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Privata dimora: furto in ufficio, quando è aggravato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per tentato furto aggravato nei confronti di un’imputata sorpresa a rovistare nella borsa della titolare all’interno dell’ufficio privato di una farmacia. La Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo che la nozione di privata dimora si estende anche alle aree riservate dei luoghi di lavoro, non accessibili al pubblico, utilizzate per lo svolgimento di attività professionali e personali, consolidando un importante principio giuridico.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Ufficio: Quando si Configura l’Aggravante della Privata Dimora?

Un recente intervento della Corte di Cassazione riaccende i riflettori su un tema cruciale del diritto penale: la definizione di privata dimora e la sua applicazione ai luoghi di lavoro. La sentenza in esame analizza il caso di un tentato furto avvenuto nell’ufficio privato di una farmacia, offrendo chiarimenti fondamentali su quando un’area professionale possa essere equiparata a un domicilio, con conseguente aggravamento della pena per chi vi commette un reato.

I Fatti del Caso: Il Tentato Furto nel Retro di una Farmacia

Il caso trae origine dalla condanna di una donna per tentato furto. L’imputata era stata sorpresa dalla titolare di una farmacia mentre rovistava all’interno della sua borsa, lasciata nel proprio ufficio privato, situato nel retro dell’esercizio commerciale. La difesa dell’imputata aveva presentato ricorso in Cassazione, chiedendo la derubricazione del reato da furto aggravato (ai sensi dell’art. 624-bis c.p.) a furto semplice. La tesi difensiva si basava sull’assunto che l’ufficio di una farmacia non potesse essere qualificato come privata dimora, ma come un semplice luogo di lavoro.

La Nozione di Privata Dimora secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati, in particolare quelli espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 2017. La nozione di privata dimora è più ampia di quella di ‘abitazione’ e comprende tutti quei luoghi in cui una persona svolge, in modo non occasionale, atti della propria vita privata.

Perché un luogo possa essere considerato privata dimora, devono sussistere tre condizioni fondamentali:
1. Utilizzazione per atti della vita privata: Il luogo deve essere usato per lo svolgimento di attività private come riposo, svago, studio, ma anche attività professionali e lavorative, purché condotte in modo riservato.
2. Stabilità del rapporto: Deve esistere un legame durevole, anche se non continuo, tra la persona e il luogo, che va oltre la mera occasionalità.
3. Non accessibilità a terzi: L’accesso al luogo deve essere precluso a terzi senza il consenso del titolare.

Di conseguenza, anche un luogo di lavoro può rientrare in questa categoria, ma solo per quelle aree specificamente riservate alla sfera privata della persona offesa e non aperte al pubblico.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello avesse correttamente applicato questi principi. L’ufficio della titolare della farmacia era, a tutti gli effetti, un’area distinta e appartata rispetto a quella accessibile alla clientela. Le dichiarazioni della persona offesa, che aveva descritto il locale come il ‘proprio ufficio privato’, sono state considerate decisive. L’imputata, d’altro canto, non ha fornito alcuna prova che quell’area fosse destinata al contatto con il pubblico. I giudici hanno specificato che non sono necessari particolari accorgimenti, come porte blindate o serrature speciali, per definire un’area come privata. È sufficiente che sia strutturalmente o funzionalmente destinata a un’occupazione privata e riservata, come il retrobottega di un negozio o, appunto, l’ufficio privato di una farmacia.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Stabilisce chiaramente che la tutela rafforzata prevista per i reati commessi in una privata dimora si estende anche a quegli spazi, all’interno di attività commerciali o professionali, che sono preclusi al pubblico e utilizzati per lo svolgimento di attività personali e lavorative. Questa decisione serve da monito: introdursi in aree riservate di un negozio, ufficio o studio professionale per commettere un furto non è un furto semplice, ma un reato aggravato, punito con una pena significativamente più severa. La tutela della privacy e della sicurezza personale, quindi, non si ferma sulla soglia di casa, ma prosegue in tutti quei luoghi dove si svolge la vita privata, incluso l’ambiente di lavoro.

L’ufficio privato all’interno di un negozio o di una farmacia è considerato ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto aggravato?
Sì, secondo la sentenza, un ufficio privato è considerato ‘privata dimora’ se è un’area riservata, non aperta al pubblico, dove il titolare svolge attività professionali e atti della vita privata, e dove l’accesso a terzi non è consentito senza il suo consenso.

Quali sono i criteri per definire un luogo come ‘privata dimora’?
I criteri individuati dalla giurisprudenza sono tre: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata in modo riservato; b) una durata apprezzabile e stabile del rapporto tra la persona e il luogo; c) la non accessibilità del luogo da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

È necessaria una porta chiusa a chiave o altre barriere fisiche per qualificare un’area come ‘privata dimora’?
No, la sentenza chiarisce che non sono richiesti particolari accorgimenti per impedire l’ingresso. È sufficiente che si tratti di un’area distinta, appartata e riconoscibile come destinata a un’occupazione privata, anche se la porta che la separa dall’area pubblica fosse solo socchiusa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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