reato assolve, così come la confisca diretta, ad una funzione recuperatoria e ha funzione sanzionatoria in quanto avente ad oggetto beni privi del rapporto di derivazione dal reato, potendo assumere funzione punitiva solo qualora sottragga al destinatario beni di valore eccedente il vantaggio economico che lo stesso ha tratto dall’illecito’).
In via subordinata la difesa chiede che venga sollevata questione di legittimità costituzionale del disposto degli artt. 648 ter e 321 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 27, 42 della Costituzione sotto il profilo della proporzionalità della pena in relazione al principio di uguaglianza, alla funzione rieducativa della pena ed alla salvaguardia del diritto di proprietà.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 321 c.p.p., evidenziando la mancanza, nel decreto, dell’indicazione del quantum suscettibile di confisca non essendo sufficiente l’indicazione dell”8-10% del totale sostituito’.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge (art. 606 lett. b) c.p.p.), in relazione all’art. 321 c.p.p. per violazione del principio di proporzionalità fra scopo della misura e sacrificio imposto e in ordine ai criteri di accertamento del periculum in mora .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Il primo motivo Ł generico.
2.1. Invero, il GIP aderendo ad un indirizzo giurisprudenziale che il Collegio condivide (da ultimo Sez. 2, n. 13793 del 14/02/2025, Rv. 287870; Sez. 5 , n. 32176 del 08/05/2024, Rv. 286816; Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Rv. 286131; Sez. 2, n. 34218 del 04/11/2020, Rv. 280238; Sez. 2, n. 7503 del 07/12/2021, Rv. 282957; Sez. F, n. 37120 del 01/08/2019, Rv. 277288) ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di procedere alla confisca del profitto del reato di riciclaggio avuto riguardo al valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, anche se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo.
La Cassazione ha precisato che il denaro, i beni o le altre utilità trasferite, ovvero manipolate in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, si prestano ad essere qualificate, comunque, come “prodotto” del reato di riciclaggio, rappresentando il risultato empirico dell’attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex art. 648quater, comma primo e secondo, c.p. (Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Rv. 286131; Sez. 5, n. 32176 del 08/05/2024, Rv. 286816; Sez. 2 n. ).
Il Collegio rimarca che anche tale orientamento, che, per individuare il profitto del reato di riciclaggio o autoriciclaggio non ritiene necessaria l’identificazione di un vantaggio ulteriore rispetto a quello conseguito con la consumazione del reato presupposto, non giunge alegittimare la duplicazione del vincolo, ovvero la apprensione di un valore “doppio”, riferibile sia al reato presupposto, che all’azione dissimulatoria compiuta con il reato derivato.
Infatti, le preoccupazioni in ordine al rischio di sovrapponibilità dei provvedimenti relativi all’ablazione del profitto del reato presupposto e a quello derivato di riciclaggio e, quindi, all’amplificazione degli effetti della misura che hanno portato alla formazione del
diverso indirizzo ermeneutico richiamato dalla difesa, secondo cui la confisca per equivalente del profitto del reato ex art. 648 bis c.p., Ł applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” e non sull’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto, poichØ, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato contestato (Sez. 2, n. 2166 del 06/12/2022, Rv. 283898, n. 21820 del 26/04/2022, Rv. 283364; n. 19561 del 12/04/2022, Rv. 283194; n. 2879 del 26/11/2021,Rv. 282519), non sono idonee a contrastare la legittimità, in astratto, di un presidio cautelare che attinga globalmente il frutto del riciclaggio, potendosi modulare, in concreto, in relazione alle emergenze che supportano ciascuno specifico caso, le eventuali interrelazioni tra le diverse e concorrenti confische così da evitare la duplicazione della misura. La ricorrente, sul punto, non muove alcuna specifica censura limitandosi a richiamare una linea interpretativa, quello della non confiscabilità del profitto del reato di riciclaggio coincidente con il denaro i beni o le altre utilità provenienti dal reato presupposto, indirizzo in via di definitivo superamento alla luce della piø recente opzione ermeneutica recepita dal Gip e condivisa dal Collegio.
L’orientamento qui condiviso che identifica il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro con il valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza, condivisibilmente rileva che, ove non reimpiegati a fini dissimulatori, i beni illeciti oggetto dei reati derivati sarebbero – comunque – destinati ad essere vincolati quali provento del reato presupposto: l’estensione del vincolo oltre il quid pluris collegabile al reato derivato (riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego) si fonda, infatti, sulla valutazione della “integrale illiceità” dei beni movimentati, che, ove non manipolati con condotte dissimulatorie, sarebbero comunque stati appresi quale profitto del reato presupposto. Si tratta di un ragionamento che presuppone l’unicità del vincolo, che si ritiene legittimo sull’intero “prodotto” del reato derivato proprio perchØ il quantum dissimulato “non” Ł stato appreso come profitto del reato presupposto.
Tale opzione ermeneutica presuppone, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, la valorizzazione della funzione “ripristinatoria” delle confische disposte ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p., e dei sequestri che le anticipano. Funzione che, osservata da altra angolazione, Ł quella di impedire che l’economia legale sia inquinata dalla circolazione di beni di provenienza illecita e che si riallaccia alla genesi dell’art. 648 quater c.p., da rintracciarsi nella normativa convenzionale e eurounitaria che ha progressivamente affinato il ricorso alle misure di “congelamento” e definitiva sottrazione dei proventi delle forme piø gravi di criminalità, come strumento indispensabile per arginare e prevenire quei fenomeni delittuosi. Con la Convenzione europea sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo l’8 novembre 1990, ratificata dall’Italia con la L. 9 agosto 1993 n. 328 che vi ha dato esecuzione, si stabilì che, nel presupposto della necessità di adottare nella lotta alla “grande criminalità (…) metodi moderni ed efficaci su scala internazionale”, uno di quei metodi dovesse consistere “nel privare i criminali dei proventi dei reati” (così nei considerando della Convenzione). Non Ł superfluo osservare che, mentre nel testo originale in lingua inglese Ł stato adottato il termine proceeds, corrispondente all’espressione provento, nel testo originale in lingua francese della Convenzione, l’espressione utilizzata Ł quella di produits du crime. La definizione convenzionale della nozione di “proventi dei reati” (art. 1, lett. a) della Convenzione; anche qui, nel testo originale francese li termine utilizzato Ł produit) era fondata sull’individuazione di “ogni vantaggio economico” derivato dalla commissione di un reato che, dal punto di vista
della materiale descrizione del vantaggio, poteva corrispondere a qualsiasi bene, comprendente “beni in qualsiasi modo descritti, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonchØ documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti beni” (art. 1, lett. b). La Convenzione individuava l’istituto giuridico idoneo a conseguire l’obiettivo della sottrazione alla criminalità dei “proventi” dei reati nella confisca, che gli Stati aderenti potevano adottare mediante iniziative legislative per consentire di “procedere alla confisca di strumenti e di proventi, o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi” (art. 2, paragrafo 1). Quelle nozioni sono state ribadite e ampliate con la successiva Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, conclusa a Varsavia il 16 maggio 2005, ratificata in Italia con la L. 28 luglio 2016, n. 153. Con la direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, Ł stata fissata una dettagliata nozione della categoria dei “proventi da reato” suscettibili di confisca, nella prospettiva perseguita dall’Unione europea di scongiurare li pericolo che tutte le ricchezze, riconducibili ad attività illecite, non siano recuperate, in modo da assicurare allo stesso tempo un’adeguata funzione preventiva. Gli obiettivi del legislatore europeo sono stati trasfusi nella definizione del termine “provento” (art. 2, n. 1: «Ai fini della presente direttiva si intende per: 1) «provento»: ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile»). Il quadro delle norme sovranazionali indica in modo espresso la necessità che la sottrazione alla criminalità dei risultati dell’attività delittuosa, specie ove attuata mediante strumenti di “ripulitura”, sia resa effettiva attraverso l’adozione delle misure di ablazione patrimoniali che devono avere ad oggetto non solo i vantaggi economici derivati, in via diretta o mediata, dai reati posti a monte rispetto all’attività di riciclaggio lato sensu, ma anche tutto ciò che formi oggetto della fasi successive di reinvestimento o trasformazione dei proventi della pregressa attività delittuosa. In ragione di questa specifica direttiva legislativa sovranazionale, l’oggetto della confisca prevista in relazione ai delitti di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio dall’art. 648 quater c.p. deve essere interpretato come riferita ad un concetto piø ampio rispetto a quello tradizionalmente ricevuto nella nostra tradizione giuridica, per assicurare le finalità della direttiva. In questo senso la pur corretta e ineccepibile definizione di profitto del reato di riciclaggio, entità diversa e separata dal profitto conseguito dall’autore del reato presupposto, sconta il risultato, non coerente con la legislazione europea, del lasciare nella disponibilità dell’autore del reato presupposto il risultato dell’attività criminosa, frustrando gli obiettivi legislativi. Lo strumento interpretativo per assicurare coerenza tra la disciplina interna e i parametri europei va individuato nel comprendere il risultato dell’attività riciclatoria alla luce della nozione di “prodotto” dei reati previsti dagli artt. 648 bis, 648 ter, 648 ter.1. c.p. Secondo un risalente, ma non superato, insegnamento in tema di confisca «il prodotto rappresenta il risultato, cioŁ li frutto che li colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; li profitto, a sua volta, Ł costituito dal lucro, e cioŁ dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere li reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere li reato» (Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, n. 9149). Rapportando tale nozione alle fattispecie dei reati commessi per impedire l’individuazione della provenienza illecita di risorse, in modo da sottrarle all’apprensione da parte degli organi
di giustizia, il prodotto di quei reati Ł rappresentato dal risultato che si ottiene mediante la sostituzione, la trasformazione, il trasferimento e ogni altra attività tipica di riciclaggio; dunque, non solo i beni che risulteranno trasformati per effetto della condotta di riciclaggiobeni che presentino caratteristiche identificative alterate, modificate, manipolate – ma anche beni e valori che, pur senza modificazioni materiali, per effetto di operazioni negoziali assumono una diversa attribuzione in termini di titolarità e di regole di circolazione giuridica (Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024,Rv. 286323).
Una volta chiarita la questione riguardante la individuazione del profitto confiscabile in ipotesi di riciclaggio, perde rilievo anche la censura difensiva con al quale si contesta la quantificazione del profitto che, invero, il Gip ha specificato per ciascun indagato ed in relazione alle singole operazioni riciclatorie (cfr. pagg. 221 e 222).
Manifestamente infondato Ł poi il motivo riguardante il periculum in mora da rapportare – nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale – alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio.
Nella specie il Gip ha dato rilievo alle competenze acquisite ed alla dimostrata capacità professionale nel campo del riciclaggio e della ricettazione per ritenere che gli indagati potrebbero con facilità spossessarsi delle utilità destinate alla confisca il che rileva anche con riferimento alla COGNOME inserita nel complessivo meccanismo riciclatorio e autrice, secondo l’impostazione accusatoria, di due operazioni di riciclaggio di cui una di rilevante entità.
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 15/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME