Privata Dimora: Anche lo Spogliatoio sul Lavoro è Tutelato
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10335/2024, torna a pronunciarsi su un tema di grande interesse pratico: la nozione di privata dimora e la sua estensione ai luoghi di lavoro. La decisione chiarisce che anche uno spogliatoio aziendale, se riservato ai dipendenti, gode della stessa tutela giuridica di un’abitazione, con importanti conseguenze in materia penale. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne la portata.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due persone condannate nei gradi di merito per reati contro il patrimonio e la persona. Gli imputati, attraverso i loro difensori, avevano sollevato diverse questioni dinanzi alla Suprema Corte. Tra queste, spiccavano le doglianze relative alla responsabilità di entrambi nel reato (responsabilità concorsuale), alla prevedibilità della violenza utilizzata e, soprattutto, alla qualificazione giuridica del luogo in cui era avvenuto il fatto: uno spogliatoio aziendale.
L’estensione della nozione di privata dimora
Il punto centrale e più innovativo della decisione riguarda la conferma che uno spogliatoio riservato ai dipendenti rientra a pieno titolo nel concetto di privata dimora. La Corte ha rigettato i motivi di ricorso su questo punto, definendoli manifestamente infondati.
Citando un proprio precedente (sentenza n. 37795 del 2021), la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la nozione di privata dimora non si limita alla casa di abitazione, ma si estende a tutti quei luoghi in cui l’individuo compie atti della vita privata in modo riservato, precludendo l’accesso a terzi. Uno spogliatoio aziendale, essendo un luogo destinato a un uso esclusivo dei lavoratori per cambiarsi e depositare effetti personali, soddisfa pienamente questi requisiti.
La Responsabilità Concorsuale e la Reiterazione dei Motivi
La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, giudicandoli meramente reiterativi di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. In particolare, i giudici di legittimità hanno sottolineato come la Corte territoriale avesse già adeguatamente motivato sulla responsabilità di uno dei due imputati, evidenziandone il ruolo di “copertura” nell’esecuzione del reato. Allo stesso modo, sono state respinte le censure sulla sussistenza dell’intento criminale (dolo di concorso) e sul bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti, in quanto le motivazioni della sentenza impugnata erano complete e logicamente coerenti, anche alla luce dei precedenti penali degli imputati.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Cassazione si fonda su un’analisi rigorosa dei limiti del giudizio di legittimità. I giudici hanno chiarito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. I motivi proposti dagli imputati sono stati giudicati:
1. Reiterativi: Le questioni sulla responsabilità, sulla prevedibilità della violenza e sulla minima offensività della condotta erano già state affrontate e respinte con motivazioni congrue dalla Corte d’Appello.
2. Manifestamente Infondati: La contestazione sulla qualificazione dello spogliatoio come privata dimora si scontrava con un orientamento giurisprudenziale consolidato, rendendo il motivo privo di qualsiasi fondamento giuridico.
3. Meramente Confutativi: Le argomentazioni sul dolo di concorso si limitavano a contrapporre una diversa lettura dei fatti a quella, logicamente argomentata, dei giudici di merito, senza individuare vizi di legittimità.
Di conseguenza, non sussistendo i presupposti per un esame nel merito, i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Conclusioni
L’ordinanza n. 10335/2024 offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida un’interpretazione estensiva del concetto di privata dimora, estendendo una forte tutela a spazi, come gli spogliatoi aziendali, in cui si svolge la vita privata del lavoratore. Questo principio ha implicazioni significative per la configurabilità di reati come il furto aggravato o la rapina. In secondo luogo, ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso per Cassazione deve basarsi su vizi di legge e non può essere utilizzato per tentare di ottenere una nuova valutazione dei fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio. Una lezione di rigore processuale e di tutela sostanziale dei diritti della persona, anche sul luogo di lavoro.
Uno spogliatoio sul luogo di lavoro può essere considerato una “privata dimora”?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, i luoghi di lavoro in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi, come uno spogliatoio riservato ai dipendenti, rientrano nella nozione di privata dimora e godono della relativa tutela legale.
È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi di ricorso già respinti in Appello?
No, l’ordinanza chiarisce che i ricorsi che si limitano a reiterare doglianze già esaminate e congruamente disattese dalla Corte d’Appello sono inammissibili. Il ricorso per Cassazione deve sollevare questioni di legittimità e non può essere una semplice riproposizione delle stesse argomentazioni di merito.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito nella decisione, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo specifico caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10335 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a CITTA DI CASTELLO il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ritenuto che il primo, il secondo motivo e il quarto del ricorso di COGNOME reiterano le doglianze sulla prevedibilità della violenza, sulla responsabilità concorsuale, sulla possibile applicazione dell’art. 116 cod. pen. e sulla minima offensività della condotta, già congruamente disattese dalla Corte di appello (pp. 8-10, ove si sottolinea il ruolo di “copertura” assunto dal complice e la pacifica possibilità di concorso tra rapina e resistenza, nonché la gravità della sottrazione dei documenti);
che rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro in cui si compiano atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi, come uno spogliatoio riservato ai dipendenti (Sez. 4, n. 37795 del 21/09/2021, COGNOME, Rv. 281952), di modo che il terzo motivo di COGNOME e il terzo motivo di COGNOME sono manifestamente infondati;
che il primo e il secondo motivo di COGNOME, in tema di sussistenza del dolo di concorso in capo all’imputato, è meramente confutativo rispetto alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito;
che il quarto motivo di COGNOME è meramente reiterativo e manifestamente infondato, poiché le ragioni sottese al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. sono congruamente illustrate (10-11, che valorizzano i significativi precedenti penali);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna del ricorrente. al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 20 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente