LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Profitto associazione: inammissibile ricorso del PM

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero avverso un’ordinanza che annullava un sequestro preventivo. Il sequestro riguardava i proventi di una presunta frode fiscale. La Corte ha stabilito che il ricorso è inammissibile perché non contesta il punto centrale della decisione impugnata: l’accertata estraneità di un indagato all’associazione a delinquere. Di conseguenza, le argomentazioni sulla confisca del profitto associazione risultano irrilevanti per il caso specifico.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Profitto associazione: quando il ricorso del PM è inammissibile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 31532/2025) offre un’importante lezione sulla tecnica processuale, chiarendo i requisiti di ammissibilità dei ricorsi e le dinamiche relative alla confisca del profitto associazione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Pubblico Ministero perché non affrontava il nucleo centrale della decisione del Tribunale del Riesame, ovvero l’esclusione della partecipazione di un indagato a un sodalizio criminoso. Questo principio evidenzia come le argomentazioni legali, per quanto fondate in astratto, debbano essere strettamente correlate ai fatti accertati nel provvedimento che si intende impugnare.

I fatti del caso

L’indagine aveva portato alla luce un presunto meccanismo fraudolento finalizzato all’ottenimento di indebiti rimborsi fiscali IRPEF. Secondo l’accusa, un’associazione per delinquere, guidata da tre soggetti principali, organizzava la presentazione di dichiarazioni dei redditi mendaci per conto di contribuenti compiacenti. Attraverso l’inserimento di dati fittizi (spese mediche non documentate, familiari a carico inesistenti), si generavano crediti d’imposta che venivano poi rimborsati dall’Agenzia delle Entrate. Il profitto illecito veniva spartito: il 60% al contribuente e il 40% all’organizzazione.

Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) aveva disposto un sequestro preventivo su ingenti somme, qualificando il fatto come truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione per delinquere. Tuttavia, il Tribunale del Riesame, esaminando la posizione di uno specifico indagato, aveva annullato il sequestro. I giudici del riesame avevano escluso sia la sua partecipazione all’associazione, ritenendo i suoi rapporti con uno dei capi solo episodici e finalizzati a un interesse personale, sia la configurabilità della truffa aggravata, riqualificando la sua condotta come mera dichiarazione infedele, peraltro al di sotto della soglia di punibilità.

Il ricorso del Pubblico Ministero e il profitto associazione

Il Pubblico Ministero ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione del Tribunale del Riesame su due fronti principali.

In primo luogo, ha sostenuto che la condotta non potesse essere derubricata a semplice dichiarazione infedele, ma integrasse a tutti gli effetti il più grave reato di truffa aggravata. A suo avviso, l’intero meccanismo fraudolento, con la creazione di profili falsi, l’uso di credenziali altrui e la presentazione seriale di pratiche, costituiva un complesso di “artifizi e raggiri” che andava ben oltre la mera mendacità della dichiarazione.

In secondo luogo, ha criticato la decisione del Tribunale di escludere la confisca del profitto associazione. Secondo l’accusa, il profitto doveva essere considerato unitario e imputato solidalmente a tutti i partecipanti, compresa la quota del 40% destinata all’organizzazione criminale, senza necessità di individuare il vantaggio conseguito da ogni singolo concorrente.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, senza entrare nel merito delle questioni giuridiche sollevate. La motivazione di questa decisione è squisitamente processuale e si fonda su un principio cardine: il ricorso deve confrontarsi specificamente con le ragioni della decisione impugnata.

I giudici di legittimità hanno osservato che il Tribunale del Riesame aveva basato la sua decisione su un punto fondamentale e pregiudiziale: l’assoluta mancanza di prove circa la partecipazione stabile e consapevole dell’indagato all’associazione criminale. I contatti con uno dei promotori erano stati giudicati sporadici e finalizzati a un illecito personale, non a supportare il programma del sodalizio.

Il ricorso del PM, invece, ignorava completamente questa valutazione. Le sue argomentazioni sulla truffa aggravata e sulla confisca del profitto associazione si basavano sul presupposto implicito che l’indagato fosse un partecipe del sodalizio. Non avendo contestato con elementi concreti l’accertamento del Tribunale sull’estraneità dell’indagato all’associazione, l’intero castello accusatorio del ricorso perdeva di fondamento rispetto alla posizione specifica esaminata.

In sostanza, la Corte ha affermato che non si può discutere della confisca del profitto di un’associazione nei confronti di chi è stato giudicato estraneo a quella stessa associazione, se tale giudizio non viene prima specificamente e validamente contestato. Il ricorso mancava di correlazione tra le censure mosse e la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda impugnare un provvedimento giurisdizionale. Non è sufficiente esporre tesi giuridiche astrattamente corrette; è indispensabile che queste tesi siano pertinenti e che attacchino il cuore logico-giuridico della decisione che si contesta. Un ricorso che ignora le affermazioni centrali del provvedimento censurato è destinato a essere dichiarato inammissibile. Nel caso di specie, la mancata contestazione dell’esclusione del vincolo associativo per l’indagato ha reso vane tutte le altre, pur elaborate, argomentazioni sulla qualificazione del reato e sull’estensione della confisca del profitto dell’associazione.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando manca la correlazione tra le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata e quelle argomentate nell’atto di impugnazione. In pratica, se il ricorso ignora o non contesta le affermazioni centrali del provvedimento che si vuole censurare, non può essere esaminato nel merito.

Qual è la differenza tra truffa aggravata e dichiarazione infedele in un contesto di rimborsi fiscali?
Secondo la decisione del Tribunale del Riesame, la semplice presentazione di una dichiarazione con dati mendaci, senza ulteriori comportamenti fraudolenti o di sviamento dei controlli, integra il reato di dichiarazione infedele (punibile solo sopra certe soglie). La truffa aggravata, invece, richiede “artifizi e raggiri”, ovvero un meccanismo fraudolento più complesso volto a indurre in errore l’amministrazione finanziaria.

Perché la Corte non ha discusso il principio di confisca del profitto dell’associazione?
La Corte non ha discusso questo principio perché era irrilevante per la posizione dell’indagato specifico. Poiché il Tribunale del Riesame aveva stabilito, con una motivazione non contestata nel ricorso, che l’indagato era estraneo all’associazione, non aveva senso discutere le modalità di confisca del profitto di un’associazione a cui egli non partecipava.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati