LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Profitto confiscabile e frode: sequestro integrale

Una società di navigazione otteneva fondi pubblici attestando falsamente la conformità delle sue navi agli standard per persone a mobilità ridotta. La Corte di Cassazione ha confermato il sequestro preventivo dell’intera somma ricevuta, chiarendo la nozione di profitto confiscabile. La Corte ha stabilito che, quando la prestazione eseguita è qualitativamente diversa da quella pattuita a causa della frode, non è possibile detrarre i costi sostenuti, e l’intero importo erogato costituisce il profitto del reato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Profitto Confiscabile e Frode: Sequestro Integrale Senza Deduzione dei Costi

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 1446 del 2024, offre un’analisi cruciale sulla definizione di profitto confiscabile nei casi di frode aggravata ai danni dello Stato. La decisione chiarisce che, qualora un servizio pubblico venga eseguito in modo difforme dagli standard pattuiti a causa di dichiarazioni fraudolente, l’intera somma erogata dall’ente pubblico costituisce il profitto del reato, senza possibilità di detrarre i costi sostenuti per l’esecuzione del servizio. Questo principio ha implicazioni significative per le aziende che operano con la Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso: Una Gara Pubblica Sotto la Lente

Una società di navigazione si era aggiudicata un appalto pubblico per il servizio di trasporto marittimo verso alcune isole minori. L’appalto prevedeva l’erogazione di contributi pubblici per garantire la continuità del servizio e l’accessibilità per le persone a mobilità ridotta (P.M.R.), secondo specifici standard tecnici. In fase di gara e di stipula del contratto, il legale rappresentante della società aveva autocertificato il possesso dei requisiti tecnici e la piena conformità delle navi a tali standard.

Successive indagini hanno però rivelato che le navi impiegate non erano conformi alle normative per il trasporto di P.M.R. Di conseguenza, il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di circa 29 milioni di euro, corrispondenti all’intero importo dei contributi pubblici ricevuti dalla società. La società ha impugnato il provvedimento, portando la questione fino in Cassazione.

La Posizione della Società Ricorrente

La difesa della società ha articolato il ricorso su diversi punti, sostenendo principalmente:
1. Errata qualificazione giuridica: il fatto doveva essere inquadrato come indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) e non come frode aggravata (art. 640-bis c.p.), con conseguente incompetenza territoriale del Tribunale.
2. Errata quantificazione del profitto: il sequestro doveva colpire solo l’utile netto, deducendo i costi sostenuti per il servizio di trasporto, che era stato comunque erogato.
3. Insussistenza del fumus boni iuris: le dichiarazioni non erano false, ma giudizi di valore sulla fattibilità tecnica ed economica degli adeguamenti. Inoltre, la società faceva leva sui certificati di sicurezza rilasciati dalle autorità marittime, che a suo dire attestavano la regolarità delle navi.

L’Analisi della Corte e la Delimitazione del Profitto Confiscabile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità del sequestro sull’intera somma. L’analisi della Corte si è concentrata su due aspetti fondamentali: la natura del rapporto contrattuale e la conseguente definizione del profitto confiscabile.

La Quantificazione del Profitto Confiscabile: Perché l’Intero Importo?

Il punto centrale della sentenza riguarda il calcolo del profitto. La difesa invocava un celebre precedente delle Sezioni Unite, secondo cui in un contratto a prestazioni corrispettive, se una parte della prestazione è lecita, i relativi costi vanno detratti dal profitto. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto questo principio non applicabile al caso di specie.

Il contratto in questione non era un semplice rapporto sinallagmatico, ma un accordo finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico generale: garantire un servizio essenziale a determinate condizioni qualitative (l’accessibilità P.M.R.). Poiché la società ha ottenuto il contratto e i fondi dichiarando il falso e ha poi fornito un servizio qualitativamente diverso e inferiore a quello pattuito, l’intera prestazione è risultata viziata dall’inadempimento. Di conseguenza, l’intero contributo ricevuto dall’ente pubblico, erogato proprio in virtù di quelle false dichiarazioni, rappresenta il vantaggio economico diretto del reato. Non è possibile ‘salvare’ una parte lecita della prestazione quando la frode iniziale ne inficia la causa stessa.

L’Irrilevanza dei Certificati Amministrativi

La Corte ha inoltre smontato la tesi difensiva basata sui certificati di sicurezza. I giudici hanno affermato che la presenza di atti amministrativi apparentemente legittimi non può neutralizzare un’accusa di frode, specialmente quando emerge che gli stessi funzionari che hanno rilasciato tali certificati sono indagati. Il giudice penale, in questi casi, ha il potere di accertare autonomamente i fatti, disapplicando l’atto amministrativo che si palesa come il prodotto o l’oggetto del reato.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra ‘reato-contratto’ e ‘reato in contratto’. In questo caso, la condotta fraudolenta ha viziato la genesi stessa del rapporto contrattuale. La società non avrebbe mai dovuto aggiudicarsi l’appalto né ricevere i fondi se avesse dichiarato la verità sulla condizione delle sue navi. L’erogazione pubblica non era il corrispettivo di un generico servizio di trasporto, ma di un servizio con precise caratteristiche qualitative che non sono state rispettate. Pertanto, l’intero ammontare ricevuto è un profitto ingiusto e diretto della condotta illecita. La Corte ha sottolineato che ammettere la deduzione dei costi significherebbe, di fatto, riversare sullo Stato il rischio economico di un’attività imprenditoriale basata sull’inganno, legittimando un’iniziativa economica illecita.

Le Conclusioni

La sentenza n. 1446/2024 consolida un principio di estrema importanza: nei reati di frode contro la Pubblica Amministrazione, se la condotta illecita porta a fornire una prestazione qualitativamente inferiore a quella pattuita, il profitto confiscabile coincide con l’intero importo ricevuto, senza alcuna deduzione per i costi operativi. Questa decisione funge da monito per tutte le imprese, ribadendo che la correttezza e la veridicità nelle dichiarazioni rese alla Pubblica Amministrazione sono un presupposto non negoziabile e che le conseguenze patrimoniali di eventuali frodi possono essere particolarmente gravose, estendendosi all’intero valore del contratto.

In caso di frode per ottenere un appalto pubblico, il profitto da sequestrare è l’intero importo ricevuto o solo il guadagno netto?
Secondo la sentenza, se la frode porta a un inadempimento qualitativo del servizio pattuito (cioè viene fornito un servizio diverso e inferiore), il profitto confiscabile è costituito dall’intera somma ricevuta dall’ente pubblico, senza la possibilità di detrarre i costi sostenuti per l’esecuzione.

Un certificato amministrativo, come quello di sicurezza di una nave, può escludere la responsabilità penale per frode?
No. La Corte ha chiarito che il giudice penale può accertare autonomamente la falsità delle dichiarazioni e la sussistenza della frode, disapplicando gli atti amministrativi che risultino essere il prodotto di un reato, soprattutto quando vi sono indizi di collusione con i funzionari pubblici che li hanno rilasciati.

Qual è la differenza tra il reato di frode aggravata (art. 640-bis c.p.) e quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) secondo la Corte?
La differenza fondamentale risiede nell’elemento dell’ ‘induzione in errore’ dell’ente pubblico. Si ha frode aggravata quando la condotta dell’agente, tramite artifizi e raggiri (come false certificazioni), inganna attivamente l’amministrazione, inducendola a erogare i fondi. Si ha invece indebita percezione quando l’ente pubblico è chiamato solo a prendere atto dell’esistenza di requisiti autodichiarati, senza svolgere un’autonoma attività di accertamento che venga sviata dall’inganno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati