Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37830 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37830 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Durazzo (Albania), il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/04/2025 del Tribunale di Potenza.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentito il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso, con condanna alle spese. Udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso , richiamando anche il contenuto della memoria depositata il 25 settembre 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Potenza rilevata la sussistenza dei gravi indizi (a) del reato di associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di delitti di riciclaggio (in relazione ai quali il reato presupposto era stato identificato in quello di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, per il quale il ricorrente era indagato in altro procedimento, ad oggi pendente), (b) nel delitto di autoriciclaggio della somma di euro 148.060, provenienti dalla vendita di stupefacenti, somma che COGNOME NOME aveva consegnato ad un agente sotto copertura che provvedeva ad attivare le procedure per il trasferimento della somma all’estero .
La somma consegnata all’agente sotto copertura veniva sequestrata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento sia nella forma
diretta che in quella per equivalente; la competenza territoriale veniva successivamente individuata in quella del Tribunale di Potenza, che rinnovava il vincolo cautelare.
Il Tribunale per il riesame confermava la sussistenza sia del fumus dei delitti contestati che del periculum in mora e manteneva il vincolo nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla quota di sua pertinenza, ovvero alla somma di euro 49.353.00, dato il reato era stato consumato oltre che dal COGNOME, anche da altre due persone.
Contro tale ordinanza ricorreva il difensore del COGNOME NOME che deduceva le seguenti violazioni di legge:
2.1. violazione dell’art. 6 48quater cod. pen.: sia il procedimento per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 309 90 che quello in esame pendevano di fronte all’Autorità giudiziaria di Potenza e, nell’ambito del procedimento per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 309 90 ( nell’ambito del quale il ricorrente era indagato per la condotta di partecipazione all’associazione ) sarebbe stato confiscato un importo «parametrato alla consegna del denaro all’agente sotto copertura», ovvero di una somma vincolata ‘a nche ‘ con il provvedimento impugnato, sicché vi sarebbe stata una illegittima duplicazione del vincolo;
2.2. v iolazione dell’art. 649 cod. proc. pen.: la motivazione in ordine al fumus commissi delicti sarebbe apparente in quanto non sarebbe stato scrutinato adeguatamente il tema allegato dalla difesa, ovvero la violazione del divieto di perseguire più volte una persona per la medesima condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato e non può essere accolto.
1.1. In via preliminare deve essere chiarito quale sia l’importo confiscabile in relazione al reato di autoriciclaggio.
Sul punto, secondo un risalente orientamento, il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincidono con il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal reato presupposto, ma consiste invece solo negli ‘ ulteriori ‘ proventi conseguiti attraverso l’impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (tra le altre, Sez. 6, n. 4953 del 20/11/2019, dep. 2020, Cilli, Rv. 278204 – 01).
Tale approdo ermeneutico risulta in via di definitivo superamento: si è affermato infatti che il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali
operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto. La Cassazione ha precisato che il denaro, i beni o le altre utilità trasferite, ovvero manipolate in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, si prestano ad essere qualificate, comunque, come ‘prodotto’ del reato, rappresentando il risultato empirico dell’attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex art. 648quater , comma primo e secondo, cod. pen. (Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Meliota, Rv. 286131 -01; Sez. 5, n. 32176 del 08/05/2024, COGNOME, Rv. 286816 – 01).
Invero, ove non reimpiegati a fini dissimulatori, i beni illeciti oggetto dei reati derivati sarebbero – comunque -destinati ad essere vincolati quali provento del reato presupposto; l’estensione del vincolo oltre il quid pluris collegabile al reato derivato (riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego) si fonda sulla valutazione della ‘integrale illiceità’ dei beni movimentati, che, ove non manipolati con condotte dissimulatorie, sarebbero comunque destinati ad essere vincolati come profitto del reato presupposto.
Tale opzione ermeneutica, condivisa dal Collegio, presuppone la valorizzazione della funzione ‘ripristinatoria’ delle confische disposte ai sensi dell’art. 321, comma 2 cod. proc. pen. funzione che si estende anche alle misure cautelari reali che le anticipano. Tale finalità, osservata da altra angolazione, è quella di impedire che l’economia legale sia inquinata dalla circolazione di beni di provenienza illecita.
La finalità ripristinatoria delle misure reali diventa recessiva solo nel caso della confisca (e del relativo sequestro) ‘ per equivalente ‘ in ragione della eminente (e preminente) funzione sanzionatoria di tale tipo di vincolo (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209 -01).
Deve essere comunque ribadito che non è legittimo duplicare il vincolo, che può essere imposto sull’intero ‘prodotto’ del reato , solo quando i beni da vincolare ‘non’ siano stati già appresi come profitto del reato presupposto.
In sintesi, il collegio ritiene che il profitto del reato di autoriciclaggio (come anche quello dei reati di riciclaggio e reimpiego) debba essere individuato nell’intero valore dei beni oggetto di condotte dissimulatorie, e non solo nell’ipotetico quid pluris derivante dalla condotta che integra il reato derivato.
Tuttavia non è legittimo duplicare il vincolo, ovvero apprendere gli stessi beni sia come profitto diretto del reato presupposto che come prodotto del reato derivato : pur non essendo necessaria l’identificazione di un vantaggio ‘ulteriore’ rispetto a quello conseguito con la consumazione del reato presupposto dell’autoriciclaggio, tale duplicazione è illegittima.
1.2. Nel caso in esame, a pagina 17 del provvedimento impugnato è stato
chiaramente rilevato che la condotta posta in essere dal ricorrente il 19/06/2020 era diretta (a) a fornire un contributo causale al l’associazione diretta alla gestione del narcotraffico, (b) ad integrare il delitto di riciclaggio/autoriciclaggio.
Si tratta di una condotta che integra un ‘concorso formale’ relativo a procedimenti -quello per l’associazione funzionale al narcotraffico e quella per il delitto di autoriciclaggio – contestualmente pendenti.
Persuasivamente, a pag. 19, il Tribunale ha evidenziato che, nell’ambito del procedimento relativo all’associazione funzionale al traffico di stupefacenti, era stato disposto un sequestro di oltre quattro milioni di euro e che – allo stato degli atti – non vi erano elementi per ritenere che vi fosse corrispondenza tra i profitti del reato associativo confiscati nel procedimento n. 39707/23 e quelli del delitto derivato, sicché il vincolo contestato si configurava -allo stato legittimo.
Si tratta di una motivazione coerente con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità, che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
Anche il secondo motivo che contesta la violazione del divieto del ne bis in idem è infondato.
2.1. Il Collegio ribadisce, in via preliminare, che per verificare l’idem factum alla luce dei principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 è necessario che l’Autorità giudiziaria confronti i fatti contestati «sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico»: solo la coincidenza di questi elementi consente di affermare che si procede per fatti identici (Corte cost. n. 200 del 2016).
Il principio rileva anche quando l’ idem factum sia oggetto di procedimenti ‘avviati’, ma ‘non conclusi’ con sentenza passata in giudicato come si ricava, in modo chiaro, dalle fonti sovranazionali e, segnatamente, dalla formulazione letterale dell’art. 7 del prot. 4 allegato alla Convenzione Edu e dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che sanciscono il diritto fondamentale della persona a non essere ‘perseguito’, oltre che ‘condannato’, due volte per lo stesso fatto.
In ossequio a tali prescrizioni la Cassazione ha già affermato che, qualora vengano instaurati due diversi procedimenti penali riguardanti il medesimo fatto storico, la procedibilità del procedimento duplicato è inibita dall’avvenuto esercizio dell’azione penale nell’altro procedimento, dovendosi disporre, in tal caso, l’archiviazione di quello per il quale la stessa non sia stata esercitata, mentre, ove l’azione penale sia stata promossa in entrambi, dovrà pronunciarsi sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen. per quello dei procedimenti nel quale il suo esercizio sia stato ‘successivo’ (Sez.
5, n. 17252 del 20/02/2020, C., Rv. 279113 -01; Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800).
Il divieto trova il suo limite nella legittimità della persecuzione ‘ contestuale ‘ -anche se in procedimenti separati – di condotte che integrano fattispecie autonome di reato, nei casi in cui sussistano i presupposti per il riconoscimento del ‘ concorso formale ‘ .
Si è infatti deciso che il divieto di bis in idem processuale non opera ove, in relazione ad un unico fatto naturalisticamente inteso, siano contestati, nell’ambito di un simultaneus processus , reati diversi in concorso tra loro, nel qual caso deve solo accertarsi, in base ai criteri relativi ai rapporti strutturali tra le norme, la configurabilità di uno o più reati in concorso formale (Sez. 6, n. 14402 del 05/11/2020, dep. 2021, Bovo, Rv. 280966 – 01).
La Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 ha infatti chiarito che «è ben possibile che un’unica azione o omissione infranga, in base alla valutazione normativa dell’ordinamento, diverse disposizioni penali, alle quali corrisponde un autonomo disvalore che il legislatore, nei limiti della discrezionalità di cui dispone, reputa opportuno riflettere nella molteplicità dei corrispondenti reati e sanzionare attraverso le relative pene (sia pure secondo il criterio di favore indicato dall’art. 81 cod. pen.). Qualora il giudice abbia escluso che tra le norme viga un rapporto di specialità (artt. 15 e 84 cod. pen.), ovvero che esse si pongano in concorso apparente, in quanto un reato assorbe interamente il disvalore dell’altro, è incontestato che si debbano attribuire all’imputato tutti gli illeciti che sono stati consumati attraverso un’unica condotta commissiva o omissiva, per quanto il fatto sia il medesimo sul piano storiconaturalistico. Siamo, infatti, nell’ambito di un istituto del diritto penale sostanziale che evoca mutevoli scelte di politica incriminatrice, proprie del legislatore, e in quanto tali soggette al controllo di questa Corte solo qualora trasmodino in un assetto sanzionatorio manifestamente irragionevole, arbitrario o sproporzionato ( ex plurimis , sentenze n. 56 del 2016 e n. 185 del 2015). Né queste opzioni in sé violano la garanzia individuale del divieto di bis in idem , che si sviluppa invece con assolutezza in una dimensione esclusivamente processuale, e preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo».
I Giudici delle leggi hanno quindi concluso che, quando per reati consumati in concorso formale non si procede ‘ simultaneamente ‘ , ma ‘ in successione ‘ , dopo la formazione del giudicato, la violazione del divieto di ne bis in idem non è ostacolata dalla sussistenza del concorso formale, dato che, in tal caso, deve essere rigorosamente valutata l ‘ eventuale sussistenza dell’ idem factum .
2.2. Nel caso in esame le condotte di partecipazione all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e di autoriciclaggio risultano ‘in concorso formale’, ma sono state perseguite ‘simultaneamente’, dato che pendono i relativi procedimenti, senza che nessuno di essi risulti concluso con un accertamento passato in giudicato: dunque non vi sono gli estremi per ritenere che via una violazione del divieto di procedere due volte nei confronti della stessa persona per una medesima condotta.
2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il giorno 8 ottobre 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME