LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Procurata inosservanza di pena: la Cassazione decide

Un imprenditore, accusato di aver aiutato un latitante e di tentata estorsione con l’aggravante di aver favorito un’associazione mafiosa, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro l’ordinanza che confermava la misura degli arresti domiciliari. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, specificando che il reato di procurata inosservanza di pena è un reato di pericolo, che non richiede un effettivo ostacolo alle ricerche. Ha inoltre ribadito l’inammissibilità in sede di legittimità di censure che propongono una mera rilettura dei fatti e ha confermato la validità della presunzione di attualità delle esigenze cautelari per i reati con aggravante mafiosa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Procurata inosservanza di pena: la Cassazione conferma la linea dura

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11087 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un caso complesso che intreccia il reato di procurata inosservanza di pena con la tentata estorsione, entrambi aggravati dal fine di agevolare un’associazione mafiosa. La decisione offre importanti spunti di riflessione sulla natura di alcuni reati, sui limiti del giudizio di legittimità e sulla persistenza delle esigenze cautelari in contesti di criminalità organizzata.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ordinanza del Tribunale che confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un imprenditore. Le accuse a suo carico erano principalmente due:

1. Procurata inosservanza di pena (art. 390 c.p.): aver aiutato un latitante, esponente di un noto clan criminale, a sottrarsi all’esecuzione di una pena. L’aiuto sarebbe consistito nel mettere a disposizione un locale in costruzione come covo e nel fornirgli energia elettrica e sostegno economico. Il tutto con l’aggravante di aver agito per favorire l’associazione mafiosa.
2. Tentata estorsione (art. 56, 629 c.p.): aver tentato di costringere un altro imprenditore a pagare una tangente per garantirsi la ‘protezione’ del clan, anche in questo caso con l’aggravante mafiosa.

Il Tribunale del Riesame aveva rigettato l’istanza di revoca della misura, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza. L’indagato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.

Le censure del ricorrente e il ruolo della Cassazione

La difesa dell’imprenditore ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. In particolare, ha sostenuto che:
* L’immobile usato come covo non fosse nella sua disponibilità.
* Il supporto economico non fosse un contributo volontario al clan, ma il risultato di un’estorsione subita.
* La fornitura di energia elettrica fosse irrilevante, in quanto destinata ad alimentare solo un televisore.
* Il reato di procurata inosservanza di pena non fosse configurabile in assenza di un’effettiva alterazione delle ricerche del latitante.
* Le esigenze cautelari fossero venute meno, dato il tempo trascorso dai fatti.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili la maggior parte di questi motivi, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento: il giudizio di legittimità non è un ‘terzo grado’ di merito. La Suprema Corte non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice precedente. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non stabilire se una ricostruzione alternativa dei fatti sia più plausibile.

Le motivazioni sulla procurata inosservanza di pena

Il punto giuridicamente più rilevante della sentenza riguarda la natura del reato di procurata inosservanza di pena. La Corte ha chiarito che si tratta di un reato di pericolo a forma libera. Questo significa che per la sua configurazione è sufficiente qualsiasi condotta, attiva o omissiva, che sia idonea a fornire un aiuto al condannato per sottrarsi alla pena. Non è necessario dimostrare che le ricerche delle autorità siano state effettivamente ostacolate o rese più difficili. L’illecito si perfeziona con la semplice messa in atto di un comportamento potenzialmente utile alla latitanza, a prescindere dal risultato concreto.

Nel caso specifico, la presenza dell’indagato nei pressi del covo e il collegamento elettrico con la sua proprietà sono stati ritenuti elementi sufficienti a integrare tale condotta, rendendo irrilevante la difesa basata sulla scarsa utilità del bene fornito (il televisore).

Le motivazioni sulle esigenze cautelari e l’aggravante mafiosa

Un altro aspetto cruciale è la valutazione delle esigenze cautelari. La difesa lamentava una carenza di motivazione sull’attualità del pericolo di reiterazione del reato, visto il tempo trascorso. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, richiamando l’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per i delitti commessi con l’aggravante mafiosa.

Ciò significa che, in presenza di tale aggravante, si presume che il pericolo di reiterazione del reato sia concreto e attuale, salvo prova contraria. Il solo trascorrere del tempo non è sufficiente a vincere questa presunzione, specialmente se, come nel caso di specie, la gravità dei fatti e il coinvolgimento dell’indagato nelle attività di un sodalizio criminale sono stati adeguatamente valorizzati.

le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto la decisione del Tribunale del Riesame logicamente motivata e giuridicamente corretta. I motivi di ricorso sono stati giudicati inammissibili perché tendevano a una rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. La Corte ha confermato che il reato di procurata inosservanza di pena è un reato di pericolo, integrato da qualsiasi condotta idonea a favorire il latitante. Ha inoltre ribadito la piena operatività della presunzione di pericolosità sociale per i reati aggravati dal metodo mafioso, una presunzione che il mero decorso del tempo non è sufficiente a superare senza ulteriori elementi che indichino un effettivo allontanamento dal contesto criminale.

le conclusioni

La sentenza consolida due importanti principi giurisprudenziali. In primo luogo, definisce i contorni del reato di procurata inosservanza di pena, sottolineando come l’intento di aiutare un fuggitivo sia penalmente rilevante anche se l’aiuto fornito è minimo o se non si prova un concreto intralcio alla giustizia. In secondo luogo, riafferma la rigidità del sistema cautelare nei confronti dei reati connessi alla criminalità organizzata. La presunzione di attualità del pericolo di recidiva pone a carico dell’indagato un onere probatorio aggravato, richiedendo elementi concreti per dimostrare il venir meno della propria pericolosità sociale.

Cosa si intende per procurata inosservanza di pena?
Secondo la sentenza, si tratta di un ‘reato di pericolo a forma libera’. Ciò significa che qualsiasi condotta, anche omissiva, che sia idonea a fornire aiuto a un condannato per sottrarsi all’esecuzione della pena integra il reato, a prescindere dal fatto che le ricerche delle autorità vengano effettivamente ostacolate.

È possibile contestare la ricostruzione dei fatti davanti alla Corte di Cassazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove o di proporre una diversa valutazione dei fatti. Il ricorso è ammissibile solo se denuncia una violazione di legge o una manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, non per proporre una lettura alternativa degli elementi indiziari.

Il tempo trascorso dai fatti può far venir meno la necessità di una misura cautelare per reati con aggravante mafiosa?
Generalmente no. Per i reati aggravati dal metodo mafioso vige una presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari. La sentenza chiarisce che il solo decorso del tempo non è sufficiente a superare questa presunzione, se non accompagnato da elementi concreti che dimostrino un effettivo allontanamento del soggetto dal contesto criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati