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Prodotti contraffatti: Cassazione sulla vendita

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per ricettazione e vendita di prodotti contraffatti. La Corte ha ribadito che la detenzione per la vendita di merce falsa integra il reato ex art. 474 c.p. anche se la contraffazione è grossolana, poiché il bene giuridico tutelato è la fede pubblica e non il singolo acquirente. Inammissibile anche il motivo sulla ricettazione, ritenuto una mera riproposizione di argomenti già respinti in appello.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Vendita di Prodotti Contraffatti: Quando il Reato Sussiste Sempre

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul tema della vendita di prodotti contraffatti, offrendo chiarimenti cruciali sulla configurabilità dei reati di ricettazione (art. 648 c.p.) e di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.). La decisione sottolinea come la tutela della fede pubblica prevalga sulla potenziale ingenuità dell’acquirente, anche di fronte a una falsificazione evidente. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello per i reati di ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi. L’imputato era stato trovato in possesso di merce con marchi contraffatti, chiaramente destinata alla vendita. La difesa ha deciso di impugnare la sentenza di condanna dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due specifici motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso e l’analisi dei prodotti contraffatti

Il ricorrente basava il suo appello su due argomentazioni principali:

1. Violazione di legge in merito alla ricettazione (art. 648 c.p.): La difesa sosteneva un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In altre parole, si contestava che fosse stata adeguatamente provata la consapevolezza, da parte dell’imputato, della provenienza illecita della merce.
2. Violazione di legge in merito al commercio di prodotti falsi (art. 474 c.p.): Si lamentava un difetto di motivazione sulla responsabilità per questo delitto, presumibilmente collegato alla qualità della contraffazione e alla sua effettiva capacità di trarre in inganno gli acquirenti.

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, giungendo a una declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento lineare e ancorato a principi giuridici consolidati.

In primo luogo, riguardo al reato di ricettazione, i giudici hanno qualificato il motivo come una semplice e non consentita riproposizione di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. La Corte ha ribadito che, di fronte a prove come la detenzione di prodotti contraffatti destinati alla vendita, spetta all’imputato fornire elementi concreti a sostegno di una spiegazione alternativa. Questo si fonda sul principio della cosiddetta “vicinanza della prova”, secondo cui l’onere di dimostrare un fatto grava sulla parte che più agevolmente può farlo. In assenza di tali spiegazioni, la motivazione della corte di merito, seppur sintetica, è stata ritenuta immune da vizi logici.

In secondo luogo, e con particolare rilevanza, la Corte ha dichiarato manifestamente infondato il motivo relativo al reato di cui all’art. 474 c.p. I giudici hanno chiarito che questo reato è un “reato di pericolo” che non tutela il singolo acquirente, ma un bene giuridico di portata più ampia: la fede pubblica. La norma mira a proteggere la fiducia generale dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano i prodotti industriali, garantendone la circolazione e tutelando anche i titolari dei marchi stessi. Di conseguenza, per la configurazione del reato non è necessario che si realizzi un inganno effettivo. La detenzione per la vendita di merce contraffatta integra il reato a prescindere dalla circostanza che la contraffazione sia “grossolana”, ovvero così evidente da non poter ingannare nessuno. La possibilità che l’acquirente non venga tratto in inganno non esclude la punibilità della condotta, poiché il pericolo per la fede pubblica si è già concretizzato.

Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di contraffazione: la lotta alla vendita di prodotti contraffatti è posta a presidio di un interesse collettivo, la fede pubblica, che trascende la protezione del singolo consumatore. La decisione conferma che la detenzione di merce falsa finalizzata alla vendita costituisce reato ai sensi dell’art. 474 c.p. anche quando il falso è palese. Questa interpretazione rafforza gli strumenti di contrasto a un fenomeno illegale che danneggia non solo i titolari dei marchi, ma l’affidabilità dell’intero mercato. Per gli operatori del settore e i consumatori, il messaggio è chiaro: la legge punisce la circolazione di prodotti falsi in sé, indipendentemente dalla sua capacità di ingannare il cliente finale.

Quando si commette il reato di vendita di prodotti contraffatti (art. 474 c.p.)?
Secondo la sentenza, il reato si integra con la detenzione finalizzata alla vendita di prodotti recanti un marchio contraffatto. Non è necessario che la vendita si concluda o che un acquirente venga effettivamente ingannato.

La vendita di una contraffazione palesemente falsa (‘grossolana’) è comunque un reato?
Sì. La Corte chiarisce che il reato sussiste anche se la contraffazione è ‘grossolana’, ovvero così evidente da non poter ingannare nessuno. Questo perché il bene giuridico tutelato è la fede pubblica (la fiducia nei marchi), e non il patrimonio del singolo acquirente.

In un processo per ricettazione di merce contraffatta, chi deve provare la provenienza lecita dei beni?
La sentenza afferma che, una volta che l’accusa ha provato la detenzione di merce di sospetta provenienza, spetta all’imputato, in base al principio di ‘vicinanza della prova’, allegare elementi concreti e oggettivi che dimostrino una spiegazione alternativa e lecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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