Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16644 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16644 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
Composta da:
NOME COGNOME – Presidente – NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – Relatore – NOME COGNOME
Sent. n. sez. 649/2025
CC – 03/04/2025
R.G.N. 7035/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Foligno il 09/08/1961
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di Appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e la liquidazione delle spese come da comparsa conclusionale.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 19 settembre 2024 con cui la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Urbino in data 14 ottobre 2022, lo ha condannato alla pena di anni 1, mesi 10 di reclusione ed euro 450,00 di multa in relazione al reato di cui
all’art. 640 cod. pen., previa declaratoria della sopravvenuta prescrizione del reato di cui al capo A) dell’imputazione.
Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al motivo di appello con cui era stata eccepita la violazione del principio della correlazione tra contestazione e sentenza.
La violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. conseguirebbe alla indebita parcellizzazione dell’imputazione effettuata dal primo giudice, il quale, a fronte di due distinti capi di imputazione, avrebbe illegittimamente delineato sette autonome ipotesi di reato con conseguente radicale mutamento dell’accusa elevata nei confronti del COGNOME.
Il confronto tra i capi di imputazione ed il contenuto della motivazione della sentenza di primo grado consentirebbe di apprezzare il ‘ radicale mutamento dell’accusa rispetto alla quale vi è stata un’opera di modifica più che sostanziale da parte dei giudicanti ‘ (vedi pag. 4 del ricorso).
La difesa ha, in particolare, affermato che la vicenda dell’insinuazione al passivo descritta al paragrafo 6B e la vicenda della casa familiare affrontata nel paragrafo 6A non sarebbero ricomprese nella descrizione dei fatti riportata nel capo di imputazione con conseguente manifesta contraddizione tra accusa e pronuncia di condanna e violazione dell’art. 522 cod. proc. pen.
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62bis e 99 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della contestata recidiva ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di appello avrebbero argomentato in modo del tutto apparente in ordine all’insussistenza di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena ed alla presenza dei presupposti per il riconoscimento della recidiva, facendo riferimento a mere formule di stile generiche e stereotipate con conseguente vizio di motivazione.
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 61 n. 7 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità.
La motivazione sarebbe illogica valorizzando principalmente il profilo soggettivo delle condizioni finanziarie delle persone offese nonostante tale criterio sia ritenuto meramente sussidiario dalla giurisprudenza di legittimità.
Ulteriore profilo di illogicità e contraddittorietà conseguirebbe al fatto che la Corte territoriale, dopo aver espressamente dato atto che le persone offese avrebbero ‘ beneficiato di un pagamento per un importo certamente non modesto (euro 24.000,00) a loro non dovuto ‘ (vedi pagg. 6 e 7 del ricorso) avrebbe fondato il riconoscimento della contestata aggravante proprio sulle difficoltà finanziarie dei truffati.
Il difensore della parte civile, in data 01 aprile 2025, ha depositato nota-spese e comparsa conclusionale con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di impugnazione, con il quale è eccepita violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., è manifestamente infondato.
Le sentenze di merito, pur valorizzando modalità delle condotte non dettagliatamente descritte nel capo di imputazione, non è contraddistinta da alcuna violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. in quanto i giudici di merito si sono limitati ad una maggiore specificazione della complessa attività truffaldina posta in essere in danno delle persone offese, descrivendo condotte desumibili dall’analisi delle dichiarazioni dei testimoni escussi nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, a piena conoscenza delle parti in un momento antecedente alla definizione del giudizio di appello.
Va ricordato, in proposito, che il principio della correlazione tra contestazione e sentenza può ritenersi violato unicamente in caso di assoluta e reale difformità tra l’accusa e la statuizione del giudice, nel senso che i fatti devono essere diversi nei loro elementi essenziali, tanto da determinare una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca
un reale pregiudizio dei diritti della difesa, condizioni sicuramente non ravvisabili nel caso di specie.
Pertanto, l’indagine volta ad accertare la eventuale violazione del principio sopra indicato non può esaurirsi nel mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, dal momento che la violazione deve ritenersi insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia trovato nella condizione di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (vedi Sez. 5, n. 3330 del 06/10/2022, dep. 2023, Presotto, non mass.; Sez. 3, n. 18855 del 23/02/2022, Voce, non mass.).
Il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è, infatti, funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile solo quando il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, nel senso che risultano variati o trasformati gli elementi costitutivi dell’ipotesi di reato descritta nel capo di imputazione, e non già quando gli elementi essenziali che caratterizzano la qualificazione giuridica del fatto sono rimasti invariati e ad essi risultano aggiunti ulteriori particolari del fatto, in merito ai quali l’imputato ha comunque avuto modo di difendersi (Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, dep. 2019, Calabrese, Rv. 276955 – 01; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 – 01).
In definitiva, anche a fronte di una apparente diversità tra la prospettazione dell’imputazione e la concreta ricostruzione in sentenza, non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione allorquando i punti rilevanti della imputazione siano chiaramente delineati e comunque sia prevedibile il loro ulteriore sviluppo in giudizio, risultando chiaro come indirizzare l’esercizio in concreto del diritto di difesa (Sez. 6, n. 50151 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277727 – 01).
Applicando tali principi alla fattispecie in esame non vi è dubbio che i giudici di merito abbiano individuato le condotte illecite poste in essere dal COGNOME sul fondamento di una ricostruzione dei fatti arricchita e conformata alla stregua degli elementi emersi nel corso del dibattimento, ma al contempo può affermarsi che tale integrazione non ha comportato alcuna compressione dell’esercizio del diritto di difesa in considerazione del fatto che l’imputazione rubricata enunciava in termini chiari e sufficientemente
completi, gli elementi essenziali – sia sotto il profilo fattuale che giuridico degli addebiti.
La Corte territoriale ha motivato, con iter argomentativo del tutto esente da vizi logici manifesti, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato rubricato (vedi pagg. da 6 a 12 della sentenza impugnata), fondando tale affermazione su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della univocità, sottraendosi, di conseguenza, ad ogni censura in questa sede.
Il secondo motivo di impugnazione è al contempo generico e non consentito.
2.1. L’applicazione della recidiva è basata su motivazione adeguata, logica e coerente con le risultanze processuali e, quindi, insindacabile in sede di legittimità. La Corte territoriale ha correttamente valutato come la progressione criminosa resa palese dalla pluralità di delitti posti in essere dall’imputato renda evidente la presenza di una pericolosità ingravescente di cui la commissione del delitto di truffa è dimostrazione ulteriore (vedi pag. 15 della sentenza impugnata), fornendo, quindi, un percorso motivazionale privo di illogicità e conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento della recidiva. La replica contenuta nel ricorso si limita a negare tali circostanze, contro l’evidenza della loro sussistenza con conseguente aspecificità della doglianza.
2.2. La censura con cui il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche è generica in quanto priva di qualsivoglia indicazione di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena; la difesa, infatti, si è limitata a sostenere una generica carenza di motivazione, rassegnando poi le conclusioni favorevoli al proprio assistito, senza alcuna valida confutazione delle argomentazioni espresse dai giudici di appello.
La Corte di merito ha correttamente valorizzato, ai fini del diniego, la gravità dei fatti, l’intensità del dolo e l’intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dagli innumerevoli precedenti penali e la mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata), a seguito di una valutazione degli elementi fattuali
che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto in tema di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il terzo motivo di ricorso è aspecifico in quanto reiterativo di medesime doglianze inerenti alla sussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Diversamente da quanto apoditticamente affermato nel ricorso, la Corte territoriale, con motivazione conforme alle risultanze processuali e priva di manifesta illogicità, ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61, n. 7, cod. pen. in considerazione della significativa gravità del danno sofferto dalle persone offese a seguito delle condotte truffaldine dell’imputato e delle difficili condizioni economiche in cui i COGNOME versavano all’epoca dei fatti (vedi pag. 13 della sentenza impugnata).
I giudici di appello hanno quindi correttamente applicato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, allorquando l’ammontare del danno cagionato alla persona offesa si inserisca in una fascia il cui apprezzamento presenti parametri di dubbio, il giudice può fondare il giudizio di sussistenza dell’aggravante de qua anche sul criterio sussidiario della capacità economica del danneggiato (Sez. 2, n. 48734 del 6/10/2016, COGNOME, Rv. 268446 – 01; Sez. 2, n. 19117 del 18/01/2024, Ganio, non mass.).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Il Collegio ritiene, infine, che non vadano liquidate le spese a favore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME di cui alla nota depositata in data 01 aprile 2025 unitamente alle conclusioni scritte.
La memoria conclusiva depositata, a cagione della sua genericità, non ha fornito alcun contributo alla dialettica processuale in quanto priva di eccezioni o deduzioni dirette a paralizzare o ridurre la pretesa del ricorrente (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01, in
motivazione; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME
Così è deciso, 03/04/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME