Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1446 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1446 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
RAGIONE_SOCIALE contro l’ordinanza del Tribunale di Messina del 7.7.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME in difesa della società ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza del 7.7.2023 il Tribunale di Messina ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE confermando perciò il provvedimento del GIP che, in data 23.5.2023, aveva disposto il sequestro, in via principale e diretta, delle somme nella disponibilità della società fino ad euro 28.980.307,60 ovvero, in subordine, il sequestro per equivalente sui beni mobili ed immobili, crediti, rapporti finanziari, quote societarie, di cui la società è titolare, in relazione all’illecito amministrativo di al capo C) della rubrica,;
ricorre per cassazione, tramite il difensore, la RAGIONE_SOCIALE deducendo:
2.1 violazione di legge in relazione all’art. 640-bis ed all’art. 316-ter cod. pen. quanto alla qualificazione del fatto con ricaduta sulla competenza territoriale da individuarsi nel Tribunale di Palermo: solleva il tema della corretta qualificazione della condotta di cui al capo A) della rubrica (e, di conseguenza, dell’illecito di cui al capo C), conseguente alla natura del rapporto intercorso, secondo il Tribunale, tra la società ricorrente e l’Ente erogatore; richiama, a tal proposito, le considerazioni svolte nel provvedimento gravato secondo cui i contributi erogati non troverebbero la loro fonte nella prestazione fornita dalla società, risultando perciò, a suo avviso, impossibile ricondurre la vicenda nello schema della truffa contrattuale di cui ribadisce il criterio distintivo rispetto a ipotesi di cui all’art. 316-ter cod. pen., in tal caso più aderente alla ricostruzion operata dai giudici della cautela di merito quanto alla condotta ascritta a NOME COGNOME nell’autocertificare le condizioni di conformità delle navi RAGIONE_SOCIALE e.; ti- 12 e BRIDGE; sottolinea-la qualificazione del fatto assume rilievo ai fini della individuazione della competenza territoriale pacificamente ricondotta al luogo di erogazione del contributo spiegando che l’eccezione, non proposta in precedenza, scaturisce direttamente dalle argomentazioni contenute nel provvedimento del Tribunale e che la proponibilità in cassazione è consentita laddove non implichi accertamenti in fatto; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2 violazione di legge in relazione agli artt. 640-bis, 640-quater e 322-ter cod. pen. ed agli artt. 19 e 53 D. Lg.vo 231 del 2001, con riguardo alla erronea identificazione e quantificazione del profitto confiscabile; in subordine, richiesta di remissione della questione alle SS.UU. ai sensi dell’art. 618 cod. pen.: sottolinea, in primo luogo, la non vincolatività del precedente richiamato nel provvedimento impugnato insistendo sul rilievo secondo cui, laddove si opti per la natura di corrispettivo delle prestazioni erogate dall’ente, occorrerebbe allora superare il precedente ovvero rimettere alle SS.UU. la questione della individuazione del profitto confiscabile; osserva che per la corrispettività delle prestazioni dovute in
forza del contratto intercorso con la parte pubblica, depone in primo luogo la circostanza secondo cui il servizio è assicurato non già soltanto nei confronti dei P.M.R. ma delle generalità degli utenti e che, in ogni caso, il corrispettivo – peraltro assoggettato ad IVA – viene calcolato secondo indici che evocano il controvalore effettivo della prestazione resa dalla società; richiama, perciò, l’insegnamento delle SS.UU. del 2008 sulla distinzione tra reato-contratto e reato-in contratto e rileva come, facendo leva sul precedente evocato, il Tribunale non abbia in alcun modo vagliato la circostanza, pure pacifica, secondo cui il servizio di trasporto è stato comunque erogato;
2.3 violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e motivazione apparente sul periculum in mora: premessa la deducibilità, in questa sede, del vizio relativo ad una motivazione sostanzialmente inesistente in punto di periculum in mora, segnala in primo luogo come il decreto del GIP si fosse limitato, quanto all’illecito amministrativo di cui al capo C), a rinviare alla ipotesi delittuos contestata al capo A) laddove il provvedimento in esame finisce, sia pur previo formale ossequio all’insegnamento delle SS.UU. “Ellade”, con l’evocare evenienze del tutto neutre ovvero coerenti con la ordinaria attività di impresa; aggiunge che il provvedimento focalizza la sua attenzione sulle risorse disponibili presso il sistema bancario che è stato quantificato con riguardo all’intero importo percepito nell’arco di quaranta mesi ed utilizzato, in parte, proprio per l’espletamento del servizio;
2.4 violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 640-bis cod. pen., 76 DPR 45/2000, in relazione all’art. 483 cod. pen., dell’art. 4, comma 1, lett. b), del D. Lg.vo 4.2.2000 n. 45, come modificato dal D. Lg.vo 8.3.2005 n. 52 e dalla Circolare 10/SM del 4.1.2007 del Ministero dei Trasporti e S.M.I.: osserva che, per ritenere sussistente il fumus dei reati di cui ai capi A) e B) della rubrica provvisoria, occorre previamente accertare quali fossero le caratteristiche tecniche relative alla presenza delle dotazioni P.M.R. previste dalla citata circolare del 2007, sottolineando la distinzione, ben chiara allo stesso Tribunale, tra le navi di nuova costruzione e quelle già esistenti all’1.10.2004 per le quali l’adeguamento agli standards fissati dalla normativa di settore era subordinato alla circostanza che “ciò sia ragionevole e possibile in termini economici” ovvero ad una valutazione frutto di un giudizio da effettuarsi alla stregua dei criteri indicati al punto E); evidenzia, allora, che il giudizio conformità delle navi ai requisiti previsti avrebbe dovuto passare non soltanto dalla verifica della sussistenza di tutti quelli conseguenti agli interventi evocati dall predetta Sezione G) ma, anche, alla riconducibilità di quelli mancanti alla eventuale impraticabilità tecnica o economica della loro realizzazione; sottolinea,
ancora, che, in quanto frutto di un giudizio di valore, quella resa in sede di partecipazione alla gara e di stipula del contratto non può essere considerata una dichiarazione scienza di cu possa predicarsi la falsità; sottolinea, inoltre, che la lex specialis rappresentata dal bando di gara aveva fatto riferimento proprio alla circolare del 2007, sicché l’aver operato il confronto con i soli requisiti stabiliti p le navi di nuova costruzione si risolve nella errata individuazione del novero di quelle suscettibili di partecipare alla gara e di fornire il servizio;
2.5 violazione di legge per inosservanza degli artt. 640-bis cod. pen., 76 DPR 445/2000 in relazione all’art. 483 cod. pen., 4-ter, comma primo, lett. d), del D. Lg.vo 4.2.2000 n. 45, come modificato dal D. Lg.vo 8.3.2005 n. 52 e dalla circolare 10/SM del 4.1.2007 del Ministero dei Trasporti, norme di cui si deve tener conto ai fini della applicazione della legge penale, nonché degli artt. 4 e 5 della legge 20.3.1865 n. 2248, all. E: rileva che il provvedimento impugnato non si è confrontato con l’esistenza delle attestazioni di idoneità contenute nei certificati di navigazione e sicurezza di cui le navi erano indiscutibilmente dotate al momento della indizione ed aggiudicazione della gara e che i giudici della cautela di merito hanno disapplicato in assenza delle condizioni per superare la presunzione di legittimità dell’atto amministrativo;
3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per il rigetto del ricorso: rileva che il primo motivo è inammissibile con riguardo alla eccepita incompetenza territoriale, trattandosi di doglianza preclusa perché non dedotta in sede di riesame; rileva, ancora, la inammissibilità della doglianza concernente l’inquadramento della condotta nella ipotesi di cui all’art. 316-ter cod. pen., cui la difesa è pervenuta solo all’esito di una rivalutazione degli elementi fattuali e sulla base di una lettura parcellizzata della motivazione; osserva che l’eccezione replica ,, c p quella sollevata in sede di riesame su cui il Tribunale ha ampiamente motivato facendo leva sulla articolata ricostruzione dei fatti e degli atti amministrativi ed i termini non sindacabili in questa sede; segnala che il secondo motivo è infondato essendosi il Tribunale conformato al principio affermato dalla S.C. in una fattispecie relativa alla medesima procedura di gara; rileva, ancora, la infondatezza delle censure articolate nel terzo motivo del ricorso poiché il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ha reso una motivazione immune da vizi e che non può in ogni caso ritenersi meramente apparente; osserva che il quarto motivo è inammissibile perché, sia pure attraverso il richiamo alle disposizioni normative ivi evocate, finisce, in realtà, con il sollevare eccezioni che investono la motivazione; del pari inammissibile stima perciò anche il quinto motivo stante la manifesta infondatezza della eccezione
relativa alla ritenuta violazione di legge consistente nella sostanziale disapplicazione dei certificati atteso di cui il Tribunale ha affermato la irrilevanz alla luce di una ampia e dettagliata ricostruzione delle vicende amministrative; osserva che, pertanto, il giudice penale non ha disapplicato il provvedimento amministrativo, avendo proceduto alla valutazione della sussistenza del contestato delitto di cui agli articoli 640-bis cod. pen., 76 DPR 445/00 in relazione all’articolo 483 cod. pen., sulla base di considerazioni che prescindono totalmente dal tema della legittimità dei certificati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
Il primo motivo, infatti, con cui la difesa deduce la incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria procedente, è articolato su una premessa errata in diritto.
Il ricorso, infatti, segnala che il provvedimento impugnato ha qualificato «’ le somme erogate dalla Regione – ed oggetto del provvedimento cautelare finalizzato alla confisca – non già quale “corrispettivo” della prestazione del servizio oggetto del contratto intercorso con la società ricorrente ma, piuttosto, come un “contributo” pubblico erogato per finalità di ordine generale e, specificamente, per consentire la fruizione del trasporto da e per le isole minori anche a persone “a mobilità ridotta”.
Sulla scorta di tale premessa, la difesa sottolinea che proprio la ricostruzione operata dal Tribunale circa la natura delle somme erogate dall’ente pubblico imporrebbe di ricondurre il fatto nella ipotesi contemplata dall’art. 316ter cod. pen. piuttosto che in quella, contestata, di cui all’art. 640-bis cod. pen. alla quale si dovrebbe far riferimento in presenza di un rapporto a prestazioni “corrispettive”.
In tal modo, tuttavia, la ricorrente finisce per operare un collegamento diretto tra natura (ovvero il “titolo”) delle somme erogate dalla Regione e l’ipotesi di reato conseguentemente configurabile e che, individuato in quello di cui all’art. 316-ter cod. pen., comporterebbe anche la necessità di rivalutare la competenza per territorio dell’A.G. procedente.
Ma è proprio l’aver presupposto un siffatto univoco rapporto è il frutto di una errata interpretazione della legge penale dal momento che il criterio distintivo tra le due ipotesi di reato è pacificamente collegato non già alla natura e causale
delle somme erogate dall’ente pubblico quanto, piuttosto, alla presenza, tra gli elementi costitutivi della truffa aggravata, dell’elemento della induzione in errore dell’ente erogatore per effetto della condotta decettiva dell’agente laddove, nel delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche, l’ente è chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (cfr., in tal senso, sulla scia del principio affermato da Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249104 01, Sez. 2, n. 49464 del 01/10/2014, COGNOME, Rv. 261321 – 01, resa in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto artificiosa – e pertanto idonea ad integrare il reato di truffa in danno di ente pubblico – la falsa attestazione sottoscritta con firma apocrifa di cui l’imputato aveva consapevolezza, di essere nelle condizioni per poter beneficiare dell’indennità di disoccupazione; Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Oro, Rv. 266979 01; Sez. F – , n. 44878 del 06/08/2019, Aldevisi, Rv. 279036 – 03).
L’eccezione di incompetenza territoriale, pertanto, anche a prescindere dalla sua fondatezza (cfr., infatti, per la tesi proposta dalla difesa Sez. 6 – , n. 9060 del 30/11/2022, GSE spa, Rv. 284336 – 01; Sez. 6, n. 12625 del 19/02/2013, Degennaro, Rv. 254490 – 01 cui, tuttavia, si contrappone quella, sostenuta, tra le altre, da Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021, COGNOME, Rv. 282675 – 02, secondo cui il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche si consuma nel momento e nel luogo in cui esse siano conseguite), implica accertamenti “in fatto” sulla sussistenza dei presupposti dell’una o dell’altra fattispecie, evidentemente non consentiti in questa sede di legittimità (cfr., Sez. 6, n. 2336 del 07/01/2015, Pretner, Rv. 262081 – 01; Sez. 6, n. 13096 del 05/03/2014, COGNOME Rv. 259505 – 01, secondo cui, in materia cautelare, l’eccezione sull’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria procedente può essere sollevata anche per la prima volta anche con il ricorso per cassazione, purché, tuttavia, il ricorrente adempia all’obbligo di specificità nella deduzione dei motivi e, per altro verso, non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità).
2. Altrettanto dicasi, invero, quanto al secondo motivo del ricorso.
Non è inutile, in primo luogo, ribadire che il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2, n. 18951 de 14/03/2017, Napoli ed altro, Rv. 269656 – 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, NOME, Rv. 254893 – 01; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093 01 e, in ogni caso, già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 01).
Tanto premesso, il Tribunale ha vagliato la contestazione difensiva circa l’ammontare degli importi attinti dalla misura reale per l’intera somma erogata dalla Regione nel corso degli anni e da cui, invece, secondo la difesa, andrebbero espunti i costi sostenuti dalla società aggiudicataria per l’espletamento del servizio; la ricorrente, infatti, ha invocato l’arresto delle SS.UU. “RAGIONE_SOCIALE” del 2008 secondo cui il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 19 del D. Lg.vo 231 del 2001 si identifica con il vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato presupposto precisando, tuttavia, che nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagnnatico, non può comprendere anche l’utilità conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione, da parte dell’ente, delle prestazioni che il contratto gli impone.
Il Tribunale ha a tal proposito richiamato il precedente di questa Corte, reso nell’ambito di un procedimento relativo ad una prima parte dell’indagine che aveva interessato l’appalto del servizio di trasporto per la tratta Trapani-Isole Egadi ed in cui si era affermato che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, il profitto del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen commesso dal privato che abbia illegittimamente percepito incentivi per l’espletamento di un servizio pubblico essenziale sulla base della falsa attestazione del possesso dei requisiti, deve essere quantificato nella misura dell’intera somma conseguita, atteso che tale erogazione non rappresenta il corrispettivo per la prestazione effettuata, ma un contributo finalizzato al perseguimento di obiettivi di carattere generale (cfr., Sez. 2 – , n. 3439 del 28/09/2020, Soc. RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280609 – 01).
Il Tribunale, infatti, ha ritenuto, come nella fattispecie esaminata dalla sentenza sopra richiamata, che anche nel caso di specie – in cui le condizioni stabilite dalla Regione RAGIONE_SOCIALE per l’aggiudicazione del servizio e la erogazione degli importi in favore del soggetto aggiudicatario sono, pacificamente, del tutto analoghe – non si è in presenza di un rapporto di natura sinallagmatica nel quale il contributo erogato dall’ente pubblico rappresenta l’effettivo controvalore della prestazione eseguita dal privato ma costituisce, piuttosto, un contributo erogato per finalità di carattere generale e, in particolare, al fine di incentivare e supportar
il collegamento con le isole minori anche in condizioni antieconomiche per l’armatore tenuto a garantire la continuità del servizio pur in presenza di situazioni non remunerative ovvero ad assicurare condizioni di parità, con gli altri passeggeri, anche ai viaggiatori a mobilità ridotta.
Ha spiegato, ancora, che il contratto di cui si discute “… non può essere ricondotto nella categoria civilistica del contratto a prestazioni corrispettiv giacché la causa di questo contratto non coincide perfettamente con quella del rapporto contrattuale di diritto civile, dovendo la prestazione cui si obbliga l’armatore per assicurare il perseguimento di un interesse pubblico generale che può coincidere con quello del privato ma che deve essere garantito anche quando tale coincidenza non vi sia, e quando l’erogazione del servizio non solo non apporta alcun utile ma può essere addirittura in perdita rispetto ai costi dello stesso” (cfr., ivi, pag. 15).
Le SS.UU. “RAGIONE_SOCIALE“, nel delineare la nozione di “profitto” confiscabile ai sensi del D. Lg.vo 231 del 2001, valorizzando anche le linee direttive intraprese dalla normativa sovranazionale, ne aveva sposato una accezione ampia, avendo, in particolare, insistito sul fatto che “… il legislatore, ancora una volta, n disciplinare la confisca del profitto del reato, non opera alcuna distinzione fondata sul margine di guadagno netto tratto dal reato e, anzi, nel menzionare specificamente il profitto indiretto, dà rilievo, ai fini dell’applicazione della misura ablativa, anche ai vantaggi indotti dal profitto direttamente acquisito per effetto della consumazione dell’illecito”; si era affermato, nell’occasione, che “… la strategia internazionale … in maniera sempre più esponenziale, affida alla confisca dei proventi del reato, intesi in senso sempre più ampio e onnicomprensivo, il ruolo di contrasto alla criminalità economica e a quella organizzata e, a tal fine, elabora strumenti funzionali alla promozione dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia”.
Le SS.UU. avevano perciò sostenuto che “… la confisca del profitto di cui all’art. 19 d. Igs. n. 231/01, concepita come misura afflittiva che assolve anche una funzione di deterrenza, risponde sicuramente ad esigenze di giustizia e, al contempo, di prevenzione generale e speciale, generalmente condivise” sottolineando che “… il crimine non rappresenta in alcun ordinamento un legittimo titolo di acquisto della proprietà o di altro diritto su un bene e il reo non può quindi, rifarsi dei costi affrontati per la realizzazione del reato” sicché “… il dive criterio del profitto netto finirebbe per riversare sullo Stato, come incisivamente è stato osservato, il rischio di esito negativo del reato ed il reo e, per lui, l’ente riferimento si sottrarrebbero a qualunque rischio di perdita economica” (cfr., dalla motivazione della sentenza del 2008).
Soltanto dopo aver affermato questi principi di ordine generale, le SS.UU. hanno rilevato che”… sussistono … ipotesi in cui l’applicazione del principio relativ all’individuazione del profitto del reato, così come illustrato al punto che precede, può subire, per così dire, una deroga o un ridimensionamento, nel senso che deve essere rapportata e adeguata alla concreta situazione che viene in considerazione”; hanno quindi individuato l’ipotesi di contratti a prestazioni corrispettive, non intrinsecamente illeciti (ovvero riconducibili al novero dei cd. “reati contratto”), in cui la condotta decettiva abbia avuto ad oggetto la formazione della volontà contrattuale ovvero lo svolgimento del rapporto contrattuale (cd. reati “in contratto”).
In particolare, hanno fatto riferimento all’attività di impresa che sia svolta nel contesto “… di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive, in cui può essere difficile individuare e distinguere gli investimenti leciti da quelli illeci dove “… v’è, quindi, l’esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntual accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile)” (cfr., ivi).
Si era in particolare osservato “… che la genesi illecita di un rapporto giuridico, che comporta obblighi sinallagmatici destinati anche a protrarsi nel tempo, non necessariamente connota di illiceità l’intera fase evolutiva del rapporto, dalla quale, invece, possono emergere spazi assolutamente leciti ed estranei all’attività criminosa nella quale sono rimasti coinvolti determinati soggetti e, per essi, l’ente collettivo di riferimento” per cui “… in un appa pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità (nella specie truffa), l’appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l’iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita” per cui “… il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure” (cfr., ivi).
Ma è proprio all’interno del quadro ermeneutico tracciato dalle SS.UU. che il Tribunale ha ritenuto che la vicenda concretamente portata alla sua attenzione non consentisse in alcun modo di distinguere tra un profitto “illecito” ed un profitto “lecito”, non confiscabile.
Per un verso, infatti, e come si è accennato, i giudici del Riesame hanno escluso che il rapporto contrattuale instaurato con la società odierna ricorrente potesse ricondursi ad un contratto a prestazioni corrispettive; hanno spiegato, infatti, che la RAGIONE_SOCIALE si era aggiudicata il servizio senza avere la disponibilità di navi in possesso delle caratteristiche tecniche stabilite dal bando, con la conseguenza per cui “… l’effettuazione del servizio con delle unità navali prive di tali requisiti necessari ed imposti dal contratto integra un inadempimento perché viene erogato un servizio diverso da quello previsto in contratto essendo stata disattesa e violata la finalità stessa del contratto che è quella di tutelare le persone a mobilità ridotta e consentire loro di viaggiare in condizioni simili, seppure non identiche per la difficoltà correlate alla fragilità presentata, a quelle degli a passeggeri in modo da soddisfare il diritto alla libera circolazione, alla libertà di scelta ed alla non discriminazione, libertà che non possono essere soddisfatte dall’assolvimento dell’onere pubblicitario imposto alla società per garantire il servizio di trasporto” (cfr., pag. 15 dell’ordinanza).
La motivazione del provvedimento impugnato, perciò, non è censurabile in termini di violazione di legge ovvero di errata applicazione della legge penale risultando coerente con le premesse fattuali su cui il Tribunale, come si vedrà subito appresso, ha ampiamente e diffusamente argomentato e la cui confutazione non è consentita in questa sede non essendovi spazio alcuno (nemmeno sotto il profilo del travisamento che, peraltro, è comunque riconducibile a vizi della motivazione) per operare una ricostruzione diversa cui poter collegare l’applicazione del principio affermato dalle SS.UU..
In altri termini, alla luce delle caratteristiche proprie del sindacato d legittimità operante, peraltro, nei limiti stabiliti dall’art. 325 cod. proc. pen., è certamente consentito, con il ricorso per cassazione, prospettare una ricostruzione fattuale diversa che permetta di “ritagliare” spazi di “liceità” dell prestazione del servizio erogato dalla società ricorrente e tali da poter “limitare” la confisca rispetto all’intero ammontare delle somme erogate dall’ente pubblico in favore della società aggiudicataria ben potendo, invero, tale prospettiva, essere coltivata in sede di merito.
3. Il terzo motivo è infondato.
Il Tribunale non ha ignorato il rilievo difensivo, correttamente improntato ai principi affermati dalle SS.UU. “Ellade” del 2022, sottolineando come il GIP avesse congruamente evidenziato l’emergenza di consistenti disposizioni di denaro in uscita, correlativamente a movimenti “in entrata” (cfr., pag. 16 del provvedimento); ha aggiunto che la circostanza che tali movimentazioni fossero necessitate da esigenze di natura aziendale non è tale da incidere sulla
superamento della esigenza di un intervento cautelare che, al contrario, si imponeva proprio in considerazione della entità del profitto confiscabile rispetto al quale non soltanto i conti correnti si erano rivelati incapienti ma anche lo stesso compendio aziendale non risulta in grado di garantire il pronto soddisfacimento della misura.
In definitiva, il Tribunale ha congruamente ed incensurabilmente motivato sulla esistenza delle ravvisate esigenze cautelare rapportate sia alla entità della pretesa ablatoria che alla natura dei beni e dei valori attinti dalla misura cautelare di cui si discute e che, per quanto riguarda in particolare il denaro, ne consente il facile e rapido occultamento o dispersione.
Il quarto ed il quinto motivo, che ben possono essere trattati congiuntamente, sono, a loro volta, infondati.
E’ assolutamente consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso che il giudice del riesame, nella valutazione del fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, ma non può sindacare la fondatezza dell’accusa (cfr., ad es., Sez. 1, n. 18941 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272927; Sez. 6, n. 9991 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261677).
Tanto premesso, il Tribunale, in maniera minuziosa e puntuale, ha ricostruito la vicenda relativa alla gara bandita dalla Regione Sicilia in data 4.8.2015 per il servizio di trasporto relativo alle tratte Milazzo-Isole Eolie Palermo-Ustica, aggiudicata a RAGIONE_SOCIALE rappresentata da NOME COGNOME, fusa, per incorporazione, in data 13.2.2017, in RAGIONE_SOCIALE; nell’ambito della procedura, il COGNOME avrebbe attestato falsamente, nelle autocertificazioni prodotte in data 25.9.2015 all’ente appaltante, il possesso, da parte delle navi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, destinate all’espletamento del servizio, delle caratteristiche tecniche di conformità alle dotazioni P.M.R. (Passeggeri Mobilità Ridotta), di cui al punto 3 del bando, ribadite poi in sede di stipula del contratto di affidamento.
Il Tribunale ha dato conto del contenuto dell’art. 4ter del D. Lg.vo n. 45 del 4.2.2000 e della distinzione tra imbarcazioni costruite in data successiva o antecedente 1’1.10.2004 per le quali, ultime, le caratteristiche indicate devono essere oggetto di interventi di modifica, indicati nella circolare 10/SM del 4.1.2007
ed in quella integrativa 20540 del 17.12.2007, purché “ciò sia ragionevole e possibile in termini economici”.
Poiché, dunque, le navi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano state costruite tutte prima del 2004, in data 29.3.2007 la società armatrice aveva proposto un piano di intervento in cui, peraltro, il Ministero aveva ravvisato una serie di criticit indicando quegli interventi che avrebbero dovuto essere effettivamente eseguiti per uniformarsi alla circolare del 2007.
A fronte della predetta sollecitazione, secondo la ricostruzione fornita nel provvedimento impugnato, la società aveva articolato ed avanzato una proposta di interventi alcuni dei quali da essa stessa giudicati praticabili sia dal punto d vista tecnico che dal punto di vista della sostenibilità finanziaria e rispetto ai quali con nota del 12.10.2010, il Ministero aveva tuttavia fatto presente che non era necessaria una vera e propria “approvazione” ma che, a quella data, non era stato comunicato nulla su quanto era stato fatto secondo il piano di interventi indicato nel gennaio del 2008.
In data 23.2.2015 l’Ufficio di Sanità Marittima e di Frontiera aveva constatato la non conformità della BRIDGE ma, a fronte di tale rilievo, la COGNOME si era limitata a sollecitare, con nota del 25.5.2015, la “approvazione” del piano presentato nel 2008 che, come si è accennato, già il Ministero aveva sostenuto non essere affatto necessaria, con la conseguenza che, a quella data, nulla era stato fatto anche in relazione agli interventi che, nel 2008, la stessa COGNOME aveva giudicato effettivamente praticabili sia dal punto di vista tecnico che finanziario.
Era peraltro accaduto, secondo quanto riportato nella ordinanza, che, in data 18.3.2015 e 14.4.2015, la Capitaneria di Porto di Milazzo aveva rilasciato il certificato di sicurezza con validità sino al 18.3.2016 attestando, con annotazione a penna, che le “deficienze eliminate nei termini stabiliti” rilasciando un ulteriore certificato in data 19.1.2016.
A fronte di ciò, il U.S.M.A.F. in data 8.5.2017 aveva attestato la inidoneità della BRIDGE al trasporto di P.M.R. necessitando la nave degli interventi già segnalati nel 2007.
Con riguardo alla HELGA, il Tribunale ha fatto presente che, in data 25.5.2015, la Capitaneria di Porto di Palermo aveva evidenziato una serie di criticità riguardanti la incompletezza della procedura di adeguamento dei locali per P.M.R. e, nel rilasciare il certificato di sicurezza, aveva indicato una serie di interventi fissando il 15.7.2015 come termine per adempiere; dal canto suo, la società ricorrente aveva inviato una nota che aveva portato la Capitaneria, in data
30.11.2015, a rilasciare il certificato di sicurezza rilevando l’unico inconveniente nella deficienza relativa alla serratura delle porte, ritenute “tollerabili” (ancorch ancora presenti) nel certificato del 22.6.2016.
Si è dato conto, invece, che la Capitaneria di Porto di Messina, nel certificato 5316/2018, 21114, aveva attestato la non idoneità della nave al traporto P.M.R., formulando un giudizio ribadito dalla Capitaneria di Milazzo nel certificato del 18.7.2018 e nuovamente confermato nel Certificato dell’1.7.2020 ed in quello del 29.9.2020 dalla stessa Capitaneria di Milazzo, con il conforto della dichiarazione rilasciata dal RINA.
Dando atto che tutte e tre le navi avevano ricevuto i rispettivi certificati di sicurezza, il Tribunale ha ciò non di meno osservato che “AzZle risultanze investigative passate in rassegna che, sebbene, le Capitanerie di Porto, nelle occasioni citate dalla difesa, abbia rilasciato i certificati di sicurezza al imbarcazioni in esame senza alcun rilievo sulle criticità evidenziate, risulta in modo inequivoco dalle circostanze di fatto summenzionate che, tanto alla data di aggiudicazione del servizio quanto a quella di sottoscrizione del contratto, nessuna verifica ulteriore sulle dotazioni di bordo per la sicurezza delle P.M.R. era stata effettuata e, quindi, permanevano le criticità che erano state evidenziate nel 2007 dal Ministero dei Trasporti e che le commissioni di visita prima e, poi, negli anni successivi, le Capitanerie di Porto avevano riscontrato” (cfr., pag. 8 dell’ordinanza).
Ha spiegato che “… già dalla documentazione in atti e dal carteggio interlocutorio con lo stesso Ministero era emerso come di fatto l’armatore non avesse adeguato le imbarcazioni alle prescrizioni di legge relative al traporto delle persone a mobilità ridotta ed avesse, quindi, maliziosamente taciuto tali circostanze sia nella dichiarazioni di notorietà rilasciata al momento di partecipazione alla gara, sia nella fase successiva di sottoscrizione del relativo contratto” essendo la società ricorsa all’espediente di inviare solleciti al Ministero per vedersi approvato il piano di intervento ed adeguamento contenuto nella relazione tecnica del 2007 ma che, come accennato, già il Ministero aveva segnalato che non aveva nessun bisogno di approvazione pur dando atto che presentava diverse carenze.
Il Tribunale ha, inoltre, chiarito che il certificato del 25.5.2015 rilasciato pe la HELGA dava conto della incompletezzù dell’adeguamento della nave al trasporto delle P.M.R. come, peraltro, ribadito nella riunione del 28.11.2016; dal canto suo, il certificato rilasciato il 13.7.2018 aveva attestato le persistenti deficienze ritenut temporaneamente tollerabili ma, in realtà, ancora rilevate nel certificato del 30.5.2020.
Quanto alla COGNOME, i giudici del riesame hanno sottolineato che le criticità esistenti nel 2015 non erano state ancora eliminate nel 2017 ritenendo irrilevante il certificato con la annotazione “a penna” e, anzi, la sua produzione espressione di una condotta fraudolenta.
D’altra parte, l’ordinanza in verifica ha osservato che nemmeno “… l’allegazione dei certificati di sicurezza rilasciati per le navi, tra i quali quello d nave BRIDGE che non segnalava alcuna criticità in sede di stipula del contratto, può escludere la natura fraudolenta del contegno assunto dal coindagato dal momento che, come chiaramente emerso dalle risultanze investigative e come soprattutto si desume dalla disamina congiunta di tutti i certificati di sicurezza, la segnalazione di siffatte deficienze nelle dotazioni tecniche delle navi, non precludeva il rilascio della certificazione ma prevedeva l’obbligo di pubblicizzare ai terzi la non idoneità per il trasporto per le P.M.R.” (cfr., ivi, pag. 10).
Ed infatti “alla luce della evidente (in)idoneità delle navi … per l’appalto questione al trasporto P.M.R. e della consapevolezza, in capo agli indagati, delle criticità relative all’imbarco ed al trasporto di tale categorie di soggetti, l’esisten degli invocati certificati … non è in alcun modo positivamente apprezzabile né sul piano oggettivo né soggettivo, con la conseguenza che proprio la allegazione dei suddetti certificati ha contribuito al raggiro della stazione appaltante” in quanto “… nonostante negli anni 2015 e 2016 le navi abbiano ottenuto i certificati di sicurezza senza prescrizioni, la documentazione fornita dalla Capitaneria di Porto di Milazzo e la corrispondenza tra l’Autorità Marittima ed il MIT, dimostra chiaramente la originaria e persistente inidoneità al traporto dei P.M.R., in conseguenza del mancato adeguamento alla circolare n. 10/Sm del 4.1.2007, riscontrata direttamente dal MIT con nota n. 10081 del 2017 e dalla Commissione di visita della Capitaneria di Porto di Milazzo in data 17 maggio 2017 (per la RAGIONE_SOCIALE) e 8 giugno 2017 (per la Bridge)” (cfr., ancora, pag. 11) sicché “… il rilascio de certificati di sicurezza da parte della Capitaneria di Palermo senza alcun rilievo negli anni 2015-2016 non è elemento da cui può evincersi l’incolpevole affidamento della società in un atto amministrativo legittimo” anche in considerazione del fatto che gli stessi funzionari che li avevano rilasciati risultano a loro volta indagati (cfr., ivi).
Alla luce della ricostruzione operata dal Tribunale, risulta perciò che le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società odierna ricorrente sia in sede di partecipazione alla gara che di aggiudicazione, era stata nel senso della conformità ed il possesso di requisiti stabiliti dalla circolare n. 10/SM del 4.1.2007 (aggiornata con circolare del 17.12.2012) da parte delle unità navali che sarebbero
state adibite al servizio e tali da consentire l’accesso e la permanenza, a bordo, e senza discriminazioni, delle P.M.R..
Se, pertanto, la circolare sopra indicata aveva stabilito che, per le navi di costruzione anteriore all’ottobre del 2004 l’adeguamento agli standards fissati dalla normativa di settore era subordinato alla circostanza che “ciò sia ragionevole e possibile in termini economici” ovvero ad una valutazione frutto di un giudizio da effettuarsi alla stregua dei criteri indicati al punto E), è pur vero che l dichiarazione resa nel caso di specie era stata nel senso della rispondenza delle navi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE alle caratteristiche tecniche stabilite dalle predette circolari e non già nel senso della impossibilità, per ragioni di ordine tecnico o finanziario, del loro adeguamento a tali standards.
La stessa impostazione difensiva della società ricorrente è stata peraltro nel senso della conformità delle unità navali (attestata dai relativi certificati sicurezza) alla normativa di settore e, dunque, nella stessa ricostruzione operata in sede investigativa e di cui il Tribunale ha dato ampiamente conto, quella resa in sede di partecipazione e di aggiudicazione della gara è stata indubbiamente una dichiarazione “di scienza” e non già una “valutazione” – in termini di incompatibilità o incongruità tecnica o finanziaria – degli interventi da eseguire rispetto alle caratteristiche delle navi che, va pur ricordato, sin dal 2007 la stessa COGNOME aveva in realtà ritenuto di poter adeguare tanto da aver proposto al Ministero un programma di interventi salvo poi, come si è visto, mai porre in atto e realizzarne alcuno.
Le considerazioni svolte dal Tribunale in punto di oggettiva divergenza tra il contenuto dei certificati rilasciati alle navi RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE e le loro caratteristiche effettive, come attestate, anche, da altri soggetti pubblici, consente di ritenere infondato il rilievo sollevato dalla difesa circa il divieto, per il gi penale, di disapplicare i provvedimenti amministrativi.
Va rilevato, d’altra parte, che tale divieto fa salva l’ipotesi in cui vi sia elementi per ritenere che il provvedimento sia frutto di collusione con il pubblico funzionario che lo ha adottato, circostanza su cui, peraltro, il Tribunale, come si è accennato, non ha affatto sorvolato sottolineando come gli stessi funzionari pubblici che avevano rilasciato i certificati di sicurezza risultano a loro volt indagati per tali condotte.
Per altro verso, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come il principio evocato dalla difesa valga, in realtà, per le ipotesi di provvedimenti che che diano luogo all’estinzione o alla modifica di diritti soggettivi ovvero a quelli come le concessioni o le autorizzazioni, che costituiscono diritti soggettivi o
rimuovono ostacoli al loro esercizio (cfr., Sez. U, n. 3 del 31/01/1987, COGNOME, Rv. 176304 – 01; Sez. 3, n. 2304 del 18/06/1999, COGNOME, Rv. 214976 – 01 ; Sez. 3, n. 18087 del 04/03/2003, COGNOME, Rv. 224761 – 01) laddove, nel caso di specie, si è in presenza, semmai, di mere “certificazioni”.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7.12.2023