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Profitto autoriciclaggio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37830/2025, ha rigettato il ricorso di un soggetto indagato per associazione a delinquere e autoriciclaggio. La Corte ha stabilito che il profitto autoriciclaggio è costituito dall’intero valore dei beni oggetto delle operazioni di occultamento, e non solo da un eventuale guadagno ulteriore. Ha inoltre chiarito che il principio del ‘ne bis in idem’ non si applica se i procedimenti per reati in concorso formale sono pendenti contemporaneamente, senza che vi sia una sentenza definitiva.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Profitto Autoriciclaggio: La Cassazione definisce i confini del sequestro

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 37830/2025) offre un’importante chiave di lettura su due temi cruciali del diritto penale: la definizione del profitto autoriciclaggio e l’applicazione del principio del ne bis in idem. La decisione chiarisce che il profitto confiscabile nel delitto di autoriciclaggio non è solo l’eventuale guadagno aggiuntivo, ma l’intero valore dei beni di provenienza illecita che si tenta di “ripulire”.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Potenza che confermava un sequestro cautelare nei confronti di un soggetto. L’indagato era coinvolto in due procedimenti penali paralleli: uno per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti e l’altro per il reato di autoriciclaggio.

Nello specifico, l’uomo aveva consegnato a un agente sotto copertura la somma di circa 148.000 euro, provento della vendita di droga, affinché fosse trasferita all’estero. Tale somma veniva sequestrata. La difesa dell’indagato proponeva ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, una presunta duplicazione illegittima del sequestro e la violazione del divieto di essere processato due volte per lo stesso fatto (ne bis in idem).

Le Questioni Giuridiche: Profitto Autoriciclaggio e Ne Bis in Idem

Il ricorso sollevava due questioni centrali:
1. La definizione del profitto nel reato di autoriciclaggio: la difesa sosteneva che il sequestro fosse illegittimo perché una somma equivalente era già oggetto di potenziale confisca nel procedimento per narcotraffico, creando una duplicazione del vincolo cautelare.
2. L’applicazione del ne bis in idem: si contestava che la stessa condotta (la gestione del denaro illecito) fosse perseguita sia come partecipazione all’associazione criminale sia come reato autonomo di autoriciclaggio, violando il divieto di doppio processo.

La Decisione della Cassazione sul Profitto Autoriciclaggio

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali. Sul primo punto, i giudici hanno sposato l’orientamento più recente e rigoroso, secondo cui il profitto autoriciclaggio è costituito dal valore dell’intera somma oggetto delle operazioni di occultamento. Il denaro, i beni o le altre utilità trasferite per nasconderne l’origine delittuosa rappresentano il “prodotto” del reato stesso. L’obiettivo della confisca non è solo sanzionatorio, ma ha una funzione “ripristinatoria”, volta a impedire che l’economia legale venga inquinata da capitali di provenienza illecita. La Corte ha però ribadito un principio cardine: è illegittimo duplicare il sequestro, ovvero apprendere gli stessi beni sia come profitto del reato presupposto (il narcotraffico) sia come prodotto del reato derivato (l’autoriciclaggio). Tuttavia, nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente motivato che, allo stato degli atti, non vi era prova di una sovrapposizione tra i beni sequestrati nei due diversi procedimenti.

L’Applicazione del Principio del Ne Bis in Idem

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La Cassazione ha spiegato che il divieto di ne bis in idem non opera quando, in relazione a un unico fatto naturalistico, vengono contestati reati diversi in concorso formale nell’ambito di un simultaneus processus, ovvero di procedimenti che si svolgono contemporaneamente. Poiché entrambi i procedimenti (per associazione e per autoriciclaggio) erano ancora pendenti e nessuno si era concluso con una sentenza passata in giudicato, non sussisteva alcuna violazione del principio. Il divieto, infatti, scatta solo quando un procedimento penale viene avviato per un fatto per cui è già intervenuta una pronuncia definitiva.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su un’interpretazione evolutiva della normativa in materia di autoriciclaggio. Superando un precedente orientamento che limitava il profitto al solo “quid pluris” (l’eventuale guadagno ulteriore derivante dall’investimento del denaro sporco), i giudici hanno affermato che l’intera somma movimentata costituisce il prodotto del reato. Questa lettura valorizza la funzione ripristinatoria della confisca, intesa come strumento per bonificare il sistema economico dai capitali illeciti. L'”integrale illiceità” dei beni movimentati giustifica l’estensione del vincolo all’intero importo.
Per quanto riguarda il ne bis in idem, la motivazione si basa sulla distinzione tra la persecuzione “contestuale” di più reati (legittima in caso di concorso formale e procedimenti simultanei) e una “seconda iniziativa penale” successiva a una pronuncia definitiva (vietata). La Corte ha sottolineato che, finché i procedimenti corrono in parallelo senza un giudicato, il sistema consente di valutare tutte le sfaccettature illecite di una medesima condotta.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di grande importanza pratica nella lotta alla criminalità economica. Stabilire che il profitto autoriciclaggio coincide con l’intero capitale illecitamente movimentato potenzia l’efficacia delle misure di sequestro e confisca, rendendole strumenti più incisivi. La pronuncia offre inoltre un chiaro perimetro applicativo al principio del ne bis in idem, specificando che esso non osta alla persecuzione simultanea per reati diversi che originano dalla stessa azione, a condizione che non vi sia una sentenza definitiva. Questa decisione rafforza gli strumenti a disposizione della magistratura per contrastare l’infiltrazione di capitali illeciti nell’economia, garantendo al contempo il rispetto dei principi fondamentali del diritto processuale penale.

Qual è il profitto confiscabile nel reato di autoriciclaggio?
Secondo la Corte di Cassazione, il profitto confiscabile è costituito dall’intero valore dei beni (denaro, utilità) oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, e non solo da un eventuale guadagno ulteriore derivante dal loro reimpiego.

È possibile sequestrare gli stessi beni sia per il reato presupposto (es. narcotraffico) che per quello di autoriciclaggio?
No, non è legittimo duplicare il vincolo. La sentenza chiarisce che è illegittimo apprendere gli stessi beni sia come profitto diretto del reato presupposto sia come prodotto del reato derivato (autoriciclaggio).

Il principio del ‘ne bis in idem’ impedisce di essere processati contemporaneamente per associazione a delinquere e per autoriciclaggio se i fatti sono collegati?
No. Se i due procedimenti penali sono pendenti contemporaneamente e nessuno dei due si è concluso con una sentenza passata in giudicato, il principio del ‘ne bis in idem’ non viene violato. La persecuzione simultanea è consentita, specialmente in casi di concorso formale tra reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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