Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11573 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11573 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Inammissibilità nel resto.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME AVV_NOTAIO del foro di FOGGIA in difesa di:
COGNOME NOME
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso
1.11 Tribunale di Foggia il 19 maggio 2021, all’esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto NOME COGNOME responsabile della violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (così riqualificata la contestazione elevata dal P.M. di violazione dell’art. 73, comma 1-bis e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990), per avere detenuto a fine di cessione hashish, fatto commesso il 29 novembre 20202, in conseguenza condannandolo, riconosciute le circostanze attenuanti generiche ed operata la diminuzione per il rito, alla pena finale di sei mesi di reclusione e di 1.400,00 euro di multa (pena base: un anno, un mese e quindici giorni di reclusione e 3.150,00 euro di multa; riduzione ex art. 62-bis cod. pen. a nove mesi di reclusione e 2.100 euro di multa; infine, diminuzione di un terzo per il rito), pena condizionalmente sospesa.
La sentenza è stata gravata da appello sia del P.M. che della Difesa.
2.1. La Parte pubblica ha chiesto riqualificarsi il fatto come da originaria contestazione (ossia – come si è detto – violazione dell’art. 73, comma 1-bis e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990) e, conseguentemente, applicare all’imputato Sanzione più severa.
2.2. La Difesa dell’imputato invece ha chiesto:
in linea principale, l’assoluzione, eventualmente previa riqualificazione nella violazione amministrativa dell’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990;
in subordine, il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art 131-bis cod. pen.;
in ulteriore subordine, la rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio;
ha domandato, in ogni caso, il rigetto dell’appello del P.M.
2.3. La Corte di appello di Bari il 10 maggio 2022 ha disatteso l’appello del Procuratore Generale, ritenendo corretta la qualificazione giuridica operata dal Giudice di primo grado, ha rigettato tutti i motivi di appello della Difesa e infin ha applicato all’imputato, con le già concesse attenuanti generiche ed operata la diminuzione per il rito, la sanzione finale di un anno e quattro mesi di reclusione e di 4.000,00 euro di multa, così calcolata: pena-base, tre anni di reclusione e 9.000,00 euro di multa; riduzione per le attenuanti generiche sino a un anno e quattro mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa; infine, applicazione di una ulteriore diminuzione di un terzo per il rito; con conferma nel resto.
3.Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali denunzia violazione di legge e vizio di motivazione.
3.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e difetto di motivazione della decisione nella parte in cui non motiva in relazione all’assenza di un’organizzazione, seppure rudimentale, funzionale allo spaccio e nella parte in cui non motiva in ordine al numero di dosi ricavabili dalla sostanza in base ai grammi sequestrati, apparendo la condotta, ad avviso del ricorrente, riconducibile non già all’art. 73 ma all’art. 75 del d.P.R. n. 309 de 1990, costituente mero illecito amministrativo.
3.2. Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., sia sotto il profilo illegittimità del diniego che della manifesta illogicità della relativa motivazione.
3.3. Tramite l’ultimo motivo censura inosservanza dell’art. 597 cod. proc. pen., che fissa il principio devolutivo, e, nel contempo, manifesta illogicità della motivazione nella misura in cui ridetermina, aggravandolo, il trattamento sanzionatorio, nonostante il mancato accoglimento dell’appello del P.M.
Richiama al riguardo precedenti di legittimità stimati pertinenti, ossia: Sez. 6, n. 7994 del 17/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262455: «In base al principio devolutivo che caratterizza il giudizio di appello ed in base alle norme sulle formalità dell’impugnazione, che richiedono, tra gli altri requisiti previsti pena di inammissibilità del gravame, quello della specificità dei motivi (artt. 581, lett. c), e 591, primo comma, lett. c), cod. proc. pen.), deve escludersi che l’impugnazione della sentenza di primo grado in punto di responsabilità possa ritenersi implicitamente comprensiva anche della doglianza concernente il trattamento sanzionatorio. (In motivazione, la 5.C. ha ulteriormente evidenziato che, in mancanza di uno specifico motivo, il giudice d’appello non può procedere d’ufficio alla riduzione della pena, anche perchè la facoltà riconosciutagli dal quinto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. è circoscritta all’applicazione di ufficio dei benefici e delle attenuanti ivi indicate)»; e Sez. 1, n. 2003 del 19/01/1998, COGNOME, Rv. 209576: «Pur quando appellante avverso una sentenza di condanna sia il pubblico ministero, il giudice d’appello, nel respingere il gravame, non può, senza violare il principio di devoluzione sancito dall’art. 597, comma 1, c.p.p., operare, ai sensi del comma 2, letta) ,di detto articolo, un aumento della pena inflitta sol perché ritenga, indipendentemente da quelle che sono state le non accolte richieste del pubblico ministero, relative ad altri punti dell’impugnata sentenza, che sia necessario rimediare ad un errore in cui il giudice di primo grado sarebbe caduto»).
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
3.4. E’ pervenuta il 26 luglio 2023 memoria difensiva nell’interesse di NOME COGNOME, con cui si è sollecitata la definizione del ricorso non già in Sez. 7 ma in Sez. ordinaria, con particolare riferimento al contenuto del terzo motivo, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Il processo, in un primo momento fissato innanzi a Sez. 7, con Ordinanza del 19 ottobre 2023 è stato restituito a Sez. 4, “rilevata la non manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso”.
Il 30 ottobre 2023 la Difesa ha chiesto la trattazione orale del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è parzialmente fondato, nei limiti e per la ragioni di cui appresso.
Il primo ed il secondo motivo sono meramente riproduttivi di altrettanti motivi di appello, ai quali ha offerto risposte non incongrue e non illogiche la sentenza impugnata, in particolare spiegando perché la condotta non possa ricondursi al mero illecito amministrativo di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 309 de 1990 (essendo emersa la concreta finalità di spaccio e non già di mero uso personale, p. 4 della sentenza impugnata) e perché non possa riconoscersi nel caso di specie la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. (quantità considerevole della sostanza rinvenuta e recente precedente specifico: p. 4 della decisione di appello).
3. Il terzo motivo, invece, è fondato.
Infatti, la Corte di appello, pur non accogliendo l’appello del P.M., ha ciononostante aumentato la pena, sia detentiva sia pecuniaria, portando la sanzione da sei mesi di reclusione e 1.400,00 euro di multa ad un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa.
Si tratta di una evidente violazione del principio devolutivo, puntualmente denunziata dalla Difesa con richiamo di pertinenti precedenti di legittimità.
Infatti, «In base al principio devolutivo che caratterizza il giudizio di appello ed in base alle norme sulle formalità dell’impugnazione, che richiedono, tra gli altri requisiti previsti a pena di inammissibilità del gravame, quello della specificità dei motivi (artt. 581, lett. c), e 591, primo comma, lett. c), cod. proc pen.), deve escludersi che l’impugnazione della sentenza di primo grado in punto di responsabilità possa ritenersi implicitamente comprensiva anche della doglianza concernente il trattamento sanzionatorio» (Sez. 6, n. 7994 del
17/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262455) e «Pur quando appellante avverso una sentenza di condanna sia il pubblico ministero, il giudice d’appello, nel respingere il gravame, non può, senza violare il principio di devoluzione sancito dall’art. 597, comma 1, c.p.p., operare, ai sensi del comma 2, lett. a) ,di detto articolo, un aumento della pena inflitta sol perché ritenga, indipendentemente da quelle che sono state le non accolte richieste del pubblico ministero, relative ad altri punti dell’impugnata sentenza, che sia necessario rimediare ad un errore in cui il giudice di primo grado sarebbe caduto» (Sez. 1, n. 2003 del 19/01/1998, COGNOME, Rv. 209576).
In altre parole, essendo stato disatteso l’appello del AVV_NOTAIO.M. sullo specifico punto (p. 3 della sentenza), la sanzione non poteva essere aumentata dal Giudice.
In conseguenza, deve ripristinarsi l’originario trattamento sanzionatorio applicato in primo grado, ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen. ricorrendone le condizioni, annullando senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena, da determinarsi nuovamente, appunto, in quella di sei mesi di reclusione e di millequattrocento euro di multa, ferma ovviamente la pena sospesa.
Il ricorso nel resto va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena, che ai sensi dell’art. 620 lett. L) c.p.p. ridetermina in sei mesi di reclusione e millequattrocento euro di multa, ferma la pena sospesa. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 20/12/2023.