Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13616 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13616 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VASTO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a TERMOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di L’Aquila confermava la sentenza con cui il tribunale di Vasto, in data 23,3.202, aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME, ciascuno alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati loro rispettivamente in rubrica ascritti, tutti furti e furti in abitazione aggravati in concorso, ad eccezione del reato ex artt. 110, 707, c.p., ascritto al solo COGNOME al capo n. 5) dell’imputazione.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hnnoa proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con autonomi atti di impugnazione.
2.1. In particolare il COGNOME, nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, lamenta: 1) violazione di legge, con riferimento ai reati di cui ai capi n. 13) e n. 14) dell’imputazione, non più perseguibili d’ufficio in conseguenza della cd. “riforma Cartabia”, per difetto di querela; 2) violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., laddove si sostiene che la somiglianza dei capi di abbigliamento indossati dal COGNOME e da COGNOME l’11 dicembre del 2019, rispetto a quelli indossati il giorno dei furti, sia elemento da cui desumere la riconducibilità delle condotte illecite ai predetti; 3) violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., per omessa motivazione in relazione al diniego circa il riconoscimento della causa di non punibilità, di cui all’art. 131 bis, c.p.; 4) violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., per illogicità della motivazione, in punto di omessa riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 635, c.p.; 5) violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., per omessa motivazione in ordine alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale.
2.2. Nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, NOME deduce: 1) violazione di legge con riferimento ai reati ascritti all’imputato, non più perseguibili d’ufficio in conseguenza della cd. “riforma Cartabia”, per difetto di querela; 2) violazione di legge per mancato riconoscimento della totale incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell’art. 88, c.p.; 3) violazione di legge, in ordine al disposto
dell’art. 42, c.p., sotto il profilo del mancato accertamento della sussistenza ovvero della configurabilità del dolo in persona affetta da seminfermità mentale; 4) violazione di legge in punto di dosimetria della pena; 5) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle ritenute circostanze aggravanti; 6) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di inadeguata valutazione delle risultanze processuali da parte della corte territoriale.
Con requisitoria scritta del 9.11.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dottAVV_NOTAIO chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio nei confronti del COGNOME, in relazione ai reati di cui ai capi n. 12) e n. 13), per difetto della condizione di procedibilità; con rinvio, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti di COGNOME NOME, difettando la condizione di procedibilità in ordine ai reati di cui ai capi n. 8) e n. 9), dovendosi, nel resto, dichiarare inammissibile il ricorso del COGNOME.
Con conclusioni scritte del 21.11.2023, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore del COGNOME, insiste per l’accoglimento del ricorso, aderendo, in subordine, alle conclusioni del pubblico ministero.
I ricorsi vanno accolti nei seguenti termini.
Il ricorso proposto nell’interesse del COGNOME, va integralmente accolto essendo fondato il primo motivo di impugnazione, in esso assorbita ogni ulteriore doglianza.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento costante la mancanza di una condizione di procedibilità – nella specie, la querela – osta a qualsiasi altra indagine in fatto, imponendo al giudice di dichiarare immediatamente e preliminarmente l’improcedibilità (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 45160 del 22/10/2015, Rv. 265098).
In questa prospettiva si è opportunamente evidenziato come, in tema di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 129, c.p.p., la questione attinente alla procedibilità dell’azione penale è rilevabile d’ufficio in ogni
stato e grado del procedimento e, quindi, può essere dedotta per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, a eccezione del caso in cui, eccepita la tardività della querela, il “dies a quo” non debba essere determinato con un giudizio di fatto che è precluso al giudice di legittimità. (cfr. Sez. 5, n. 23689 del 06/05/2021, Rv. 281318, nonché Sez. 3, n. 24146 del 14/03/2019, Rv. 275981).
Legittima, dunque, deve considerarsi la proposizione da parte del ricorrente della questione sulla querela, che appare anche fondata.
Al riguardo si osserva che il delitto di furto, aggravato dalle circostanze di cui all’art. 625, co. 1, n. 2) e n. 7), c.p., per essere stato commesso il fatto con violenza e su beni espositi per destinazione alla pubblica fede, originariamente perseguibile d’ufficio, attualmente, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 624, co. 3, c.p., aggiunto dall’art. 2, co. 1, lett. i), d.lgs. 10.10.2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex. art. 6, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, risulta perseguibile a querela di parte, rimanendo inalterata la perseguibilità d’ufficio solo “se la persona è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’art. 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis”, circostanze, non configurabili nel caso che ci occupa, in quanto COGNOME sono stati ascritti i furti in concorso di cui ai capi n. 13) e n. 14) dell’imputazione, contestati come commessi con le circostanze aggravanti della violenza e su cose esposte a pubblica fede.
Si pone, dunque, il problema dell’individuazione della disciplina da applicare nel caso, come quello in esame, di successioni di leggi nel tempo in punto di condizione di procedibilità.
Orbene, secondo il consolidato principio di diritto affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, il problema dell’applicabilità dell’art.2, c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al
fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto (cfr. Sez. Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Rv. 209188).
Principio ribadito e approfondito da successive pronunzie, in cui si è evidenziato come a seguito della modifica del regime di procedibilità per delitti originariamente perseguibili d’ufficio, divenuti, sulla base di una sopravvenuta modifica normativa, perseguibili a querela, nei procedimenti in corso l’intervenuta remissione della querela comporta l’obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell’art. 129, c.p.p., ove non ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale (cfr. Sez. 2, n. 225 del 08/11/2018, Rv. 274734; Sez. 2, n. 21700 del 17/04/2019, Rv. 276651).
Nei sensi ora indicati si è espressa la giurisprudenza di legittimità successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina, affermando, in conformità al principio secondo cui l’applicazione della norma sopravvenuta più favorevole al reo opera anche con riguardo al regime di procedibilità, che, a seguito delle modifiche dell’art. 649-bis, c.p., introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la remissione di querela in relazione al reato di appropriazione indebita aggravato dalla recidiva reiterata comporta l’obbligo di dichiarare la non procedibilità ex art. 129, c.p.p., ove non sussistano altre circostanze aggravanti a effetto speciale (cfr. Sez. 2, n. 12179 del 25/01/2023, Rv. 284825).
Unico limite alla possibilità di proporre in sede di legittimità, con riferimento ai procedimenti in corso, la questione sul difetto della condizione di procedibilità ora richiesta dall’intervento riformatore va individuato nell’inammissibilità originaria del ricorso.
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte, in una serie di condividibili arresti ha affermato il principio alla luce del quale, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, l’improcedibilità per mancanza di querela, necessaria per reati divenuti procedibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non prevale
sull’inammissibilità del ricorso, poiché, diversamente dall’ipotesi di “abolitio crinninis”, non è idonea a incidere sul cd. giudicato sostanziale (cfr. Sez. 5, n. 5223 del 17/01/2023, Rv. 284176; Sez. 4, n. 2658 del 11/01/2023, Rv. 284155). Tale principio, tuttavia, non si applica al caso in esame, non potendosi ritenere il ricorso del COGNOME radicalmente inammissibile, posto che, da un lato, esso risulta tempestivamente proposto; dall’altro, non possono ritenersi manifestamente infondati i motivi volti a contestare l’affermazione di responsabilità pronunciata nei suoi confronti.
Trova, pertanto, applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa sezione in un condivisibile arresto, secondo cui in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la previsione della procedibilità a querela comporta che, stante la natura mista, sostanziale e processuale, della querela, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, il giudice, in forza dell’art. 2, comma quarto, c.p., deve accertare l’esistenza della stessa anche per i reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica (cfr. Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, Rv. 284749).
Ciò posto non può non rilevarsi la completa assenza in atti (accessibili in questa sede, essendo stato dedotto un error in procedendo) di valida querela proposta dalle persone offesa (COGNOME NOME NOME COGNOME NOME), che pure avrebbe potuto essere proposta nel termine previsto dall’art. 85, comma 1 d.lgs., 10.10.2022, n. 152, risultando, inoltre, del pari mancanti comportamenti processuali della suddetta persona offesa dai quali poter desumere una manifestazione di volontà punitiva, come l’avvenuta costituzione di parte civile o la riserva di costituirsi parte civile (cfr. Sez. 3, n. 19971 del 09/01/2023, Rv. 284616).
Sulla base delle svolte considerazioni, difettando la necessaria condizione di procedibilità, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere i reati in precedenza indicati improcedibile per mancanza di querela (cfr. Sez. 5, n. 22658 del 10/05/2023, Rv. 284698).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è, invece, solo parzialmente fondato.
6.1. Invero, non è revocabile in dubbio, per le ragioni già espresse analizzando la posizione del COGNOME, alla cui lettura sul punto si rimanda, che la sentenza impugnata vada annullata senza rinvio nei confronti del COGNOME, con riferimento ai reati ascrittigli ai capi n. 8) e n. 9) dell’imputazione, divenuti improcedibili per mancanza di querela
Anche in questi casi, infatti, si tratta di furti ex artt. 110, 624, 61, n. 5), c.p. (capo 8) e 110, 624, 625, n. 2), 61, n. 5) e n. 7), c.p., originariamente perseguibili d’ufficio, ma attualmente perseguibili a querela, in conseguenza della cd. “riforma Cartabia”, che, tuttavia, non risulta presentata dalle persone offese COGNOME NOME e COGNOME NOME, né si tratta di motivo di ricorso inammissibile, posto che esso risulta non solo tempestivamente proposto ma anche fondato nel ricondurre la condotta del COGNOME a fattispecie di reato oggi divenute perseguibili a querela.
6.2. Con riferimento agli altri reati perseguibili d’ufficio, gli articolati motivi di ricorso appaiono inammissibili sotto diversi profili.
Il secondo e il terzo motivo di impugnazione, in particolare, sono manifestamente infondati e meramente reiterativi di doglianze già puntualmente esaminate dal giudice di appello con la cui motivazione al riguardo il ricorrente non si confronta, dovendosi, pertanto, tali motivi, considerare non specifici, ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
Al riguardo la corte territoriale ha evidenziato, con logico argomentare, come “dalla perizia in atti non emerge affatto che l’imputato non si rendesse conto dell’azione criminosa che perpetrava”, essendo “emerso che lo steso soffriva di disturbo della personalità borderline con scarso mancato controllo degli impulsi e abuso cronico di eroina, cocaina e alcool, ma non che tale stato comportasse una totale incapacità di intendere e di volere” (cfr. p. 6).
Allo stesso tempo, il giudice di appello, al fine di escludere la contestata impossibilità di configurare in capo al prevenuto il dolo, ha sottolineato, sempre sulla base dei risultati cui è pervenuto il perito, dottAVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO, che “lo stato mentale dell’imputato non impediva pur sempre di rendere conto delle azioni che poneva in essere, ed infine di avere consapevolezza, coscienza e volontà di porre in essere azioni, che data le loro modalità, caratteristiche e ripetitività in plurime occasioni non potevano che palesarsi che come condotte costituenti reato” (cfr. p. 7).
Orbene tale ultima argomentazione risulta non solo dotata di intrinseca coerenza logica, ma anche conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda, con la conseguenza che il dolo generico è compatibile con il vizio parziale di mente (cfr. Sez. 6, n. 4292 del 13/05/2014, Rv. 2152151; Sez. 1, n. 17496 del 29/11/2022 Rv. 284502; Sez. 6, n. 47379 del 13/10/2011, Rv. 251183).
Vizio parziale di mente, che, occorre evidenziare, è stato riconosciuto in favore del ricorrente dal giudice di primo grado, con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate circostanze aggravanti e recidiva, laddove la pretesa del COGNOME di vedere riconosciuto il vizio totale di mente, si fonda su di una lettura alternativa del contenuto della perizia della dott.ssa COGNOME, peraltro resa nell’ambito di un diverso procedimento penale sorto a carico del medesimo imputato, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, in quanto versati in fatto.
Anche con il quarto e quinto motivo di impugnazione, il ricorrente svolge rilievi inammissibili, in quanto tendenti a sollecitare una nuova valutazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, non consentita in questa sede, senza tacere che l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento ai reati di cui ai capi n. 8) e n. 9),
comporta necessariamente una modificazione in melius del trattamento sanzionatorio, dovendosi eliminare la relativa pena, pari complessivamente a mesi uno di reclusione ed euro cento di multa, e trovando, nel resto, adeguata giustificazione la dosimetria della pena, nei parametri ex art. 133, c.p., indicati dalla corte di appello, delle modalità della condotta tenuta, del numero rilevante di episodi criminosi, della personalità dell’imputato e dei suoi precedenti penali (cfr. p. 7).
Identiche considerazioni valgono per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Invero nel prendere in considerazione la gravità del fatti e l’esistenza a carico dell’imputato di precedenti penali, al fine di ritenere equa la pena inflitta, evidenziando, nel contempo, l’assenza cli elementi da valutare positivamente in suo favore, la corte territoriale ha implicitamente riconosciuto che tali elementi siano da ostacolo al riconoscimento in favore del reo delle circostanze attenuanti generiche, facendo, pertanto, corretto uso dei criteri fissati dall’art. 133, c.p., conformemente all’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172; sulla motivazione implicita della sentenza di appello cfr. Cass., sez. II, 12/02/2009, n. 8619).
Inammissibile, infine, risulta anche il sesto motivo di ricorso.
Il ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri dì ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non
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deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal menzionato ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurímis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica (cfr. pp. 4-6).
La non completa soccombenza del ricorrente, implica che il NOME non sia condannato al pagamento né delle spese processuali, né di una sanzione amministrativa in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME per essere i reati, allo stesso ascritti, improcedibili per mancanza di querela. Annulla senza rinvio la stessa sentenza nei confronti di COGNOME NOME limitatamente ai reati di cui ai capi 8) e 9) in quanto improcedibili per mancanza di querela ed elimina la relativa pena di mesi
uno di reclusione ed euro 100,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME.
Così deciso in Roma il 6.12.2023.