Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34684 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34684 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sui ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANIA nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a PATERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 del TRIBUNALE di CATANIA
visti gli atti, I provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza dei 6.10.2023 il Tribunale di Catania ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine al reato a lei ascritto di cui ag artt. 624, 625 n. 2 cod, pen., rilevando che l’azione penale non dovesse essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania, deducendo, con l’unico motivo articolato, l’erronea applicazione degli articoli 516 e ss. cod. proc. pen. Evidenzi che, a differenza di quanto si assuma nel provvedimento impugnato, il reato per cui si procede deve ritenersi tuttora procedibile d’ufficio pure a fronte delle modifich introdotte dal cligs. n. 150/22 al regime di procedibilità dei delitti di furto, aven P.M. proceduto a tempestiva contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. in relazione al fatto che la condotta fu commessa su un bene come l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEa destinata al servizio pubblico, contestazione erroneamente ritenuta non ammissibile dal Tribunale.
Indi insta per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il ricorso è stato trattato – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla I. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi, con rinvio, la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
Il reato risulta procedibile d’uffìcio, sia perché poteva ritenersi, in realtà, contestata l’aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio o pubblica utilità, sia perché, in ogni caso, tale aggravante è stat tempestivamente contestata da parte del P.M.
2. A seguito della modifica dell’art. 624, comma 3, cod. pen., intervenuta per effetto dell’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal dicembre 2022, il delitto di furto anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen. (prima procedibile di ufficio) è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi: se la persona offesa è incapace, per età o per infermità; se ricorre taluna delle circostanze di cui all’art. 6 numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (il reato è, quindi, procedibile di ufficio anche quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza); se ricorr taluna delle circostanze di cui all’art. 625, numero 7-bis.
In relazione ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 ha stabilito che termine per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, primo comma, cod, pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
La novità normativa riguardante il regime di procedibilità trova, dunque, applicazione anche in ordine a fatti commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs. 150 cit., e quindi anche in relazione al reato oggetto de presente procedimento accertato in data 27.9.2021.
3.Venendo al caso in esame, fermo il petitum del ricorso, l’esame della causa petendi, enunciata nei motivi relativi alla piena efficacia della contestazione suppletiva volta a far mutare il regime di procedibilità, presuppone necessariamente la soluzione della questione ad essa preliminare e pregiudiziale vale a dire quella della sussistenza di una “contestazione” della aggravante già insita negli elementi fattuali descritti nel decreto di citazione a giudizio.
Sulla possibilità di ravvisare, nella specie, una contestazione in fatto, l giurisprudenza di legittimità si è divisa.
Sez. 4 n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 ha affermato che può ritenersi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., in quanto l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEa fornita, su cui ricade l condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (conf. tra le sentenze massimate Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285844).
In senso difforme si sono pronunciate, tra le massimate, Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, COGNOME, Rv. 285465; Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878, che hanno escluso la possibilità di ritenere contestata in fatto l’aggravante
in parola attraverso il mero riferimento all’oggetto del furto (RAGIONE_SOCIALE senza alcuna esplicitazione circa la destinazione a pubblico servizio.
Il collegio ritiene di ispirarsi ai principi enucleati dalla pronuncia delle Sez Unite COGNOME (n. 24906 del 18/04/2019).
4.1. Come si legge nella motivazione della citata sentenza COGNOME la contestazione delle circostanze aggravanti si muove su un piano concettualmente diverso da quella della c.d. “definizione giuridica” del fatto storico originariamen contestato. E ciò per quanto attiene sia alle vicende processuali (dall’esercizio dell’azione penale sino al giudicato) sia al rapporto tra potere del giudice e potere del pubblico ministero.
L’art. 417, comma 1, lett, b) cod. proc. pen. (con una disposizione che si trova replicata in tutte le norme relative all’atto dì esercizio dell’azione penale; v motivazione Sez. U COGNOME cit.) stabilisce che la richiesta di rinvio a giudizio contiene l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge.
Circa i successivi sviluppi dibattimentali, le modifiche dell’imputazione sono disciplinate dagli artt. 516 e ss, cod. proc. pen.: in particolare l’art. 516 si occ della diversità del fatto nella sua dimensione storica; l’art. 517 di nuovi re concorrenti o di nuove circostanze aggravanti; l’art. 518 di un nuovo reato che si aggiunge a quello contestato e a quest’ultimo non connesso ex art. 12, lett. b), cod, proc. pen.
L’art. 521 cod, proc. pen. (sotto la rubrica “correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza”) riconosce al giudice il potere di dare al fatto «una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione» (comma 1) e prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518, comma 2, cod. proc. pen.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, tale disposizione non abilita, invece, il giudice alla restituzione degli atti al pubblico ministero allorché dagli emerga la sussìstenza di una circostanza aggravante non contestata, poiché – per scelta del legislatore processuale (di là di quella che può essere la loro sistemazione concettuale all’interno del diritto sostanziale) – le circostanze sono trattate come elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità (Sez. 4 n. 44973 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282246; Sez. 1, n. 25882 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 263941; Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, COGNOME, Rv. 240896 – 01).
4.2. è bene rimarcare che, in prospettiva difensiva, la sussistenza o meno di circostanze aggravanti (e quindi la relativa contestazione) assume significativa valenza sotto plurimi profili (cfr. anche Corte Cost. n. 139 del 2015) che non sono limitati all’effetto diretto e tipico delle aggravanti, vale a dire l’aumento di pena.
Talune aggravanti (ad esempio quelle cd. ad effetto speciale), incidendo sulla entità della pena, indirettamente producono effetti sul computo dei termini di prescrizione, su quelli di durata delle misure cautelari, sul riparto di competenza.
Alcune aggravanti, come quella del furto qui in esame, determinano il regime di procedibilità (di ufficio o a querela di parte) del reato.
La sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (sentenza n. 24906 del 18/04/2019, cit.) ha accreditato quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità favorevole alla c.d. contestazione “in fatto” delle aggravanti.
4.3. I diritti difensivi e il potere di controllo del giudice sono stati rafforza d. Igs. n. 150 del 2022 che appronta una serie di tutele – ulteriori rispetto a quelle già previste dal codice di rito o introdotte per effetto degli interventi additivi Corte Costituzionale (sentenze n. 265 del 1994, n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, n. 139 del 2015, n. 206 del 2017, n. 146 del 2022) – lungo tutte le fasi del processo, allo scopo di garantire, per un verso, la costante verifica della corrispondenza tra imputazione, da un lato, e fatto e circostanze oggetto del processo, dall’altro e, per altro verso, la tutela dei diritti dell’imputa contraddittorio e alla difesa (cfr. art. 421, commi 1 e 1-bis cod. proc. pen., ch prevede espressamente che il giudice, dopo la verifica della regolare Cost, delle parti, possa invitare il P.M. a riformulare l’imputazione se riscontra una violazione dell’art. 417, comma 1, lett. b); art. 423, commi 1, 1-bis e 1-ter. per le modifich dell’imputazione in udienza preliminare; il nuovo art. 554-bis dedicato all’udienza di comparizione predibattimentale nei processi a citazione diretta e in particolare i commi 5 e 6 della norma appena citata; le modifiche introdotte nell’art. 519 in relazione ai “diritti” delle parti nei casi di contestazioni suppletive). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.1. La pronuncia chiarisce che per «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma dì legge, ma che riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto integranti l circostanza, così da permettere all’imputato di averne piena consapevolezza e di espletare adeguatamente la propria difesa.
Ad ulteriore precisazione, le Sezioni Unite aggiungono che «l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina
inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazi tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la p comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato».
Sempre secondo la sentenza COGNOME, «la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materi idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi element costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di dif dell’imputato».
Diversamente avviene «con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa inclu componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particola connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non s esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza d connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigers dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esi qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contesta trattandosi per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.2. L’insegnamento della pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME è, quindi, nel senso di ammettere la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, a condizione che, nel rispetto del diritto dì difesa, l’imputazione riporti in manie sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie.
Chiarezza e precisione della contestazione vanno raccordate, come detto, di volta in volta, alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, natura degli elementi costitutivi delle stesse: in presenza dì elementi valutativi, il grado dì determinatezza della contestazione va ragguagliato alla esplicitazione di essi.
Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è resa immediatamente comprensibile dal mero riferimento a dati materiali che si possono definire
“autoevidenti”, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod, pen.), quando l’imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal cap imputazione (Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013 – 02); il rapporto di parentela o dì coniugio quando l’imputazione lo specifichi (Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269615 – 01, cit.); la minore età della vittima quando l’imputazione indichi l’età della persona offesa o la sua data di nascita (Sez. 5 n 28668 del 09/06/2022, Rv. 283540 – 01).
Sul versante opposto vi sono dei casi, come quello della aggravante del falso commesso su atto fidefacente deciso dalle Sezioni Unite COGNOME, che involgono elementi valutativi talmente complessi da non lasciare spazio ad alternative e rendere ineludibile esporre la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 275436).
Ciò induce a precisare che la natura “autoevidente” dell’elemento aggravatore non può farsi discendere dal carattere più o meno incontroverso dell’inquadramento di esso da parte della giurisprudenza. Se così fosse – a parte la considerazione degli sviluppi a cui è sempre aperta la interpretazione giurisprudenziale- nella sentenza COGNOME non si sarebbe pervenuti a riconoscere la necessità di contestazione “ad hoc” in relazione ad una serie di casi riportabili alla aggravante dell’art. 476, comma 2, cod. pen., come quello del verbale redatto dalla Polizia giudiziaria, o della autentica del notaio, atti pacificamente inquadrati dalla giurisprudenza nel novero dì quelli fidefacenti.
Tra gli elementi “autoevidenti” e quelli implicanti valutazioni molto complesse si collocano le varie tipologie di circostanze che, come detto, richiedono una esplicitazione delle loro caratteristiche in termini adeguati.
Nella sentenza COGNOME si ricostruisce in modo articolato e non con una soluzione rigida la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica della autoevidenza: una volta riconosciuto che la circostanza aggravante è integrata da elementi che richiedono un apprezzamento giuridico/fattuale di natura complessa il cui esito è necessariamente “aperto”, per le Sezioni Unite è, sì, doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale; ma è anche consentito che il connotato giuridico in questione possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino espressamente. E che, perciò, risultano idonee a sostituire, con la medesima efficacia, la contestazione formale.
È questo lo snodo rilevante della sentenza COGNOME che offre indicazioni preziose circa i limiti da porre alla c.d. “contestazione in fatto” quando l’aggravante è di natur “valutativa”, ma, per questa ipotesi, non pretende di dettare un criterio inflessibi riguardante le modalità attraverso le quali possa perseguirsi l’intento di una contestazione chiara e precisa circa la natura effettiva del fatto aggravatore. In ta modo finisce per demandare la soluzione all’analisi del caso per caso: il che dà anche conto della ragione delle diverse sensibilità alla base del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare (così in motivazione testualmente Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME).
Invero, il ricorso alla perifrasi o al giro di parole con cui si significa un elemento si potrebbe definire con un unico termine – da ritenersi consentito per le aggravanti “valutative” – si distingue dalla “contestazione in fatto” – invece non consentita.
Il Collegio aderisce alla giurisprudenza secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destinato a pubblico servizio; con la precisazione, però, che essa possa ri contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, cit., i cui passaggi motivazionali vengono di seguito ripresi).
6.1. Nella fattispecie, il Pubblico ministero ha esercitato l’azione penale per un fatto così in origine descritto nel capo di imputazione: «del reato di cui agli artt, 624, 625, n. 2 cod. pen. perché, con violenza consistita nel manomettere il contatore, si impossessava al fine di trarne un ingiusto profitto di quantitativi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEa, sottraendoli all’RAGIONE_SOCIALE, alla cui rete collegava abusivament l’impianto di INDIRIZZO, di cui aveva la disponibilità. Co l’aggravante di avere commesso il fatto con violenza sulle cose».
6.2. La destinazione a pubblico servizio del bene-RAGIONE_SOCIALE, oggetto di furto, non è un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermata o negata, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, riguardante anche norme extra-penali. Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto ne caso concreto, tale da indurre il legislatore del 2022 a non estendere anche a tale ipotesi il novellato regime di procedibilità a querela di parte.
L’aggravante in questione mira a punire più severamente l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero intrinseca qualità, serve ad un uso di pubblico vantaggio.
La verifica circa la sussistenza della aggravante in parola passa inoltre per la nozione, più generale, di “destinazione a pubblico servizio” che non è data dalla
constatazione della fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773).
Tale indagine attinge anche il tema, a lungo dibattuto soprattutto nel passato, della natura della aggravante come “di danno” o “di pericolo” essendo richiesto da taluni, per la sua sussistenza, che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o almeno esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico. Il che non si realizzerebbe ne caso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEa che, malgrado la sottrazione, raggiunge sempre la propria normale destinazione, che è quella di essere consumata senza particolari limitazioni quantitative (v, per la soluzione affermativa a tale problematica: Sez. 2 n. 1176 del 20/06/1967, COGNOME, Rv. 105901 – 01; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, COGNOME, Rv. 104749 – 01; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, COGNOME, Rv. 104369 – 01; Sez. 2, n. 1663 del 25/11/1966 dep. 1967, COGNOME, Rv. 104717 – 01; Sez. 2, n. 521 del 25/03/1966, COGNOME, Rv. 102364; Sez. 2, n. 1393 del 15/10/1965, dep. 1966, COGNOME, Rv. 100071; nonché di recente Sez. 4, n. 48043, del 03/10/2023, COGNOME, n.m. e Sez. 5 n. 2912 del 7/12/2023, dep. 2024, Covato, n.m.; per la soluzione contraria, Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617 – 01; conf. Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266229 – 01; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 – 01).
Va infine considerato che la qualificazione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEa come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, stata il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari vol disciplinare positivamente tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico.
Lo stesso art. 625 n. 7 bis cod. pen. che conforma l’effetto aggravatore ivi previsto al fatto che il bene sottratto afferisca ad un servizio pubblico – tale qualificand espressamente quello di erogazione della RAGIONE_SOCIALE – assegna rilevanza decisiva alla condizione che debba trattarsi di servizio gestito da soggetto pubblico o privato in regime di concessione pubblica.
6.3. In conclusione, l’aggravante in questione è connotata da componenti di natura valutativa. Tuttavia, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche una tipologia di contestazione non formale che però deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa.
Tale scopo appare raggiunto quando – come nella specie e a differenza del caso deciso da Sez. 5, n, 3741 del 22/01/2024, COGNOME – nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di RAGIONE_SOCIALE posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; rete, per l’appu capace di dare luogo ad un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv 286291 – 01).
Discende che il Tribunale, a fronte di un capo di imputazione che presentava l’indicazione appena ricordata, ha fatto un uso errato della regola di giudizio posta dall’art. 129 cod. proc. pen., poiché, pur in presenza di contestata aggravante atta a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto decisivo il dato de mancanza di querela della persona offesa.
7.Va altresì rilevato che, in ogni caso, il Pubblico ministero, alla prima udienza utile, che nel caso di specie è da individuarsi in quella del 6.10.2023 – , constatat l’assenza della querela in atti – prima dell’apertura del dibattimento, ha contestato l’aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio o pubblica utilità.
Ciò nonostante, il Tribunale è addivenuto a declaratoria di improcedibilità per difetto della querela quale, sopravvenuta, condizione di procedibilità. Ha ritenuto in buona sostanza il Tribunale che la contestazione del P.M., pur ammissibile in linea di principio, non potesse spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inib dalla ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela, ad opera della persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023.
Sicché, non essendo stata ritenuta la circostanza aggravante di cui trattasi neppure contestata in fatto, la questione deve essere, per altro verso, analizzata sotto i profilo della ratio sottesa alle disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. cod. proc., pu col dovuto coordinamento di tali norme con l’art. 129 cod. proc. pen., che impone al giudice di pronunciare immediatamente il proscioglimento dell’imputato quando manca una condizione di procedibilità, e con l’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022, che ha posto una disciplina transitoria in ordine alla presentazione della querela per i reat per í quali la riforma Cartabia ha modificato il regime di procedibilità.
7.1. Il Collegio non condivide l’impostazione del Tribunale, ritenendo, nel solco già delineato da Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonarìo – oltre che da numerose altre pronunce di analogo tenore – che la questione debba essere risolta attraverso una lettura coordinata degli artt. 129 e 517 cod. proc. pen., che tenga conto anche delle particolarità – soprattutto in relazione all’esercizio dei poteri
Pubblico ministero – che sì sono venute a delineare a seguito della disciplina transitoria posta dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022.
L’analisi letterale e sistematica delle due norme del codice di rito appena richiamate restituisce la conformazione di un sistema che: sul versante dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati in via generale, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità «in ogni stato e grado del processo»; sul versante dell’art. 517 cod. proc. pen., riconosce, nel dibattimento – come anche nella udienza preliminare ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen. e nella udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis cod. proc. pen. – il potere/dovere del Pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nell’originaria imputazione, senza necessità di autorizzazione del giudice.
Lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispe del principio di corrispondenza fra “chiesto” e “pronunciato”.
Il nuovo art. 554-bis cod. proc. pen. – introdotto dalla Riforma Cartabia che ha recepito, estendendola, la regola fissata dalla sentenza delle Sezioni Unite Battistella (n. 5307 del 20/12/2007) – fornisce lo spunto per due ulteriori riflession Anzitutto il legislatore, ammettendo contestazioni suppletive in limine litís, ha assegnato forza normativa al principio dettato dalle Sezioni Unite Barbagallo (n. 4 del 28/10/1998), secondo cui la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal Pubblico ministero nel corso delle indagin preliminari. E l’art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen. prevede espressamente che giudice possa, sulla base degli atti trasmessigli ex art. 553 cod. proc. pen., rilevare la mancata corrispondenza tra imputazione e quanto emerge dagli atti medesimi, mentre l’art. 554-ter cod. proc. pen. prevede, a sua volta, che se in base agli atti trasmessi ex art. 553 sussiste – tra le altre – una causa per la quale l’azi penale non deve essere proseguita, il giudice la rileva e pronuncia sentenza dì non luogo a procedere.
L’esigenza della corrispondenza tra l’imputazione e il contenuto degli atti è tuttavia preliminare a ogni altra valutazione. Ed infatti, il nuovo art. 554-ter – che decli tra l’altro, la regola dell’immediata declaratoria di determinate cause di non punibìlità sulla base degli atti trasmessi – viene dopo l’art. 554-bis cod. proc. pe che a monte richiede la verifica della corrispondenza dell’imputazione a quegli atti.
Si sono in tal modo disegnate due scansioni processuali in rapporto logico e cronologico tra loro: quella della eventuale contestazione – attraverso cui si “aggiusta” l’imputazione, anche grazie all’intervento del giudice, in modo che l’accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali – che rimane comunque di competenza del P.M., e quella dell’eventuale immediata definizione del processo, di competenza del giudice. Rientrando l’aggiustamento della contestazione nell’orbita dell’accusa – costituendo la sollecitazione in tal senso da parte del giudice un mero atto, eventuale, di impulso – non si crea alcuno sconfinamento nella fase successiva della immediata declaratoria della causa di non punibilità, che inibisce al giudice di proseguire giudizio ovvero di adottare tutti quei provvedimenti funzionali ad un esito diverso da quello imposto dalla sussistenza della causa di non punibilità.
La regola posta dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., dal canto suo, è stata comunemente descritta, dalla giurisprudenza di legittimità, come quella che vale a stabilire un criterio di prevalenza delle formule proscioglitive in esso previst sostanziali o processuali – quando queste si presentino chiare – su qualsiasi attività processuale ulteriore, anche volta ad approfondimenti istruttori in favore dell’imputato.
7.2. La relazione sistematica fra l’art. 517 e l’art. 129 del codice di rito è st in particolare, analizzata dapprima da Sezioni Unite De Rosa (n. 12283 del 25/01/2005), e, successivamente, da Sezioni Unite Domingo (n. 49935 del 28/09/2023, Rv. 285517 – 01), che ha interpretato evolutivamente i precetti antecedentemente enunciati, valorizzando, tra gli altri, quelli della sentenza delle Sezioni Unite Perroni (n. 539 del 30/01/2020).
La prima sentenza – nell’affermare che non è consentito arrivare a una pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. attraverso il rito de plano ha chiarito che l’art. 129 non attribuisce al giudice un potere ulteriore e autonomo al di fuori di quello gi riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglítivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice): epilogo che dunque deve avvenire con le precisate cadenze e modalità procedimentalì e non in modo disancorato da queste.
Essa ha, inoltre, posto in rilievo che un’eventuale pronuncia estemporanea ed anticipata della causa di non punibilità inciderebbe negativamente sulla partecipazione al procedimento del Pubblico ministero, al quale verrebbe precluso l’esercizio delle facoltà tese a meglio definire e suffragare l’accusa, determinerebbe una violazione del diritto di difesa dell’imputato, al quale verrebbe interdetto l’esercizio di facoltà esperibili solo nell’ambito della fase o grado essere.
Il portato essenziale dell’art. 129 cod. proc. pen. è stato individuato nell’inibizi al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poter istruttori relativi al thema decidendum, con l’effetto che l’ambito della sua cognizione deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti – e ciò, in nome dell semplificazione dei processo e del favor rei -, ma non anche nell’inibizione dell’attività processuale, diversa da quella istruttoria, che deriva dal diritto d parti all’ascolto nel contraddittorio, avendo esse la potestà di dare “sfogo” all pretese proprie della fase processuale in essere.
Tra queste, viene espressamente richiamata – proprio – quella relativa all’esclusiva potestà del Pubblico ministero di modificare l’imputazione.
La pronuncia delle Sezioni Unite Domingo, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione (per prescrizione) del reato, ha accolto, espressamente, la suddetta sistematica ma l’ha anche “rivista” in un punto essenziale: ha costruito il rapporto fra la contestazione suppletiva e causa di estinzione precedentemente perfezionatasi in termini di prevalenza della seconda, che, per effetto della sentenza, acquisisce forza giuridica “ora per allora” con riferimento non al momento della sua dichiarazione formale ma a quello della sua maturazione.
Ne consegue che l’attività processuale eventualmente svolta dopo tale momento non produce effetti, rimanendo neutralizzata dall’espandersi degli effetti della causa esti ntiva .
La ratio di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile all’apprezzamento, del tutto condivisibile, dei principi costituzionali sottesi a prevalenza massima accordata alla causa di estinzione del reato per prescrizione (avente natura esclusivamente sostanziale, direttamente dipendente dal decorso di un tempo così lungo da far venire meno l’interesse punitivo dello Stato) e all’accentuazione del suo dover essere dichiarata con “immediatezza”.
7.3. Con particolare riferimento all’improcedibilità per difetto di querela, collegio, nel caso in esame, connotato da normativa processuale specifica e sopravvenuta, ritiene di percorrere una strada diversa per gli effetti distorsivi c deriverebbero dal riconoscimento della prevalenza massima accordata al venire meno della condizione dì procedibilità.
La strada prescelta è imposta non solo dalla diversità della natura giuridica della causa di non punibilità legata al difetto di querela rispetto a quella del prescrizione, ma soprattutto dalla particolarità delle coordinate fattuali ch connotano la vicenda oggetto del presente procedimento che ha visto concretizzarsi la possibilità dì procedere alla contestazione solo allorquando era oramai decorso il
termine per proporre la querela, ed è in ogni caso segnata dalla sopravvenienza di una nuova normativa in tema di procedibilità.
I temi in questione sono: quello dell’incidenza della peculiare regolamentazione derivante dalla cd. riforma Cartabia, che ha coinvolto, nel mutamento delle regole sulla nuova procedibilità a querela, con apposito regime transitorio, anche reati sub iudice originariamente contestati secondo il rito della procedibilità di ufficio; quell correlato, delle ricadute del principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezion Unite Domingo, ove applicato in modo automatico al caso processuale in esame; quello della possibilità o meno di una valutazione scissa delle plurime ipotesi di non punibilità all’interno dell’art. 129 cod. proc. pen.
Per tale ragione, la presente decisione, pur non ponendosi in linea col precedente rappresentato da Sez. 5, n. 3741 del 2024, COGNOME, Rv. 285878, non appare ancora tale da radicare un contrasto interpretativo vero e proprio, dal momento che si propone di rappresentare anche profili di analisi ulteriori e correlati alla peculiar del regime transitorio della riforma Cartabia in tema di nuova procedibilità a querela.
L’analisi della prima questione fa emergere la peculiarità della situazione venutasi a creare, in tema di furto aggravato, con la riforma Cartabia.
Il reato è passato dalla procedibilità di ufficio alla procedibilità a querela, sa l’ipotesi – per quanto qui di interesse – dell’art. 625, n. 7, cod. pen. (con ulte eccezione riferita all’aggravante della esposizione alla pubblica fede).
In relazione ai numerosi reati di tal genere, contestati con aggravanti ex art. 625 diverse da quella indicata e portati a giudizio secondo le regole della procedibilità d ufficio poi superata, la normativa in questione ha riconosciuto alla persona offesa il potere di riportare il reato sui “binari” della procedibilità, presentando querela ent il 30 marzo 2023 (tre mesi dall’entrata in vigore della riforma).
Va sottolineato che nessun accorgimento occorreva accordare all’organo di accusa al quale il sistema processuale già apprestava uno speculare e ordinario mezzo per il ripristino della procedibilità d’ufficio, attraverso lo strumento della contestazi suppletiva della circostanza aggravante utile (art. 517 cod. proc. pen.).
Tale strumento, però, non è risultato concretamente utilizzabile nei processi in cui, nel periodo di tempo fissato dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 (cioè, dall’entrata vigore della riforma al 30 marzo 2023), non è stata celebrata alcuna udienza (ovvero sia stata celebrata un’udienza non utile ai fini che occupano).
Ebbene, un’interpretazione che neghi gli effetti di tale legittimo atto propulsivo de Pubblico ministero, in ragione dell’operatività della causa di improcedibilità “ora pe allora”, nei casi in cui il Pubblico ministero – a causa della scansione che lo specific processo ha avuto nel tempo – non ha avuto alcuna possibilità di assumere
l’iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, si pone in contrasto, ad opinione di questo collegio, con l’art. 517 cod. proc. pen. e con i valor tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.
Al riguardo, va evidenziato che l’esercizio del potere di contestazione suppletiva dell’aggravante, come riconosciuto dall’art. 517 cod. proc. pen., non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l’elemento di fatto aggravatore sia emerso già prima dell’esercizio della azione penale.
Tale potere deve trovare uno spazio per il suo esercizio anche nei processi in cui, per effetto della novella e del suo regime transitorio, disegnato per l’iniziativa anch fuori udienza della persona offesa, l’eventuale inattività processuale nel periodo 30 dicembre 2022-30 marzo 2023 – per la mancata celebrazione di udienze in tale arco temporale per mancata fissazione o per impedimenti processuali – ha di fatto impedito al Pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio dell declaratoria di improcedibilità del reato.
Tale spazio deve essere recuperato consentendo al Pubblico ministero di esercitare, nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023, nel contraddittorio tra le parti, il potere di contestazione suppletiva.
Il riconoscimento della prevalenza massima al venire meno della condizione di procedibilità – rispetto alla quale si sono sopra indicati i dubbi e limiti emergenti sistema – anche nei casi in cui il concreto esercizio del potere di contestazione suppletiva sia dovuto esclusivamente all’inattività processuale durante il periodo indicato all’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022, infatti, porterebbe a un eccessivo ingiustificato sacrificio dei poteri del pubblico ministero e del principi obbligatorietà dell’azione penale.
Una lettura coordinata degli artt. 517 cod. proc. pen. e 85 d.lgs. n. 150 del 2022, che tenga conto del potere di contestazione suppletiva, come riconosciuto dal codice di rito, senza decadenze o limitazioni, induce a ritenere consentito l’esercizio di tale potere nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023.
L’apposizione dì condizioni al potere integrativo di cui all’art. 517 c.p.p., ne fattispecie in esame, apparirebbe, in altri termini, irragionevole.
In tal modo si perviene, invece, ad un’adeguata valorizzazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà della azione penale, come tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria al di fuori dell’ipotesi analizzata dalla sentenza dell Sezioni Unite Domingo, che non ha inteso prendere le distanze dalla sentenza delle Sezioni Unite De Rosa nel suo impianto generale.
7.4. Resta, infine, da esaminare la compatibilità dell’opzione interpretativa qui sostenuta con la struttura dell’art. 129 cod. proc. pen.: se, cioè, le diver
situazioni processuali evocate nell’articolo citato esigano un trattamento unitario oppure siano assoggettabili anche a valutazioni talvolta non omogenee.
Tale seconda opzione appare consentita, soprattutto quando è funzionale ad una lettura compatibile costituzionalmente con il fenomeno processuale in rilievo.
Al riguardo, va rilevato che una prima deroga al trattamento unitario delle diverse situazioni processuali evocate nell’art. 129 cod. proc. pen. si può cogliere nel secondo comma dello stesso articolo, dove la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione dì procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito.
Va, poi, menzionata la giurisprudenza a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24246 del 2004, Rv 227681, COGNOME) che, in tema di rapporto tra giudicato sostanziale (da ricorso inammissibile) e causa di estinzione del reato per remissione di querela, ha già dato prova di effettuare una distinzione rispetto alle altre cause di estinzione de reato elencate nell’art. 129 cod, proc. pen., in ragione della peculiare struttur processuale degli effetti della remissione, ritenendola, a differenza delle altre cause estintive, capace di prevalere sull’inammissibilità del ricorso.
Più in generale, va rilevato che la regola di cui all’art. 129 cod. proc. pen. non pu non declinarsi in relazione ai caratteri specifici e alla correlativa modalità operati delle cause di non punibilità di cui si occupa, che trovano, ciascuna, una propria e distinta regolamentazione sostanziale al di fuori del disposto normativo di cui all’art 129 del codice di rito che si limita a prevedere la loro rilevabilità di ufficio in stato e grado del procedimento.
Sotto tale profilo, è fin troppo evidente che l’estinzione del reato per prescrizion costituisce una vicenda irreversibile: il reato, in un determinato momento, si estingue definitivamente per effetto del decorso del termine previsto dalla legge.
La condizione di procedibilità, invece, subisce vicende alterne: quando il procedimento viene iniziato potrebbe anche mancare; può essere poi presentata querela a discrezione della persona offesa; infine, la querela può essere rimessa.
Ciò senza considerare che il procedimento inizia e prosegue nelle sue battute iniziali a prescindere da una contestazione formale del fatto-reato derivando la sua procedibilità – di ufficio – dalla stessa notitia criminis che palesa già di per sé una determinata fattispecie di reato connotata da determinate circostanze aggravanti.
Risulta evidente che, nel caso della condizione di procedibilità, non è consentito fare riferimento a un momento determinato in cui essa manca: questa all’inizio potrebbe mancare, ma non per questo si arriva a una sentenza di proscioglimento, “ora per allora”.
Nel caso dell’estinzione per prescrizione, invece, vi è un momento determinato in cui il reato si estingue e un’eventuale prosecuzione del processo potrebbe derivare esclusivamente dall’omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice. L’omissione di quest’ultimo, che, alla scadenza del termine di prescrizione, avrebbe dovuto pronunciare il proscioglimento, tuttavia, non può creare un pregiudizio all’imputato mediante il meccanismo della contestazione suppletiva che faccia rivivere il reato estinto.
Come evidenziato da Sezioni Unite Domingo «diversamente opinando, si rimetterebbe illogicamente alla diligenza del giudice di primo grado la sorte del processo, in presenza di identiche situazioni: un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al tempestivo rilievo (o meno) della causa di estinzione del reato da parte del giudice stesso …».
La situazione che si è determinata, a seguito della scadenza del termine fissato dall’art. 85, nei processi in cui non era stata fissata udienza tra l’entrata in vig della riforma e il 30 marzo 2023 è ben diversa: non vi è stata alcuna omissione da parte del giudice e tantomeno del Pubblico ministero, che si è trovato nell’impossibilità di esercitare il suo potere di contestazione suppletiva.
Seguendo l’interpretazione qui sostenuta, la sorte del processo non finisce per dipendere dalla diligenza del giudice o del pubblico ministero e l’imputato non riceve alcun pregiudizio per condotte omissive del giudice o della parte pubblica, ma si deve solo confrontare con un regime transitorio della nuova disciplina della procedibilità, come determinato dalla lettura coordinata degli art. 85 e 517 cod. proc. pen.
Non aderendo all’interpretazione di questo collegio, invece, si rimetterebbe, illogicamente, la sorte dei processi al calendario delle udienze e, in presenza di identiche situazioni, un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al fatto che sia stata o meno fissata udienza nel periodo tra l’entrata in vigore della riforma Cartabia e il 30 marzo 2023.
Questo collegio, in definitiva, ritiene che: il Pubblico ministero può validament effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile dì ufficio, avendone il potere e l’occasione (la prima udienza dopo il 30 marzo 2023); con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo processuale al prosíeguo dell’azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell’ipotesi dì estinzione del reato, non s
in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere.
Il complesso del rapporto così ricostruito fra contestazione suppletiva e mancanza della condizione di procedibilità porta a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica ed operativa alla contestazione suppletiva effettuata in udienza dal Pubblico ministero, quantomeno in relazione alle coordinate temporali sopra evidenziate e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema.
Nel caso in esame, il Pubblico ministero, alla prima udienza utile, prima dell’apertura del dibattimento, ha contestato l’aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio.
Per le ragioni esposte, la contestazione suppletiva ha reso il reato procedibile di ufficio e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per la celebrazione del giudizio.
Il rinvio va disposto nei confronti del Tribunale di Catania, in diversa persona fisica, e non della Corte di appello, pur versandosi in caso di ricorso per saltum; ed invero, il Tribunale, ritenendo tardiva la contestazione non ha neppure disposto, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 520 del codice di rito, la notificazione della modifica dell’imputazione all’imputato assente; circostanza questa che ha determinato la nullità degli atti, e che comporta, ora, che il giudizio deve essere rinnovato dinanzi al Tribunale, ai sensi della prima parte del quarto comma dell’ art. 569 cod. proc. pen., dovendo esso riprendere dal momento in cui si è verificata la nullità, che deve essere quindi eliminata.
Gli atti devono ritornare al Tribunale di Catania poiché si versa, a monte, in ipotesi di nullità e in tal caso, per l’obbligo del rispetto dei gradi di giurisdizion giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado (trattandosi, nello specifico caso di specie, di consentire all’imputato l’esplicazio di tutti í suoi diritti nella sede sua propria). In tale contesto, non può che applicazione dell’indirizzo interpretativo espresso da questa Corte, che in fattispecie analoghe a quella in esame, ha affermato che «va disposto il rinvio al giudice di primo grado in caso d’accoglimento di ricorso immediato per cessazione avverso sentenza affetta da vizio che ne avrebbe comportato, in sede d’appello, l’annullamento» (cfr. tra tante, Sez. 2, n. 21692 del 05/04/2019, Rv. 275820 – 01; Sez. 1, n. 24687 del 22/05/2008, Neuton, Rv. 240907).
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale Catania, in diversa persona fisica.
Così deciso il 26/6/2024.