Principio Scoppola: Limiti di Applicazione per le Condanne del Vecchio Rito
L’applicazione del Principio Scoppola, derivante dalla celebre sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, rappresenta una pietra miliare nella tutela dei diritti dell’imputato. Tuttavia, i suoi confini non sono illimitati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che tale principio non può essere esteso retroattivamente a condanne emesse sotto l’imperio del codice di procedura penale del 1930, quando istituti come il giudizio abbreviato non erano nemmeno contemplati. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso in esame riguarda un individuo condannato alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno da una sentenza della Corte di Appello emessa nel lontano 1986. Il processo si era svolto secondo le regole del codice di procedura penale del 1930. Anni dopo, il condannato ha presentato un’istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, chiedendo la conversione della pena detentiva perpetua in quella di trent’anni di reclusione. La richiesta si fondava sull’applicazione dei principi sanciti dalla sentenza CEDU nel caso Scoppola e recepiti dalla Corte Costituzionale italiana, che consentono tale conversione qualora all’imputato sia stato illegittimamente precluso l’accesso al giudizio abbreviato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici hanno stabilito in modo netto che i principi enunciati nella sentenza Scoppola e nelle successive pronunce della Corte Costituzionale non possono trovare applicazione nel caso di specie. La ragione è tanto semplice quanto decisiva: la situazione processuale del ricorrente è intrinsecamente diversa da quella del caso Scoppola.
Le Motivazioni: Perché il Principio Scoppola non si applica?
La Corte ha articolato le sue motivazioni su una distinzione fondamentale tra la natura della questione sollevata dal ricorrente e quella al centro del caso Scoppola.
1. Inesistenza del Rito Abbreviato: Il punto cruciale è che il ricorrente è stato processato e condannato in base al codice di procedura penale del 1930. Tale codice non prevedeva l’istituto del giudizio abbreviato. Di conseguenza, l’imputato non è mai stato ammesso a tale rito, né avrebbe potuto esserlo. Non si può, quindi, parlare di una negazione di un diritto che, all’epoca dei fatti, semplicemente non esisteva.
2. Questione Procedurale vs. Sostanziale: La sentenza Scoppola e la giurisprudenza costituzionale successiva (come la sent. n. 210/2013) si applicano a casi in cui si deve rimediare a una violazione di natura sostanziale, ovvero la mancata applicazione di una riduzione di pena a cui l’imputato avrebbe avuto diritto. Nel caso in esame, invece, la questione è puramente procedurale: riguarda l’accesso a un rito alternativo. La Corte ha chiarito che non è possibile, in fase di esecuzione, ‘celebrare ex novo’ un rito alternativo mai tenuto né riconoscere retroattivamente i benefici di una procedura inesistente al momento del processo.
3. Il Precedente ‘Morabito c. Italia’: La Corte ha anche richiamato una decisione della Corte Europea (Morabito c. Italia, 27.4.2010), la quale ha specificato che gli Stati non sono obbligati a prevedere procedimenti semplificati. Tuttavia, se li prevedono, non possono privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad essi connessi. Questo principio non si applica al caso di specie, poiché il procedimento semplificato in questione non esisteva affatto nell’ordinamento processuale dell’epoca.
Le Conclusioni: Implicazioni della Sentenza
Questa ordinanza della Cassazione traccia una linea di demarcazione chiara e invalicabile per l’applicazione del Principio Scoppola. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:
Irretroattività dei riti processuali: I benefici legati a riti processuali introdotti da riforme successive non possono essere applicati retroattivamente a processi conclusi sotto un diverso e precedente regime normativo. Il principio tempus regit actum* (il tempo regola l’atto) mantiene la sua piena validità in ambito processuale.
* Stabilità del giudicato: La decisione riafferma la solidità del giudicato penale. Non è possibile riaprire questioni procedurali definitivamente precluse, soprattutto quando si invoca un istituto giuridico inesistente all’epoca del processo originario.
* Distinzione tra sostanza e procedura: Viene ribadita la cruciale differenza tra questioni di diritto sostanziale (come l’entità della pena), che possono essere influenzate da pronunce della CEDU anche sul giudicato, e questioni di diritto processuale (come l’accesso ai riti), la cui disciplina è strettamente legata al momento in cui l’atto processuale è stato compiuto.
Una persona condannata all’ergastolo secondo il codice del 1930 può chiedere la riduzione della pena invocando il Principio Scoppola?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il Principio Scoppola non è applicabile a sentenze emesse sotto il vigore del codice di procedura penale del 1930, poiché all’epoca non esisteva il rito abbreviato e, di conseguenza, non poteva esserci stata alcuna violazione del diritto ad accedervi.
Qual è la differenza fondamentale tra questo caso e il caso Scoppola?
La differenza risiede nel quadro normativo applicabile. Nel caso Scoppola, l’imputato aveva diritto al giudizio abbreviato secondo le leggi vigenti, ma gli fu negato. In questo caso, il condannato fu processato con il codice del 1930, che non prevedeva affatto tale rito. La sua è quindi una questione di accesso a una procedura inesistente, non la negazione di un diritto esistente.
Perché la Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato. La situazione del ricorrente non era in alcun modo assimilabile a quella prevista dalla giurisprudenza sul Principio Scoppola, dato che la sua doglianza riguardava un profilo esclusivamente procedurale (l’accesso a un rito non previsto dalla legge dell’epoca) e non un profilo sostanziale (la determinazione della pena).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38300 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38300 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/03/2024 del TRIBUNALE di TRAPANI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIR TTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso proposto da NOME COGNOME e l’ordinanza im >ugnata.
Rilevato che le censure dedotte sono manifestamente infoncl!ite perché no 20tengono conto che hpena dell’ergastolo (con isolamento diurno) di COGNOME è s chiesta la conversione in anni trenta di reclusione è stata inflitta, j ome risulta dal certificato del casellario giudiziale, con sentenza emessa dalla Corte di appello di L’Aquila nel 1986 in esito a processo svoltosi con il rito previsto dal odic: d allora vigente.
Non possono, dunque, trovare applicazione i principi enunciati dall senten della CEDU COGNOME e della Corte costituzionale nella pronuncia n 210 del 2013 Con quest’ultima decisione la Consulta, sollecitata dalla Sezioni Unite, , , ld la, difatti, ritenuto – come efficacemente sintetizzato dalla stessa Corte nella ord. l. 235 del 2013 – che «la sentenza COGNOME non consenta allo Stato italiarlo di limita sostituire la pena dell’ergastolo applicata in quel caso, ma lo obblighi, dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, a porre riparo alla violaziore ris 😮 livello normativo e a rimuoverne gli effetti nei confronti di tutti i condannat trovino nelle medesime condizioni di COGNOME (sentenza n. 210 del 2013)»; «ch detto obbligo non trova ostacolo nell’avvenuta formazione del giudicato e che a sostituzione della pena – la quale non postula la necessità di una “riai:ert processo” – può procedere il giudice dell’esecuzione»; ma che tale conclusi riguarda «”esclusivamente l’ipotesi in cui si debba applicare, una decis ione Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia idlentic o a deciso e non richieda la riapertura del processo”: ipotesi nella quale so tan giustificarsi “un incidente di legittimità costituzionale sollevato nel pro :e di esecuzione nei confronti di una norma applicata nel giudizio di cogni one”» Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Acquista, pertanto, rilievo decisivo, per il caso ora in esamef il fistto stesso si differenzi dal caso COGNOME sotto il profilo essenziale che l’imputa é mai stato ammesso al giudizio abbreviato – né poteva esserlo – e ch questione sollevata non investe, perciò, direttamente l’entità de la riduz pena conseguente al giudizio abbreviato celebrato, ma attiene ilweco ai pro esclusivamente procedurali della possibilità, oramai irrimediabilme riconoscere come celebrato, o di celebrare ex novo, il rito alternat E che la situazione processuale del ricorrente non sia riferibile a no ma alla disciplina dell’accesso al rito, alla quale non può che an squisitamente processuale, è confermato, non solo dalla citata te p -eclusa, di vo ri )n tenuto. ma :sostanziale flettersi natura decisione della
Corte cost. n. 235 del 2013 a proposito della non esportabilità d ll’ari esto della sentenza COGNOME a situazioni in cui il giudizio alternativo non è tato celebrato, ma anche dalla decisione della Corte europea in data 27.4.2010, COGNOME c. Italia (concernente il regime transitorio previsto dal comma 1 dell’art. -ter d.l. n. 82 del 2000) in cui si è osservato che «gli Stati contraenti non son obb igati dalla : i Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati : a essi incombe soltanto l’obbligo, allorquando tali procedure esistono e sono a otta e, di non privare un imputato dei vantaggi che vi si collegano».
Ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissib lità c el ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spes prc :essuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinaziOne cella causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore cella Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al Tarn ento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore de la C issa delle ammende.
Così deciso, in Roma 26 settembre 2024.