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Privata dimora: furto in hotel, la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per tentato furto in un complesso alberghiero. La Corte ha ribadito che un hotel rientra a pieno titolo nel concetto di privata dimora, rendendo applicabile la fattispecie aggravata del furto in abitazione. È stato inoltre escluso l’istituto della desistenza volontaria, poiché l’azione criminale è stata interrotta dall’arrivo delle forze dell’ordine e non da una scelta autonoma dell’imputato.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Privata Dimora: Anche un Hotel Rientra nella Definizione secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di tentato furto all’interno di un complesso alberghiero, offrendo importanti chiarimenti sulla nozione di privata dimora ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale. La decisione non solo consolida un orientamento giurisprudenziale estensivo, ma sottolinea anche rigidi principi procedurali in materia di ricorsi. Analizziamo i dettagli della vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di tentato furto in abitazione. La condotta delittuosa si era svolta all’interno di un complesso alberghiero e delle sue pertinenze. L’imputato, non accettando la condanna, decideva di ricorrere per Cassazione, basando la sua difesa su due principali argomentazioni: l’errata qualificazione giuridica del luogo come privata dimora e il mancato riconoscimento della desistenza volontaria.

I Motivi del Ricorso: Privata Dimora e Desistenza Volontaria

La difesa dell’imputato sosteneva, in primo luogo, che un albergo non potesse essere qualificato come privata dimora, specialmente se chiuso o con una presunta separazione tra la hall e il resto della struttura. Di conseguenza, il reato non avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie più grave del furto in abitazione.

In secondo luogo, si contestava il mancato riconoscimento della desistenza volontaria (art. 56, comma 3, c.p.). Secondo la tesi difensiva, l’imputato aveva interrotto autonomamente l’azione criminale, un’azione che, se accolta, avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio più mite.

Infine, come ultimo motivo, veniva lamentata la mancata sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. I giudici hanno ritenuto i motivi presentati manifestamente infondati, generici e, in parte, non ammissibili perché proposti per la prima volta in sede di legittimità.

Le Motivazioni: La Nozione di Privata Dimora e i Limiti dell’Appello

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive, fornendo una lezione chiara sia sul piano del diritto sostanziale che su quello procedurale.

L’Hotel come Privata Dimora: Un Concetto Esteso

I giudici hanno confermato l’orientamento, già espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui la nozione di privata dimora è ampia e non si limita alla sola abitazione principale. Rientrano in questa categoria tutti i luoghi in cui si svolgono, anche in modo non occasionale, atti della vita privata e che non sono aperti al pubblico indiscriminatamente, ma solo con il consenso del titolare. Questo include anche luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale, come un complesso alberghiero. Il fatto che la struttura fosse chiusa o avesse una separazione interna è stato giudicato del tutto irrilevante ai fini della qualificazione giuridica.

La Mancata Desistenza Volontaria

La Corte ha sottolineato la differenza cruciale tra desistenza volontaria e tentativo interrotto. La desistenza si configura solo quando l’agente, pur potendo continuare l’azione, sceglie volontariamente di fermarsi. Nel caso di specie, invece, la consumazione del reato è stata interrotta da una circostanza esterna e coercitiva: l’intervento delle forze dell’ordine. Questa dinamica non lascia spazio a una libera scelta dell’imputato e configura correttamente l’ipotesi di tentativo punibile.

Inammissibilità per Genericità e Novità dei Motivi

Sul piano procedurale, la Cassazione ha bacchettato la difesa per aver presentato motivi di ricorso che erano una mera “pedissequa reiterazione” di quelli già respinti dalla Corte d’Appello, senza una critica specifica e argomentata della sentenza impugnata. Inoltre, il motivo relativo alla sostituzione della pena detentiva è stato dichiarato inammissibile perché non era stato sollevato nel precedente grado di giudizio, violando il principio stabilito dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame consolida due principi fondamentali. Il primo è che la tutela penale offerta dal concetto di privata dimora è molto ampia e protegge tutti i luoghi in cui si esplica la sfera privata dell’individuo, inclusi alberghi, studi professionali e pertinenze. Il secondo è un monito per gli operatori del diritto: i ricorsi in Cassazione devono essere formulati con estremo rigore, evitando la semplice ripetizione di argomenti già discussi e l’introduzione di questioni nuove, pena una secca dichiarazione di inammissibilità.

Un hotel può essere considerato una “privata dimora” ai fini del reato di furto in abitazione?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la nozione di “privata dimora” include anche i luoghi, come un complesso alberghiero, dove si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, anche se destinati ad attività lavorativa, e che non sono aperti al pubblico senza il consenso del titolare.

Se una persona interrompe un furto perché sta arrivando la polizia, si può parlare di “desistenza volontaria”?
No. Secondo la sentenza, la desistenza volontaria si verifica solo quando l’agente decide autonomamente di interrompere l’azione pur potendo continuarla. L’intervento delle forze dell’ordine è una circostanza esterna che costringe all’interruzione, configurando quindi un’ipotesi di tentativo e non di desistenza.

È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso che non era stato sollevato in appello?
No. Il provvedimento chiarisce che, a pena di inammissibilità, i motivi di ricorso per Cassazione non possono introdurre questioni nuove che non siano state precedentemente dedotte come motivo di appello, come previsto dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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