Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35037 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35037 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Crotone il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 5/12/2023 del Tribunale del riesame di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato il provvedimento del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro che disponeva il sequestro preventivo, r+ confronti di COGNOME NOMENOME della somma di euro 157.037,57.
Il Collegio della cautela ha rinviato, quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti, alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza contenuta nell’ordinanza – emessa dallo stesso Collegio – che confermava l’ordinanza
genetica applicativa della misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui all’art. 353-bis cod. pen. a carico del ricorrente.
La somma di denaro pari a euro 157.037,57 rappresenta, secondo l’impostazione accusatoria, condivisa dal Tribunale del riesame, i profitto del reato di cui all’art. 353-bis cod. pen. contestato a COGNOME al capo 4) di incolpazione.
In particolare, il Tribunale da atto che le indagini, costituite dalla attivi intercettiva e dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, consentivano di accertare che, nel Comune di Roccabernarda, l’impresa dei ricorrente monopolizzava il settore di competenza e che una parte dei proventi era versata a COGNOME, esponente locale della ‘ndrangheta. I lavori erano affidati senza la previa effettuazione di sopralluoghi o la presentazione di preventivi e i compensi erano erogati a COGNOME anche prescindendo da regolari collaudi delle opere, mentre alcune attività, rientranti nell’ordinaria manutenzione, erano remunerate a parte, a seguito di affidamenti ad hoc, adottati sul falso presupposto della necessità ed urgenza. In conclusione, gli emolumenti a favore della ditta di COGNOME assumevano il carattere di un versamento fisso con cadenza mensile eseguito dal Comune di Roccabernarda. Era l’indagato, attraverso l’emissione di preventivi o di fatture, a decidere la tipologia degli interventi da effettuare, che il capo ufficio tecnico provvedeva, solo in seguito, a formalizzare, in violazione della normativa italiana e sovranazionale in materia. La gran parte delle fatture emesse era, addirittura, precedente all’impegno di spesa e alla determina di affidamento dei lavori.
A fronte delle risultanze investigative, che evidenziavano corrispettivi per lavori male eseguiti o addirittura superflui, nonché duplicazione di pagamenti, appare legittima – a giudizio del Collegio della cautela – la conferma del sequestro dell’intero importo percepito dal ricorrente nel periodo di interesse poiché le spese erano liquidate in modalità assolutamente irregolare, sotto l’aspetto sostanziale e formale, senza alcuna possibilità di riscontrp con i servizi e le merci realmente forniti.
Avverso l’ordinanza, ricorre per cassazione COGNOME, deducendo la violazione di legge in relazione all’art. 321, commi 1, 2 e 2-bis cod. proc. pen.
Sostiene la difesa che si è erroneamente ritenuta l’applicazione dell’art. 321 comma 2-bis cod. proc. pen., trattandosi di delitto previsto dal capb IL e non dal capo I, del titolo II, del libro II del Codice penale.
Solo nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II cod. pen., il Giudice dispone il sequestro de beni dei qu è consentita la confisca. La fattispecie di cui all’art. 353-bis cod. proc. pen. è
collocata, invece, nel capo II e non nel capo I, sicché non trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 321 cod. proc. pen., che obbliga il giudice a disporre il sequestro solo quando in contestazione vi è un reato commesso dal pubblico ufficiale contro la Pubblica Amministrazione, mentre, nel caso in questione, il reato è stato commesso da un privato.
Si tratta, quindi, di ipotesi di sequestro non obbligatorio, ch può essere giustificato solo dalla sussistenza del periculum in mora.
La somma sequestrata è da intendersi quale retribuzione per lavori realmente svolti appaltati dal Comune di Roccabernarda, per l’effettuazione dei quali il ricorrente ha dovuto sopportare dei costi – come l’acquisto del carburante e del materiale – oltre ad aver fornito la sua forza lavoro, che é certamente monetizzabile quale oggetto della controprestazione. La documentazione allegata all’istanza di riesame dimostrava e quantificava i costi sostenuti dal ricorrente per l’espletamento dei lavori.
Il tribunale del riesame non ha esaminato la documentazione contabile allegata all’istanza di riesame, che consentiva di poter effettuare una quantificazione dei costi e dei ricavi, così da poter rimodulare il quantum della somma sequestrata. Il Giudice delle indagini preliminari ha ritenuto che sussistesse l’ipotesi di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., facendo intendere che, contrariamente a quanto sostenuto dal Pubblico ministero, non si versasse nell’ipotesi del sequestro impeditivo, di cui al comma 1 del suindicato articolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e la ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Catanzaro.
2.0ccorre premettere, che, l’ordinanza impugnata noni prende in considerazione l’ipotesi che il sequestro sia stato disposto ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
Non essendo stato trasmesso il relativo decreto del Giudice delle indagini preliminari, non appare chiaro se lo stesso sia stato disposto solo per finalità di confisca – come sembra – o anche per finalità impeditive.
La difesa sottolinea, a quest’ultimo proposito, che nella richiesta del Pubblico ministero si evidenziava che «il mantenimento da parte dell’indagato di detta ricchezza rappresenta circostanza sufficiente a incentivare il medesimo nella prosecuzione della propria attività di illecita infiltrazione nell’e te locale».
3.Ciò detto, deve evidenziarsi che la fattispecie delittuosa in contestazione e in relazione alla quale è stato disposto il sequestro preventivo è collocata nel capo II e non nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, sicché non può trovare applicazione il comma 2-bis dell’art. 321 cod. proc. pen., che obbliga il giudice a disporre il sequestro solo quando in contestazione vi è un reato contro la Pubblica Amministrazione commesso da un pubblico ufficiale, essendo, nel caso in esame, il reato contestato a un privato.
Il Massimo consesso di questa Corte di legittimità ha, poi, puntualizzato che vi sono dei casi in cui la condotta illecita non integra un “reato contratto” considerato che il legislatore penale non stigmatizza la stipulazione contrattuale, ma esclusivamente il comportamento tenuto, nel corso delle trattative o della fase esecutiva, da una parte in danno dell’altra. Trattasi, quindi, di un “reato in contratto” e, in questa ipotesi, il soggetto danneggiato, in base alla disciplina AVV_NOTAIO del codice civile, può mantenere in vita il contratto, mire questo, per scelta di carattere soggettivo o personale, sia a lui in qualche modo favorevole e ne tragga comunque un utile, che va ad incidere inevitabilmente sull’entità del profitto illecito tratto dall’autore del reato e quindi dall’ente di riferime Sussistono, COGNOME perciò, COGNOME ipotesi COGNOME in COGNOME cui COGNOME l’applicazione del COGNOME principio COGNOME relativo all’individuazione del profitto del reato, può subire, per così dire, una deroga o
un ridimensionamento, nel senso che deve essere rapportata e aéleguata alla concreta situazione che viene in considerazione. Ciò è evidente, in particolare, come si è detto, nell’attività d’impresa impegnata nella dinamica di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive, in cui può essere difficile individuare e distinguere gli investimenti leciti da quelli illeciti. V’è, quindi, l’esigenz differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile). S’impone, pertanto, la scelta di sottrarre alla confisca quest’ultimo corrispettivo che, essendo estraneo all’attività criminosa a monte, è distonico rispetto ad essa.
«In sostanza, non può sottacersi che la genesi illecita di un rapporto giuridico, che comporta obblighi sinallagmatici destinati anche a protrarsi nel tempo, non necessariamente connota di illiceità l’intera fase evolutiva del rapporto, dalla quale, invece, possono emergere spazi assolutamente leciti ed estranei all’attività criminosa nella quale sono rimasti coinvolti determinati soggetti e, per essi, l’ente collettivo di riferimento. Più concretamente, in un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità, l’appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l’iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova Molo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine /ire. Diversamente opinando, vi sarebbe un’irragionevole duplicazione del sacrificio economico imposto al soggetto coinvolto nell’illecito penale, che si vedrebbe privato sia della prestazione legittimamente eseguita e comunque àccettata dalla controparte, sia del giusto corrispettivo ricevuto, dal che peraltro conseguirebbe, ove la controparte fosse l’Amministrazione statale, un ingiustificato arricchimento di questa» (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239924 – 01, § 6). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le Sezioni unite hanno dunque chiarito che altro sono le condotte che conducono ad un patto “integralmente” illecito ed altre sono invece quelle che inquinano la fase della formazione della volontà contrattuale (colte nel caso in esame) o nella fase della esecuzione: quando non è in predicato l’illecita in sé dell’accordo la quantificazione del profitto deve essere effettua a tenendo in
vi
considerazione le utilità che l’offeso ha tratto dalla esecuzione el contratto viziato.
3.1.I2interpretazione fornita dalla giurisprudenza delle Sezioni unite è stata ribadita dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici. Si è così affermato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto conseguito attraverso un reato c.d. in contratto (annullabile perché viziato nella fase preparatoria o di stipula, ma suscettibile di regolare e lecita esecuzione, a differenza dei c.d. reati contratto, radicalmente contaminati cie illiceità), il profitto confiscabile deve essere determinato, da un lato, assoggettando ad abiezione i vantaggi di natura economico-patrimoniale costituenti diretta derivazione causale dell’illecito, così da aver riguardo esclusivamente dell’effettivo incremento del patrimonio dell’agente derivante dalla sua condotta illecita, e, dall’altro, escludendo – nei limiti dei c.d. costi vivi – i pr eventualmente conseguiti per effetto di prestazioni lecite effettivamente svolte in favore del contraente nell’ambito del rapporto sinallagmatico, pari alla utilitas di cui si sia giovata la controparte.
3.2.11 Collegio riafferma, pertanto, il principio secondo il occorre tenere distinti i casi in cui il contratto sia “in sé”, ed integralmente, illecito, nei qu profitto deve essere identificato nella intera prestazione fornita dall’offeso, da quelli in cui il contratto non sia “in sé” illecito, ma sia viziato da condo fraudolente poste in essere da una delle parti nella fase delle trattative o in quella della esecuzione; quando per adempiere il contratto viziato vengono fornite dall’autore del reato prestazioni in sé lecite, delle quali il danneggiat tragga giovamento, il profitto deve essere, in conclusione, quantificato al netto del loro valore.
3.3.Nel caso in esame il profitto è stato, invece, quantificato facendo sommario riferimento all’intero importo percepito da COGNOME nel periodo di interesse per i lavori eseguiti nel Comune di Roccabernarda, senza alcun approfondimento relativo alla eventuale sussistenza di prestazioni fornite dalla ricorrente all’offeso e al loro valore.
4. Sul punto, pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere ‘annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 324 comma 5 cod. proc. pen. , il quale dovrà conformarsi al principio di diritto sopra indicato.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso il 27 giugno 2024
Il Consi stensore
Il