Privata Dimora: la Cassazione Estende la Tutela anche alle Case Disabitate
Il concetto di privata dimora è cruciale nel diritto penale, specialmente per reati come il furto in abitazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento, stabilendo che anche un’abitazione rurale, non utilizzata in modo continuativo, rientra pienamente in questa nozione, garantendo così una tutela giuridica estesa. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Tre individui sono stati condannati in appello per reati connessi a un tentativo di furto in un’abitazione di campagna. Due di loro per tentato furto in abitazione aggravato, la terza per un reato riqualificato in tentata violenza privata. Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni. Il motivo principale, avanzato dai due coimputati per furto, sosteneva che l’immobile in questione, essendo una casa rurale non abitata al momento del fatto, non potesse essere considerato una privata dimora ai sensi dell’articolo 624-bis del codice penale.
L’Ampia Nozione di Privata Dimora
La Corte di Cassazione ha respinto con fermezza questa argomentazione, dichiarando il ricorso manifestamente infondato. I giudici hanno richiamato un consolidato orientamento, espresso anche dalle Sezioni Unite, secondo cui la nozione di privata dimora è ampia. Essa include non solo i luoghi in cui si svolge la vita domestica in modo stabile, ma tutti quegli spazi in cui una persona compie atti della vita privata, anche se in modo non occasionale, e che non sono aperti al pubblico o accessibili a terzi senza il consenso del titolare.
Questo principio si applica perfettamente a una casa di campagna o rurale. Il fatto che non fosse abitata al momento del tentativo di furto è stato ritenuto irrilevante. Ciò che conta è la destinazione del luogo a sfera privata dell’individuo, anche se l’utilizzo è saltuario o stagionale. La Corte ha quindi confermato che l’intrusione in tale immobile configura il più grave reato di furto in abitazione.
Le Questioni Procedurali Respinte
Oltre alla questione principale sulla privata dimora, la Corte ha esaminato e respinto anche gli altri motivi di ricorso. Uno di questi riguardava la riqualificazione del reato per una delle imputate, lamentando una presunta violazione del diritto di difesa. La Cassazione ha chiarito che la diversa qualificazione giuridica del fatto è legittima quando non avviene “a sorpresa” e non altera radicalmente gli elementi essenziali dell’accusa, specialmente se, come in questo caso, risulta più favorevole all’imputato. Infine, è stata rigettata anche la doglianza relativa a una presunta pena peggiorativa, dimostrando che, al contrario, la pena era stata ridotta in appello.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di proteggere la sfera di intimità e riservatezza della persona, che non si esaurisce nell’abitazione principale. La ratio della norma sul furto in abitazione è quella di tutelare il luogo in cui l’individuo si sente al sicuro e svolge le proprie attività personali, indipendentemente dalla frequenza con cui lo utilizza. Estendere la tutela a case di campagna, seconde case o studi professionali significa riconoscere che la vita privata si articola in una pluralità di luoghi, tutti meritevoli della medesima protezione rafforzata. Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, la motivazione risiede nel bilanciamento tra il diritto di difesa e i principi di economia processuale, evitando formalismi eccessivi quando non vi è un reale pregiudizio per l’imputato.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza: la tutela della privata dimora è ampia e non legata alla presenza costante delle persone. I proprietari di seconde case, abitazioni rurali o altri immobili utilizzati saltuariamente possono contare su una protezione penale rafforzata contro le intrusioni illecite. La decisione della Cassazione serve da monito, chiarendo che ogni luogo destinato alla vita privata, anche se temporaneamente vuoto, è un santuario inviolabile la cui violazione è punita con la severità prevista per il furto in abitazione.
Una casa disabitata può essere considerata ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la nozione di privata dimora include qualsiasi luogo in cui si svolgono, anche non occasionalmente, atti della vita privata. La circostanza che l’abitazione (ad esempio, una casa rurale) non sia abitata in modo continuativo al momento del fatto è irrilevante.
Il giudice può cambiare la qualificazione del reato senza avvisare prima le parti?
Sì, a determinate condizioni. La diversa qualificazione giuridica del fatto è permessa se non avviene “a sorpresa”, ovvero se l’imputato e il suo difensore hanno avuto la possibilità di interloquire sulla questione durante il processo, e se il fatto storico non viene radicalmente trasformato. Ciò è particolarmente vero quando la nuova qualificazione è più favorevole all’imputato.
Cosa significa quando un ricorso viene dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché ritenuto privo dei requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, i ricorsi sono stati giudicati “manifestamente infondati”, cioè basati su argomentazioni palesemente errate o in contrasto con principi giuridici consolidati, e per questo non sono stati accolti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6035 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6035 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a GELA il 14/09/1980 COGNOME NOME nato a GELA il 23/03/1985 NOME nato a COMISO il 19/10/1983
avverso la sentenza del 15/05/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che COGNOME Michele, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Gela, ha riqualificato di fatti ascritti all’imputa COGNOME nel reato di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen. rideterminandone la pena e ha confermato nel resto la condanna degli imputati COGNOME Michele e NOME per il reato di tentato furto in abitazione aggravato dall’aver commesso il fatto con violenza sulle cose (artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 2 cod. peri.).
Letta la memoria pervenuta in data 2 gennaio 2025 a firma del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME in data 2 gennaio 2025.
Considerato che con il primo ed unico motivo – con cui i ricorrenti COGNOME Michele e COGNOME Giuseppe lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurazione della privata dimora necessaria ad integrare il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. – è manifestamente infondato non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (S.U. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076) e con la motivazione esente dai descritti vizi logici con la quale il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 3 e 4) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità, avendo ritenuto che il luogo del tentato furto fosse una privata dimora, ancorché un’abitazione rurale, rimanendo irrilevante la circostanza di fatto che essa non fosse in quel momento abitata.
Considerato che il primo motivo di ricorso – con cui COGNOME NOME denuncia violazione di legge in ordine alla riqualificazione – è manifestamente infondato atteso che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione giuridica del fatto effettuata senza preventivamente renderne edotte le parti non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, in conformità dell’art. 111, comma 2, Cost. e dell’art. 6 CEDU, secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU nella sentenza 11 dicembre 2007, COGNOME cRAGIONE_SOCIALE Italia, ove non avvenga a sorpresa, allorché l’imputato e il suo difensore siano stati posti in condizione sin dall’inizio del processo di interloquire sulla questione, ed il fatto storico non sia radicalmente trasformato nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione» (Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, COGNOME, Rv. 281817-03); la Corte territoriale, pertanto, con congrua motivazione del principio di diritto su richiamato ha operato una qualificazione in senso favorevole all’imputata (si veda pag. 6).
Considerato che il secondo motivo di ricorso – con cui COGNOME NOME denuncia violazione di legge in ordine all’art. 597 cod. proc. pen. in relazione alla pena in concreto inflitta – è manifestamente infondato perché, nel lamentare una “pronuncia meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata”, la difesa ha mancato di confrontarsi con le emergenze processuali, essendo stata ridotta la pena inflitta in primo grado da mesi quattro di reclusione a mesi due e giorni venti di reclusione in appello.
Rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
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