Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24062 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nata a Padova il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 09-10-2023 del Tribunale di Padova; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 ottobre 2023, il Tribunale del Riesame di Padova rigettava l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME, terza interessata proprietaria dell’immobile sito in Padova da lei acquistato il 21 luglio 2022 e sequestrato, in quanto ritenuto confiscabile ai sensi degli art. 240 bis cod. pen. e 85 bis del d.P.R. n. 309 del 1990, nell’ambito del procedimento penale a carico della madre NOME e del marito NOME COGNOME, indagati entrambi dei reati di cui agli art. 73 comma 1 e 80 lett. b) del d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso l’ordinanza del Tribunale veneto, la COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, oggetto di doglianza è la valutazione sulla pertinenzialità tra la res sequestrata e la fattispecie per cui si procede, evidenziandosi che la ricorrente è completamente estranea ai fatti di causa, essendo ella titolare di un valido contratto di mutuo pari a 115.000 euro per l’acquisto dell’immobile sequestrato, di cui pagava mensilmente le rate, essendo altresì titolare di un contratto di lavoro a tempo determinato, non essendovi in ogni caso alcun legame, neanche occasionale, tra i fatti contestati agli indagati e l’immobile in questione.
Con il secondo motivo, la difesa censura la qualificazione della res appresa quale prezzo, prodotto o profitto del reato e quale strumento per aggravare o protrarre le conseguenze del reato, non essendosi considerato che l’immobile sottoposto a sequestro è stato acquistato integralmente con un finanziamento legittimamente ottenuto da parte della ricorrente, soggetto peraltro incensurato.
Con il terzo motivo, si contesta la valutazione circa la sussistenza delle esigenze di cautela di prevenzione speciale rispetto alla disponibilità del bene quale strumento per aggravare o protrarre le conseguenze del reato ex art. 321 cod. proc. pen., ribadendosi che l’immobile sequestrato non veniva utilizzato nel modo più assoluto per il compimento del reato di spaccio di stupefacenti, non essendo dunque ravvisabile alcuna probabilità del verificarsi di un danno futuro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile sotto un duplice aspetto.
In via preliminare, occorre rilevare che alla richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo non era allegata la necessaria procura speciale, il che vale a integrare un primo profilo di inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi sul punto richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 8361 del 10/01/2014, Rv. 259174 Sez. 5, n. 10972 del 11/01/2013), secondo cui è inammissibile l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo proposta dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale.
Invero, in ordine alle modalità di costituzione in giudizio dei terzi interessati, è stato più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 34684 del 14/09/2021, Rv. 282086 e Sez. 6, n. 11796 del 04/03/2010, Rv. 246485) che, per i soggetti portatori di interessi meramente civilistici, deve trovare applicazione la regola che l’art. 100 cod. proc. pen. prevede espressamente per la parte civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, ossia che tali soggetti possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale. La posizione processuale del terzo interessato è infatti nettamente distinta sotto il profilo difensivo da quella dell’indagato e dell’imputato che, in quanto assoggettati all’azione penale, possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege ed è titolare di un diritto di impugnazione nell’interesse del proprio assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, che è imposta solo per i casi di atti cd. “personalissimi”.
Non così per il terzo interessato, perché questi, al pari dei soggetti indicati dall’art. 100 cod. proc. pen., è portatore di interessi civilistici, per cui, oltre a non pote stare personalmente in giudizio, ha un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore, come del resto avviene nel processo civile ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ.
Né il difetto di procura speciale per il giudizio di riesame può essere superato dal fatto che, successivamente all’ordinanza impugnata, la ricorrente abbia rilasciato, il 17 ottobre 2023, procura speciale al proprio difensore in vista del giudizio di legittimità, dovendo la procura speciale sorreggere ogni singola fase di impugnazione, avendo questa Corte chiarito (Sez. 3, n. 29858 del 01/12/2017, dep. 2018, Rv. 27350) che, nel caso di difensore del terzo interessato non munito procura speciale, non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza.
Analogamente si è parimenti affermato (Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 271722) che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di riesame relativa a decreto di sequestro preventivo proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale, non essendo sufficiente la procura speciale rilasciata esplicitamente per il solo riesame, ciò a conferma della necessità che la procura speciale accompagni ogni singola fase.
Pur essendo già dirimente il rilievo del difetto di procura speciale per il giudizio di riesame, il Collegio ritiene di precisare che, anche nel merito, il ricorso si palesa inammissibile, atteso che l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, rispetto alla sequestrabilità dell’immobile di proprietà della ricorrente, risulta sorretto da argomentazioni non illogiche, avendo i giudici dell’impugnazione cautelare sottolineato come non si comprenda, a fronte di uno stato di sostanziale disoccupazione dell’intero nucleo familiare, come la NOME, moglie di NOME
NOME e figlia di NOME, entrambi indagati, abbia potuto corrispondere regolarmente le rate del mutuo e pagare l’eventuale ristrutturazione dell’immobile, che era stato acquistato il 21 luglio 2022 al prezzo di 117.000 euro, essendosi a ciò aggiunto che il contratto di lavoro documentato dalla difesa risale al 29 settembre 2023, per cui tale contratto non può essere invocato per le rate pregresse, i cui pagamenti sono stati evidentemente favoriti dai proventi dell’attività illecita dei familiari della ricorrente; in tal senso, l’impostazione del decisione impugnata si è posta in sintonia con il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, Rv. 283177), secondo cui, in tema di confisca ex art. 240 bis cod. pen. (e dunque anche di sequestro finalizzato alla confisca), la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale opera, oltre che in relazione ai beni del condannato (o dell’indagato), anche per quelli intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarit di tali soggetti e l’attività lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle ulteri circostanze del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell’intestazione.
2.1. A fronte di una motivazione scevra da profili di irrazionalità, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive, che invero si muovono nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo non deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, posto che, come costantemente affermato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608 e Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Ne consegue che il ricorso proposto nell’interesse della NOME deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto poi conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 06/03/2024