Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27467 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27467 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 30/12/1980 a CROTONE avverso l’ordinanza in data 01/10/2024 del TRIBUNALE DI CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
a seguito di trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna l’ordinanza in data 01/10/2024 del Tribunale di Catanzaro che, in sede di riesame, a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, ha confermato il decreto in data 13/11/2023 del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, che disponeva il sequestro di una somma di denaro in relazione al reato di turbata libertà di scelta del contraente, aggravato ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen..
Deduce:
1.1. Violazione di legge in relazione all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen..
Il ricorrente premette che la decisione impugnata Ł stata assunta dal tribunale a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione.
Precisa che la sentenza rescindente riconduceva la condotta contestata a Lonetto alle ipotesi di c.d. reati in contratto, in quanto incidente sulla fase della formazione della volontà contrattuale o su quella della sua esecuzione, così che dal rapporto contrattuale stipulato era possibile enucleare aspetti leciti, attesa la legittimità e la validità del contratto stipulato tra le parti.
In forza di ciò, nella sentenza di annullamento si evidenziava l’esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non
confiscabile), con la conseguente necessità di sottrarre alla confisca quest’ultimo corrispettivo che, essendo estraneo all’attività criminosa a monte, Ł distonico rispetto ad essa.
Sulla base di tali rilievi, la Corte di cassazione demandava al tribunale il compito di distinguere i profitti leciti da quelli illeciti rispetto all’importo interamente sequestrato, senza alcun approfondimento relativo alla eventuale esistenza di prestazioni fornite dal ricorrente all’offeso e al loro valore.
1.2. Secondo il ricorrente il tribunale non ha ottemperato al compito demandato dal tribunale, in quanto confermava il decreto del G.i.p. sul presupposto che dalla documentazione versata in atti non era possibile distinguere il profitto lecito da quello illecito e che a tal fine sarebbe stato necessario attivare poteri istruttori che non erano nella sua disponibilità.
Il ricorrente deduce, dunque, che «la motivazione si rileva illogica e non congruente rispetto alle risultanze in atti: se occorre quantificare una consulenza per quantificare gli importi da sequestrare, in applicazione della carenza istruttoria, il provvedimento ablativo andava annullato ab origine, giacchØ il G.i.p. avrebbe dovuto decidere solo con un supporto investigativo (la consulenza de qua ) fornitagli dal p.m., non potendosi addossare alla difesa tale onere, per il principio cardine del nostro sistema processuale accusatorio, applicabile anche alla fase cautelare reale, per il quale Ł l’accusa che Ł gravata dell’onere della prova».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ø infondato.
1.1. Per stabilire se il giudice del rinvio abbia violato l’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., occorre preliminarmente individuare il compito demandato dalla sentenza rescindente, in accoglimento dei motivi d’impugnazione che hanno portato all’annullamento.
Per come esposto dal ricorrente, la corte di cassazione -con la sentenza n. 35037 del 27/06/2024- ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che, in sede di riesame, aveva confermato il sequestro di una somma pari a euro 157.037,00 disposto dal g.i.p. dello stesso tribunale per il reato di cui all’art. 353-bis cod. pen..
Nella sentenza rescindente, in particolare, si faceva distinzione tra ‘reati contratto’ e ‘reati in contratto’, collocando la fattispecie contestata a quest’ultima categoria, con la conseguenza che richiamando i principi di diritto espressi dalle sezioni unite c.d. Fisia- si rimarcava come si rendesse necessario distinguere i profitti leciti da quelli illeciti, attesa la validità ed efficacia del contratto stipulato dalle parti, così che non poteva essere sottoposto a sequestro il corrispettivo pattuito sulle prestazioni eseguite dal reo in favore del soggetto danneggiato, che, in base alla disciplina generale del codice civile, può mantenere in vita il contratto, ove questo, per scelta di carattere soggettivo o personale, sia a lui in qualche modo favorevole e ne tragga comunque un utile, che va ad incidere inevitabilmente sull’entità del profitto illecito tratto dall’autore del reato e quindi dall’ente di riferimento.
«Piø concretamente -si legge nella sentenza rescindente- in un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità, l’appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l’iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas , non può costituire una componente del profitto da reato, perchØ
trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure . Diversamente opinando, vi sarebbe un’irragionevole duplicazione del sacrificio economico imposto al soggetto coinvolto nell’illecito penale, che si vedrebbe privato sia della prestazione legittimamente eseguita e comunque accettata dalla controparte, sia del giusto corrispettivo ricevuto, dal che peraltro conseguirebbe, ove la controparte fosse l’Amministrazione statale, un ingiustificato arricchimento di questa (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239924 – 01, § 6)».
Tali osservazioni venivano sviluppate dalla Corte di cassazione in quanto con l’impugnazione il ricorrente si doleva della mancata considerazione della documentazione contabile allegata all’istanza di riesame che, secondo quanto dedotto, consentiva di poter effettuare una quantificazione dei costi e dei ricavi, così da rimodulare il quantum della somma sequestrata.
Tale motivo veniva ritenuto fondato, osservandosi che il tribunale non aveva approfondito il suo esame in relazione alla eventuale sussistenza di prestazioni fornite dalla ricorrente all’offeso e al loro valore.
Da quanto esposto emerge che il compito demandato al tribunale dalla sentenza rescindente era quello di esaminare la documentazione allegata all’istanza di riesame, al fine di verificare se dalla stessa emergessero prestazioni realizzate da COGNOME, dalle quali aveva ricavato un profitto lecito da sottrarre al sequestro.
Il tribunale, in effetti, ha dato seguito al compito demandatogli dalla sentenza rescindente, e ha confermato il sequestro sull’intero importo, osservando che la documentazione versata in atti non consentiva di distinguere tra profitti leciti e profitti illeciti e che a tal fine sarebbe stato necessario attivare poteri istruttori di cui quel giudice non disponeva, non potendo conferire perizia al fine richiesto.
In particolare, il tribunale ha osservato che la documentazione allegata all’istanza di riesame non rivestiva le necessarie caratteristiche di completezza e chiarezza, così non consentendo il calcolo delle somme lecitamente percepite, in quanto non risultano quantificate le spese vive sostenute da COGNOME per l’adempimento del rapporto contrattuale illecitamente sorto con il Comune di Roccabernarda e, prima ancora, la riferibilità a tale rapporto di talune spese documentate.
Il tribunale ha osservato, inoltre, che «la documentazione depositata da COGNOME non consente in alcun modo di individuare i costi sostenuti per materiali, spese vive e manodopera funzionali all’adempimento delle prestazioni concordate ed effettivamente eseguite a favore del Comune di Roccabernarda; i costi complessivi, riportati in ragione delle diverse annualità, non consentono di evincere la destinazione delle spese sostenute ed indicate solo genericamente (es. pubblicità, ammortamenti, manutenzione beni, merci e acquisti)».
I giudici del riesame, poi, non si sono limitati a verificare la documentazione prodotta dal ricorrente, ma ha altresì esaminato gli atti d’indagine, senza rinvenirvi fatture e/o preventivi di spesa o quant’altro proveniente dalla ditta COGNOME, tale da dimostrare le prestazioni fornite in favore del Comune di Roccabernarda, i costi sostenuti per il loro adempimento e i profitti leciti eventualmente conseguiti.
Quanto all’onere della prova in relazione alla sussistenza dei profitti leciti, i giudici del rinvio hanno correttamente richiamato il principio della vicinanza della prova.
Tanto in conformità del principio di diritto piø volte affermato da questa Corte, secondo il quale «nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poichØ Ł l’imputato che, in
considerazione del principio della c.d. ” vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
In presenza dei requisiti non contestati del fumus commissi delicti e del periculum in mora , soltanto l’indagato Ł nelle condizioni di dimostrare le prestazioni fornite in favore del Comune di Roccabernarda, i costi sostenuti per il loro adempimento e i profitti leciti eventualmente conseguiti, mediante la produzione della documentazione che ha nella sua disponibilità ovvero mediante l’indicazione della documentazione versata negli atti d’indagine.
Tale onere dimostrativo non Ł stato soddisfatto nel caso in esame, per come ampiamente illustrato dal tribunale, con motivazione completa, logica, non contradditoria e rispettosa dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen..
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 06/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME