Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3775 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3775 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIBO VALENTIA il 28/03/1978
avverso l’ordinanza del 21/04/2023 del TRIBUNALE di BOLOGNA Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persone del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME che ha chiesto raccoglimento del ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bologna, con provvedimento del 21/04/2024, ha dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 210, 322-bis e 591 cod. proc. pen. l’appello proposto da COGNOME NOME e rigettato quello avanzato nell’interesse di NOME, confermando l’ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Bologna in data 15/03/2023, con la quale era stata respinta la richiesta di dissequestro dei beni riferibili alla NOME (quale terza estranea rispetto alla imputazione di cui al capo 4) elevata nei confronti del marito NOMECOGNOME sequestrati con provvedimento del Tribunale di Bologna del 17/10/2022 finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen.
NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Bologna del 21/04/2024 (per mero errore materiale indicato come provvedimento del 11/04/2023), a mezzo del proprio difensore, deducendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. GLYPH Violazione di norme processuali in relazione all’art. 321 cod.proc.pen. e artt. 81, 110, 512-bis cod. pen., 648-ter e 648-ter.1 cod.pen.; la difesa ha contestato la portata della motivazione resa dal Tribunale di Bologna, da ritenere apodittica, superficiale e nella sostanza apparente, avendo omesso di chiarire effettivamente il ruolo della ricorrente (precisando gli elementi dai quali desumere la vicinanza alla ‘ndrangheta) e quale il contributo causale sarebbe stato reso nei reati alla stessa contestati in concorso con il marito COGNOME NOME.
Il Tribunale, senza aver riscontrato alcun effettivo elemento a carico della ricorrente, si sarebbe limitato a recepire acriticamente la tesi accusatoria limitandosi a prendere atto della qualifica formale ricoperta dalla ricorrente, senza che tuttavia ricorresse alcuna effettiva prova della attività di amministratore di fatto svolta dal marito della ricorrente, della provenienza dei capitali per la gestione delle società RAGIONE_SOCIALE da riferire al marito della ricorrente. Nessuna prova o elemento indiziario emerge dalla motivazione quanto alla piena consapevolezza della stessa in ordine al concorso nella condotta di trasferimento fraudolento di valori, non apparendo a tal fine sufficiente il mero rapporto di coniugio.
La difesa ha, inoltre, sostenuto la assenza di motivazione quanto alle deduzioni difensive introdotte al fine di evidenziare una perfetta perequazione tra i redditi della famiglia COGNOME e il contesto indagato mediante allegazione di una tabella alternativa a quella proposta dalla Guardia di Finanza. Manca, secondo la prospettazione difensiva, anche qualunque considerazione in ordine alla pertinenzialità dei beni oggetto di sequestro e le condotte illecite provvisoriamente imputate.
2.2. GLYPH Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta violazione di norme processuali in relazione all’art. 275 e 321 cod. proc. pen. per violazione del principio di proporzionalità della misura cautelare; nella prospettazione difensiva poteva essere adottata una misura meno afflittiva, consentendo alla società di continuare ad operare; il Tribunale non si sarebbe confrontato con questi temi, la motivazione sul punto è del tutto carente.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto in difetto della necessaria procura speciale.
È principio costante affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, quello secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale (tra le molte Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, G.T. Auto s.r.I., Rv. 271722-01); il principio è certamente riferibile anche al caso in esame, attesa la richiamata posizione di terza interessata di NOME rispetto al provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. quanto alla posizione del COGNOME NOME, coniuge della stessa (in relazione al capo 4) della rubrica); posizione richiamata nell’ambito delle proprie difese, articolate al fine di contestare, proprio in relazione alla posizione di terzietà, la disposta confisca dì beni dei quali era da riconoscere asseritamente la provenienza lecita in assenza di qualsiasi coinvolgimento della COGNOME (sebbene sostenuta con argomentazioni in parte confuse e riferibili, nonostante lo specifico richiamo al provvedimento impugnato, a successive attività di indagine che hanno invece coinvolto la COGNOME
come indagata e destinataria di un diverso provvedimento di sequestro a fini impeditivi).
Dagli atti allegati al ricorso, consultabili in relazione alla natura del vizio riscontrato, emerge infatti che la ricorrente sopra indicata, in qualità di terza interessata rispetto al provvedimento di sequestro del 17/10/2022, ha nominato quale proprio difensore di fiducia e procuratore speciale l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOMEaffinché interpongano ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna (55/23 RIMC sequestri, sezione impugnazioni cautelari penali in data 21/04/2023 e depositata in data 29/07/2024), conferendo ad entrambi espresso e specifico mandato a rappresentarla e difenderla nel procedimento sopra indicato e in particolare senza derogare alla generalità del mandato e della procura conferita, con facoltà di nominare sostituti e ogni altra facoltà necessaria all’espletamento del mandato delegatogli in ogni stato e grado fino a completa conclusione, a depositare il presente atto di impugnazione” .
2.1. Mancano, dunque, da tale atto gli elementi tipici della procura speciale, rappresentando tale atto una mera nomina a difensore di fiducia dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME non muniti di procura speciale ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen., in assenza di qualsiasi specifico riferimento, tra l’altro, all’esercizio dei relativi diritti nell’ambito del giudizio per cassazione quanto alla posizione di terzi interessati.
In tal senso, occorre ricordare che, per i soggetti portatori di un interesse meramente civilistico, come è il caso della ricorrente nel presente procedimento, vale la regola prevista dall’art. 100 cod. proc. pen. secondo cui «stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale» analogamente a quanto previsto per il processo civile dall’art. 83 cod. proc. civ. (Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 260894-01; Sez.2, n.41243 del 21/11/2006, COGNOME, Rv. 235403-01; Sez. 3, n. 34684 del 14/09/2021, COGNOME, Rv. 282086-01; Sez. 5, n. 880 del 26/11/2020, COGNOME, Rv. 280403-01; Sez. 6 n. 13798 del 20/1/2011, COGNOME, Rv. 249873-01; Sez. 2 n. 27037 del 27/3/2012, COGNOME, Rv. 253404-01; Sez. 1 n. 10398 del 29/2/2012, COGNOME Rv. 252925-01, nonché Sez. 3 n. 23107 del 23/4/2013, Stan, Rv. 255445-01; Sez. 2 n. 31044 del 13/6/2013, COGNOME, Rv. 256839-01, che nello stesso senso hanno anche affermato che la possibilità di sanare il difetto di rappresentanza
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prevista dalla suddetta disposizione specificamente per la fase istruttoria del giudizio civile, non possa trovare applicazione nell’ambito del procedimento penale).
2.2. La formulazione linguistica dell’atto appena richiamato rende evidente come lo stesso si caratterizzi quale esclusivo conferimento di mandato difensivo e non come procura speciale al fine di esercitare nel giudizio penale le facoltà riferite al terzo interessato dal provvedimento di sequestro impugnato. In tal senso, si deve ritenere risolutiva la dizione richiamata che non si riferisce invece, con necessaria specificità, alla singola attività nell’interesse del terzo, portatore come nel caso in esame di interessi civilistici.
Come risulta dalla interpretazione del tenore letterale della norma, si tratta, in coerenza con il contenuto dell’atto, di una mera nomina di difensore di fiducia e non anche di una procura speciale al fine di tutelare il terzo interessato, la cui mancanza, essendo causa di inammissibilità dell’atto introduttivo, è rilevabile in questa sede di legittimità.
2.3. Comunque, anche a voler trascurare detto profilo, il ricorso risulta manifestamente infondato. In tal senso, occorre considerare come secondo il diritto vivente “il sindacato della Cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.: una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali”. (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789-01; Sez. 2, n. 45865 del 04/10/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272336-01; Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01).
2.4. Nel caso in esame l’appello proposto dalla ricorrente avverso il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. si caratterizzava già in origine per assoluta genericità, proprio in considerazione della posizione della NOME che in relazione a tale provvedimento deve essere considerata quale terza estranea in relazione alla imputazione elevata al coniuge
COGNOME NOME al capo 4). In tale veste la ricorrente avrebbe, dunque, dovuto evidenziare l’effettiva titolarità dei beni oggetto di sequestro, sostanzialmente chiarendo il rapporto di diretta relazione e vicinanza con tali compendi aziendali e beni sulla base di una serie di elementi obiettivi, che tuttavia erano stati già ampiamente considerati e disattesi dal Tribunale in sede di riesame (evidenziando la mancanza di capacità imprenditoriale della stessa e la assenza di professionalità specifica e la assenza dal luogo di lavoro, come ampiamente richiamata dalle dichiarazioni di testimoni e curatore, riportate in modo specifico anche nel provvedimento impugnato in questa sede). Nessun elemento di effettiva novità veniva allegato e provato ed anzi la difesa si è assestata, come emerge dalla motivazione oggi contestata, del tutto immune da illogicità o apparenza, nella considerazione di elementi sopravvenuti relativi all’iscrizione nel registro degli indagati della NOME per i reati di cui ai capi 4-quater e 4-quinquies commessi in concorso con il coniuge COGNOME NOME e in relazione ai quali veniva disposto un successivo sequestro a carico della stessa, come indagata e non come terza, a fini impeditivi ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
2.5. Anche in questa sede si deve rilevare come il ricorso sia stato proposto all’evidenza con motivo non consentito, oltre che generico nella sua articolazione. In tal senso, si deve rilevare come già la mera formulazione dei motivi di ricorso rende evidente come non sia stata proposta alcuna censura in tema di violazione di legge. La ricorrente ha, difatti, evocato, con entrambi i motivi proposti, esclusivamente la violazione di norme processuali, per poi richiamare complessivamente, ma senza alcuna specifica considerazione quanto alla ricorrenza di una violazione di legge, le disposizioni oggetto di contestazione provvisoria di cui ai capi 4-quater e 4-quinquies, senza mai evocare puntualmente la ricorrenza di elementi di novità, per come allegati davanti al Tribunale del riesame e disattesi in eventuale violazione di legge. Le argomentazioni spese rendono evidente come il primo motivo si risolva in una contestazione nel merito delle conclusioni raggiunte dal Tribunale ad esito del proposto appello, articolate in modo confuso ed aspecifico, sostenendo la mancanza ed omessa motivazione, a fronte di una argomentazione ampia ed approfondita del Tribunale, che ha ricostruito il contesto nell’ambito del quale maturava l’imposizione di due diversi sequestri, chiarendo la portata del primo provvedimento impositivo di misura reale finalizzata alla confisca ex art. 240-bis cod.
pen., richiamando il ruolo svolto dalla ricorrente e chiarendo, con motivazione del tutto immune da illogicità o apparenza, gli elementi posti a base del sequestro delle società e beni alla stessa riferibili quale amministratore, sebbene con ruolo meramente formale, in considerazione del ruolo di dominus di fatto svolto dal marito della stessa. È stata, dunque, riscontrata in considerazione delle imputazioni elevate ed alla natura del vincolo apposto a suo tempo, l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, PM c. COGNOME, Rv. 258279-01, Sez. 5, n. n. 3722 del 11/12/2019, COGNOME Rv. 278152-01), correlata all’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto ampiamente enucleati dal Tribunale, che prima in sede di riesame e poi in questa sede a seguito dell’appello proposto, ha svolto un concreto ruolo di garanzia, senza limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria, considerando adeguatamente le osservazioni critiche della difesa che tuttavia non aveva allegato, neanche formalmente, alcun elemento di novità, esaminando così in modo completo il tema della impugnazione devoluta rispetto alla ordinanza del Gip che aveva rigettato l’istanza di dissequestro dei beni oggetto del provvedimento 17/10/2022. Difatti, è stato evidenziato l’insieme degli elementi concreti che possono far ritenere verosimile la commissione del reato richiamato in sequestro, evidenziando perché allo stato degli atti l’ipotesi dell’accusa possa ritenersi sostenibile (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, COGNOME, Rv. 279927-01; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 26543301; Sez. 5, n. 49595 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261677-01; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 260945-01; Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, COGNOME, Rv. 260921-01), oltre alla irrilevanza delle allegazioni difensive, in assenza, è bene sottolinearlo, di alcun elemento di novità risolutivo rispetto alla posizione della Russo (non potendosi ritenere certamente tale un elemento successivo, con portata decisamente contraria alla estraneità della stessa rispetto alle attività imputate al marito, rappresentato dalla successiva iscrizione della stessa nel registro degli indagati in data 03/03/2023 per i reati di cui al n. 4-quater e 4-quinquies commessi in concorso con il coniuge COGNOME NOME).
2.6. Del tutto generico, astratto, e non correlato in alcun modo al provvedimento impugnato appare il secondo motivo di ricorso, come correttamente osservato dal Procuratore generale nelle proprie conclusioni. In tal senso, occorre considerare come il Tribunale abbia
analiticamente e specificamente considerato tutte le allegazioni difensive anche in ordine ai redditi familiari complessivamente riferibili alla ricorrente, enucleando in modo approfondito le ragioni per le quali, correttamente, era stata ritenuta la ricorrenza di una evidente sproporzione rispetto ai redditi dichiarati, sempre in assenza di qualsiasi allegazione inerente la sopravvenienza di elementi nuovi ed ulteriori al fine di giungere alla revoca del sequestro imposto e finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen., sicché la censura si deve ritenere non consentita non essendo stata effettivamente evidenziata la ricorrenza di una violazione di legge ma solo ed esclusivamente contestata la motivazione con proposizione di una tesi alternativa e, dunque, articolando una censura di fatto non ammissibile in questa sede.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/12/2024.