Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 45403 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 45403 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 01/05/1990
avverso la sentenza del 09/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 febbraio 2024, la Corte di appello di Bologna h confermato la sentenza pronunciata il 30 ottobre 2018 dal Tribunale della st città, con la quale Rateb Chouari è stato ritenuto responsabile del reato agli artt. 624, 625 n. 2 cod. pen. commesso il 4 gennaio 2015 in dann NOME COGNOME (proprietario del locale «RAGIONE_SOCIALE») che, per questo fatto, ha sporto rituale querela in data 5 gennaio 2015.
Ricorre contro la sentenza, nell’interesse dell’imputato, il dif d’ufficio deducendo tre motivi di ricorso che di seguito si riportano, nei strettamente necessari alla decisione, come previsto dall’art. 173, comm d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
2.1. Col primo motivo, il difensore deduce la violazione dell’art. 420 bis cod. proc. pen. (nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal d.l ottobre 2022 n. 150) e violazione dell’art. 178, lett. c) cod. proc. difensore rileva che si è proceduto in assenza dell’imputato ancorché egli fosse informato della celebrazione del processo di appello e sottolinea che, guardare, COGNOME non era mai stato informato neppure della celebrazione processo di primo grado.
Il difensore ricorrente è stato nominato d’ufficio, in data 6 ottobre perché il 15 settembre 2015 il difensore di fiducia – presso il quale C aveva eletto domicilio il 29 giugno 2015 – ha disnnesso il mandato. Il ricor osserva che tutte le notifiche sono state eseguite al domicilio eletto pr studio di un difensore che ha dísmesso il mandato e senza che il difen d’ufficio sia mai riuscito a contattare l’imputato instaurando con lui un r professionale, informandolo delle accuse formulate a suo carico e de celebrazione del processo di appello.
Il difensore non ha dedotto con l’atto di gravame il vizio che sar derivato dalla mancata conoscenza della celebrazione del processo di pri grado. Con l’atto di ricorso, tuttavia, rileva che un identico vizio si è ver grado di appello. Sostiene di aver segnalato ai giudici di secondo grado c notifica, pur regolare, non garantiva l’effettiva conoscenza dalla celebrazio processo di appello e osserva che la Corte non ha disposto rice dell’imputato, ma ha ritenuto di poter procedere in assenza ancorché il decre citazione al giudizio di appello fosse stato notificato nello studio di quel difensore domiciliatario che, già nel mese di settembre del 2015, aveva disme il mandato.
2.2. Il secondo motivo costituisce sviluppo del primo. Il difensore sostiene di essere legittimato a impugnare la sentenza di appello, unitamente all’ordinanza con la quale la Corte territoriale ha disposto procedersi in assenza, pur non essendo munito di apposito mandato ai sensi dell’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen. e rileva che, se questa norma dovesse essere ritenuta applicabile al caso di specie, si tratterebbe di una norma costituzionalmente illegittima. Osserva a tal fine che le ordinanze pronunciate in giudizio (e tra queste anche quella che dispone procedersi in assenza ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. pen.) devono essere impugnate insieme alla sentenza e se, in mancanza di uno specifico mandato, non fosse consentito al difensore di proporre impugnazione per sostenere che il processo si è svolto in assenza fuori dei casi consentiti dalla legge (e l’imputato non ne era informato), vi sarebbe evidente lesione dei principi del giusto processo e dei diritti di difesa sanciti dagli artt. 111 e 24 Cost.
2.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione dolendosi che la Corte di appello non abbia dichiarato l’estinzione del reato ex art. 157 cod. pen. Osserva a tal fine: che il giudice di primo grado ha riqualificato la recidiva contestata a Chouari come specifica e infraquinquennale, ma non reiterata. Sostiene, pertanto, che il termine di prescrizione sarebbe decorso dopo nove anni dal fatto e che, alla data del 9 febbraio 2024, quando è stata pronunciata la sentenza impugnata, il reato era ormai estinto ex art. 157 cod. pen.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. I-la rilevato in proposito che, attesa la regolarità delle notifiche eseguite presso il difensore di fiducia, sarebbe stata necessaria, ai fini dell’ammissibilità, una specifica procura ad impugnare da parte dell’imputato assente nel giudizio di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si deve premettere che, nel caso oggetto del presente ricorso, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, era già stata pronunciata una ordinanza con la quale si era disposto di procedere in assenza. Pertanto, ai sensi dell’art. 89 del citato decreto, devono essere applicate «le disposizioni del codice di procedura penale e delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale in materia di assenza anteriormente vigenti, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato». Tale puntualizzazione è necessaria perché, ogni volta che
nell’esposizione sarà citato un articolo del codice di rito, il rinvio deve essere inteso al testo di quell’articolo precedente alla riforma.
2. Il ricorso è ammissibile ancorché il difensore che lo ha proposto non fosse munito di specifico mandato. In tesi difensiva, infatti, l’imputato non è mai stato informato della celebrazione del processo, non poteva dunque conferire un mandato ad impugnare, e la disposizione di cui all’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen. presuppone che il processo in assenza si sia regolarmente celebrato. Questa Corte di legittimità, peraltro, si è già pronunciata in tal senso affermando che «il disposto di cui all’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non è applicabile al giudizio di cassazione, nel caso in cui formi oggetto del gravame l’ordinanza dichiarativa dell’assenza dell’imputato. (In motivazione, la Corte ha precisato che gli oneri di allegazione previsti, a pena d’inammissibilità, dalla norma non operano per l’impugnazione avverso le ordinanze, pur se impugnate unitamente alla sentenza, ex art. 586 cod. proc. pen.) (Sez. 1, n. 9426 del 18/01/2024, Oko, Rv. 285920).
3. Tanto premesso, si deve subito rilevare che il reato oggetto di imputazione non è estinto per prescrizione. Si tratta di una violazione degli artt. 624, 625 n. 2 cod. pen. aggravata ai sensi dell’art. 99, comma 3, cod. pen. (recidiva specifica ed infraquinquennale) che comporta un aumento della pena della metà. Pur diversamente qualificata, dunque, la recidiva ritenuta in sentenza è una circostanza ad effetto speciale.
Per giurisprudenza costante, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, la recidiva incide «sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma secondo, cod. pen., sia sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, comma secondo, cod. pen.» (Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, COGNOME, Rv. 274721; Sez. 4, n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272021; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490; Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 268224).
All’epoca dei fatti, la pena edittale prevista per il reato di cui agli art. 624, 625, comma 1, n. 2, cod. pen. era pari nel massimo ad anni sei di reclusione ed € 1.032 di multa. Nel caso di specie, il Tribunale non ha ritenuto di dover disapplicare la recidiva contestata, ma l’ha diversamente qualificata come specifica ed infraquinquennale (pag. 2 della motivazione).
Si versa, dunque, in un caso di concorso di circostanze ad effetto speciale disciplinato dall’art. 63, comma 4, cod. pen. Ne consegue che, per calcolare il
termine di prescrizione, si deve tenere conto della pena di anni sei di reclusione ed aumentarla nella misura massima di un terzo prevista per la seconda circostanza ad effetto speciale ai sensi del citato art. 63, comma 4.
Si deve ricordare infatti:
che «ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo alla pena massima edittale stabilita per il reato consumato o tentato, su cui va operato l’aumento massimo di pena previsto per le circostanze aggravanti ad effetto speciale» (Sez. 4, n. 101 del 11/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265578; Sez. 3, n. 3391 del 12/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262015);
che, «ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all’aumento di pena massimo previsto dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l’aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza più grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo» (Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Rv. 275986).
In altri termini: le due circostanze aggravanti ad effetto speciale, contestate e ritenute (l’art. 625, comma 1 n. 2, cod. pen. e l’art. 99, comma 3, cod. pen.), devono essere considerate entrambe ai fini della prescrizione, il cui calcolo deve essere effettuato applicando la norma generale di cui all’art. 63, comma 4, cod. pen. Si giunge così ad un termine di prescrizione ordinaria di anni otto (anni sei più un terzo) che, ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. pen. deve essere aumentato della metà per effetto degli atti interruttivi. Nel caso di specie, dunque, il termine massimo di prescrizione è di anni dodici e, tenuto conto della data del fatto (4 gennaio 2015), non è ancora decorso.
Deve essere esaminato adesso il primo motivo di ricorso col quale il difensore ha dedotto la violazione, in grado di appello, degli art. 420 bis e 178, lett. c), cod. proc. pen.
Dall’esame degli atti – necessario e possibile in ragione del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) – risulta che, in data 29 giugno 2019, Rateb Chouari, detenuto per altra causa presso la Casa circondariale di Bologna, fu informato di essere sottoposto ad indagini per il reato di cui agli «artt. 624 e 625 n. 2 cod. pen.» commesso «in Bologna il 14.01.2015)» nell’ambito del procedimento n. 2715/2015 r.g.n.r. (che aveva ad oggetto il reato per cui si procede, anche se commesso il 4 gennaio e non il 14 gennaio 2015).
In quella sede, COGNOME dichiarò di essere «residente in Ferrara INDIRIZZO, domiciliato in Bologna, INDIRIZZO; nominò quale legale di fi l’avv. NOME COGNOME del foro di Bologna; elesse domicilio per le notificazi presso lo studio del difensore di fiducia. Il 15 settembre 2015 l’avv. COGNOME dichiarò «ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 107 cod. proc. pen. di r al mandato a suo tempo conferitole». Il Pubblico Ministero procedente, pertant nominò un difensore d’ufficio in persona dell’odierno ricorrente, avv. NOME COGNOME.
Il decreto di citazione a giudizio di fronte al Tribunale monocratic Bologna, emesso dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen. notificato al difensore d’ufficio avv. COGNOME e all’imputato, al domicilio presso l’avv. COGNOME. All’udienza del 14 febbraio 2018, il giudice disp procedersi in assenza.
La sentenza del Tribunale è stata impugnata dal difensore d’ufficio p motivi di merito. Il difensore appellante non ne ha eccepito la nullit violazione dell’art. 420 bis cod. proc. pen. Non ha sostenuto, dunque, che la decisione dì procedere in assenza fosse stata adottata fuori dai casi consenti nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen., sono nullità a regime intermedio quando – come nel caso di specie – non hanno ad oggetto la citazione a giudi (che è cosa diversa dalla dichiarazione di assenza). Pertanto, sono soggette disciplina dell’art. 180 cod. proc. pen. e la nullità di cui si tratta, qu esistente, avrebbe dovuto essere dedotta con l’impugnazione della sentenza primo grado.
Il decreto di citazione in grado di appello è stato notificato all’impu 2 ottobre 2023 al domicilio eletto (presso lo studio dell’avv. COGNOME). pubblica udienza del 9 febbraio 2024, alla quale l’avv. COGNOME era prese questi si è limitato a precisare di essere difensore d’ufficio, ma non ha sol obiezioni quanto alla decisione di procedere in assenza.
Il difensore ricorrente sostiene di aver chiesto alla Corte di appel eseguire ricerche dell’imputato segnalando che la notifica, pur regolare, garantiva l’effettiva conoscenza della celebrazione del processo di appello, tale affermazione non trova riscontro nella lettura del verbale. Ne consegue la decisione di procedere in assenza non è stata contestata neppure nel giud di appello e, nell’adottare questa decisione, la Corte di appello ha reiterato già adottata in primo grado, fondata sulla constatazione che l’imputato av eletto domicilio presso un difensore nominato di fiducia il quale, pur av dismesso il mandato, non aveva sostenuto di averlo fatto per la mancanza contatti con Chouari, né aveva rifiutato la domiciliazione.
In sintesi: il difensore non ha sostenuto con l’atto di appello, che l’imputato non fosse a conoscenza della celebrazione del processo di primo grado e nel giudizio di secondo grado non ha chiesto al Collegio di non procedere in assenza, sicché i giudici di appello non avevano ragione di rivalutare la decisione adottata dal Tribunale e non avevano ragione di pensare che l’imputato non fosse informato della celebrazione del processo di appello.
Non rileva in contrario la sentenza delle Sezioni Unite n. 23948 del 28/11/2019, dep.2020, Ismail, Rv. 279420. Nel caso oggetto del presente ricorso, infatti, l’elezione di domicilio è avvenuta presso un difensore di fiducia che non ha rifiutato la domiciliazione, non ha mai sostenuto di non avere contatti con l’imputato e non risulta neppure averlo informato della dismissione.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 ottobre 2024