Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2512 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2512 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TRIESTE nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nata a TRIESTE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/04/2023 del TRIBUNALE di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per l’imputata, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata emessa il 7 aprile 2023 dal Tribunale di Trieste, che ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di furto di acqua aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esposizione alla pubblica fede per cui era stata tratta a giudizio NOME COGNOME.
Il proscioglimento è stato determinato dal mutato regime di procedibilità del reato così come contestato ex d.lgs. 150 del 2022 e dalla mancanza di querela della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza anzidetta ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste, che ha lamentato violazione degli artt. 625, n. 7) cod. pen. e 2, comma 1, lett. i), d.lgs 150 del 2022.
Spiega la parte pubblica ricorrente che l’imputata era stata tratta a giudizio per rispondere del furto di acqua, realizzato mediante la manomissione del contatore, ai danni della RAGIONE_SOCIALE, società italiana del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che fornisce, tra l’altro, anche servizi idrici ai cittadini.
Sostiene la parte che la declaratoria di improcedibilità sarebbe errata perché, a dispetto di quanto contestato nel capo di imputazione, l’acqua potabile sottratta costituisce una cosa destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità, con la conseguenza che il relativo furto è ancora procedibile di ufficio pur a seguito della novella del d.lgs 150 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il tema in diritto che il Procuratore generale ricorrente pone è quello della possibilità che la circostanza aggravante della destinazione del bene sottratto a pubblico servizio – che costituisce uno dei casi in cui opera la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7) cod. pen. – nel caso in cui riguardi l’acqua, possa considerarsi contestata in fatto solo con il riferimento al bene sottratto, senza la necessità di un’esplicitazione della destinazione di quest’ultima a pubblico servizio.
Questo argomento – che costituisce il nucleo centrale del ricorso – si collega strettamente ad altri due temi, uno dei quali si colloca a valle e l’altro a monte del primo.
2.1. Il tema a valle riguarda le conseguenze in materia di procedibilità che la questione di cui sopra pone, giacché, ove – nel caso di specie – si ritenesse contestata in fatto la circostanza aggravante della destinazione del bene trafugato a pubblico servizio, la decisione liberatoria del Tribunale di Trieste sarebbe errata, giacché il reato sarebbe ancora procedibile di ufficio, pur a fronte delle modifiche dovute alla cd. riforma Cartabia. Giova ricordare, a quest’ultimo proposito, che il reato di furto aggravato è oggi, nella maggior parte dei casi, perseguibile a querela di parte, stante la modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 all’art. 624, ultimo comma, cod. pen.,
che recita: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis)». Tuttavia, tra i casi contemplati nel n. 7) del primo comma dell’art. 625 cod. pen., quali evenienze in cui il reato è procedibile di ufficio, vi è, appunto, anche quella della destinazione del bene a pubblico servizio.
L’incidenza della riforma sulla presente regiudicanda è, dunque, indubbia: qualora non si ritenesse contestata la circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio (ma solo quella dell’esposizione alla pubblica fede, come recita il capo di imputazione), il reato effettivamente- come ritenuto dal Tribunale di Trieste non sarebbe più procedibile perché manca la querela. La novità normativa riguardante il regime di procedibilità, infatti, trova applicazione anche in ordine a fatti, come quelli sub iudice, commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs 150 cit. A questa conclusione può giungersi, pur in assenza di una disposizione transitoria ad hoc nella cd. riforma Cartabia, mutuando il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in occasione di altri interventi legislativi che hanno modificato, in una direzione o nell’altra, il regime di procedibilità dei reati. Si è, inf condivisibilmente sostenuto che, data la natura mista, sostanziale e processuale, della querela e la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, il rapporto tra leggi che modificano il regime di procedibilità di un reato deve essere governato dalla norma di cui all’art. 2, comma 4, cod. pen. Il principio è stato sancito da Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 241862 (a proposito del reato di cui all’art. 642 cod. pen.) secondo cui l’esistenza della condizione di procedibilità, in precedenza non richiesta, andava verificata dal Giudice anche in ordine ai reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica. Di segno analogo, ancorché in direzione inversa, è la giurisprudenza secondo cui, qualora il regime di procedibilità divenga più severo, la modifica normativa non può riguardare i reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della novella (Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999 sulla “nuova” irrevocabilità della querela in materia di stalking; Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, COGNOME, Rv. 209188 circa l’irretroattività della procedibilità di ufficio per i reati di violenza sessuale prevista dall’art. 609-septies cod.pen.). Tale orientamento è stato richiamato in Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273552-01, § 5. Calato il principio nell’odierna regiudicanda, se ne deduce che la novella del d.lgs. 150 del 2022, siccome disposizione di favore, trova applicazione anche con riferimento a reati commessi prima della sua entrata in vigore, come quello addebitato alla ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Assodato, quindi, che la decisione sul se ritenere contestata in fatto l’aggravante della destinazione a pubblico servizio ha un’indubbia incidenza sul regime di perseguibilità del reato sub iudice, occorre, ora, soffermarsi sul tema a monte, individuando i casi in cui una circostanza aggravante può dirsi contestata in fatto, non essendovi dubbio, nemmeno in capo al ricorrente, che la destinazione del bene sottratto a pubblico servizio non sia menzionata nell’editto accusatorio.
Da questo punto di vista, il caposaldo da cui muovere è la sentenza delle Sezioni Unite n. 24906 del 18/04/2019 depositata il 4/06/2019, ricorrente Sorge, in cui è stata data risposta al quesito “Se possa essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ai sensi dell’art. 476, comma 2, cod. pen., qualora la natura fide facente dell’atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione”.
La tematica – come precisato dalle Sezioni Unite – attiene alla possibilità di contestazione “in fatto” di una circostanza aggravante, tale dovendo intendersi una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi.
Ebbene, tale possibilità – generalmente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte – è stata tuttavia esclusa dalle Sezioni Unite per la circostanza aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen., ritenendo che sia necessario un percorso valutativo per giungere alla classificazione di un atto come di fede privilegiata che pregiudica inevitabilmente la precisione e la determinatezza dell’imputazione contestata, rendendola insufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato, a differenza di quelle circostanze fondate su fatti materiali, insuscettibili di interpretazioni valutazioni.
E’ così che le Sezioni Unite hanno rimarcato che la contestazione in fatto non da «luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell’imputazione fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibil l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato».
Queste ultime circostanze si distinguono da quelle «nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative», suscettibili di differenti valutazioni, il che «impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa».
2.3. Venendo alla natura della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio del bene trafugato, appare ulteriormente utile il richiamo a precedenti di questa Corte.
In linea generale, la natura fattuale della circostanza aggravante in parola è stata esclusa quanto ai fili destinati alla pubblica illuminazione di una città; Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, COGNOME, Rv. 281556 ha affermato che «non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma». In motivazione, il precedente evocato ha sostenuto che «la considerazione circa l’essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio implica necessariamente l’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione».
Più nello specifico, questa Corte, in tempi recentissimi, proprio sulla circostanza aggravante di cui si discute e quanto a un bene, l’energia elettrica, anch’esso contraddistinto da un’erogazione capillare attraverso reti di distribuzione – pronunziando su impugnative del Procuratore generale o del pubblico ministero – ha affrontato analogo argomento.
Concentrando l’attenzione sulle pronunzie emesse prime dell’odierna decisione, esse hanno concluso per la natura valutativa dell’aggravante in discorso e, quindi, per l’impossibilità di ritenerla contestata in fatto, respingendo, così, i ricorsi avverso sentenze di proscioglimento per improcedibilità data dalla mancanza di querela (Sez. 4, n. 46859 del 26.10.23; Sez. 4 n. 44166 del 3.10.23; Sez. 4 nn. 44165, 44164, 44163, 44162, 44161, 44160, 44159, 44158, 44157 del 3.10.23).
In senso contrario si registra una sola pronunzia (Sez. 4 n. 48529 del 7/11/23), le cui motivazioni sono state tuttavia depositate il 6/12/23, nelle more della redazione della motivazione della presente decisione.
Sempre successivamente alla decisione (il 7 dicembre 2023), la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
2.4. Tanto premesso, il Collegio ritiene che, nel caso specifico oggi al vaglio di questa Corte, possa essere seguito un percorso un po’ diverso da quello delle sentenze sopra menzionate, che non implica necessariamente la classificazione della circostanza aggravante come fattuale o valutativa. Se il pericolo da scongiurare, infatti, è quello di evitare una statuizione negativa a sorpresa da parte del Giudice di merito, rispetto alla quale l’imputato non sia stato posto in condizione di difendersi per la non immediata intellegibilità nel capo di imputazione, allora il caso che occupa ha una sua peculiarità, che conduce il Collegio a ritenere che occorresse una contestazione specifica e che, di conseguenza, il proscioglimento sia stato correttamente deliberato. Nel capo di imputazione formulato contro la COGNOME, infatti, era indicato non solo il riferimento normativo dell’aggravante (l’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen.), ma era specificamente riportata, nella parte del capo di imputazione dedicata alla descrizione del fatto alla base della contestazione dell’aggravante, che quest’ultima era costituita «dall’avere agito su beni (contatore) esposti alla pubblica fede». Nel caso di specie, dunque, la contestazione della circostanza aggravante di cui al n. 7) era specificamente collegata ad un caso diverso da quello della destinazione del bene a pubblico servizio, il che lasciava fondatamente ritenere che quella fosse l’unica ipotesi, tra quelle contemplate nel numero 7) dell’art. 625 cod. pen., che era stata oggetto di contestazione; donde esigere dall’imputato di evincere dal capo di imputazione anche un’ipotesi diversa e ulteriore rispetto a quella testualmente indicata significherebbe imporre addirittura alla difesa di intuire volontà recondite e non espresse dell’unico soggetto processuale cui è demandato il potere di definire i contorni della contestazione, vale a dire il pubblico ministero. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Conforta detta conclusione anche il precedente della Corte Costituzionale menzionato nella memoria della difesa della ricorrente (sentenza n. 230 del 2022), che ha stabilito che «una circostanza aggravante non contestata all’imputato, e pertanto non oggetto di contraddittorio tra accusa e difesa, deve essere considerata tamquam non esset per il giudice» e che la regola di sistema della necessaria correlazione tra accusa e sentenza ha una triplice funzione: essa «è, anzitutto, funzionale al corretto svolgersi del contraddittorio, e a garantire così la pienezza del diritto di difesa dell’imputato. In secondo luogo, essa tutela la stessa posizione del pubblico ministero, che l’ordinamento vigente – imperniato sul principio accusatorio – individua come esclusivo titolare dell’azione penale. Infine, la regola assicura la posizione di terzietà e imparzialità
del giudice rispetto alle opposte allegazioni delle parti: posizione che è pur essa inscindibilmente legata alla logica del principio accusatorio».
Per queste ragioni, il ricorso del Procuratore generale va respinto. P.Q.M.
Rigetta il ricorso del PG.
Così deciso l’1/12/2023.