Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2072 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2072 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 26/01/1993 avverso l’ordinanza emessa il 09/10/2024 dal Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 09/10/2024, il Tribunale di Roma ha accolto l’appello, proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dal Procuratore della Repubblica della stessa città, avverso l’ordinanza con cui il G.i.p. del Tribunale di Roma aveva sostituito con gli arresti domiciliari la misura custodiale in carcere, applicata a COGNOME NOME in relazione ai delitti di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. 309 del 1990 (delitti pe i quali l’imputato era stato condannato in primo grado con sentenza del 22/03/2024, previa riqualificazione dei reati ascritti ai sensi del comma 6 dell’art.
74 e del comma 5 dell’art. 73). In accoglimento dell’appello, il Tribunale ha quindi ripristinato, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, la misura di massimo rigore.
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento alla violazione del principio devolutivo. Si deduce che dalla sentenza impugnata non emergeva la circostanza ritenuta decisiva dal Tribunale, secondo cui il RAGIONE_SOCIALE era dedito ad attività di spaccio nonostante si trovasse in regime di detenzione o arresti domiciliari. Al riguardo, si allega l’estratto della sentenza e si osserva che, anche a volerlo ritenere sussistente, si trattava di un elemento già presente nel patrimonio conoscitivo del G.i.p. al momento dell’emissione della misura. Si censura l’ordinanza per aver ritenuto possibile, a fronte di una richiesta volta ad una mitigazione della misura per il prospettato affievolimento delle esigenze, rivalutare queste ultime nella loro interezza, attingendo anche ad elementi già apprezzati dal G.i.p.
2.2. Vizio di motivazione con riferimento all’art. 275-bis cod. proc. pen. Si censura l’ordinanza per non avere il Tribunale preso in alcuna considerazione la possibilità di soddisfare le esigenze con gli arresti domiciliari corredati dal cd. braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Emerge dall’ordinanza impugnata che, all’esito del giudizio di primo grado, conclusosi con la condanna a complessivi anni sei/.mesi dieci di reclusione per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (rispettivamente derubricati ai sensi dei commi 5 e 6 dei predetti articoli), il giudice procedente aveva sostituito la misura custodiale in carcere, applicata a COGNOME NOME nel 2022, con quella degli arresti domiciliari, “tenuto conto della riqualificazione dei reati contestati”.
Il Tribunale ha accolto l’appello del P.M., ripristinando la custodia cautelare in carcere, osservando che, nonostante si dovesse tener conto della derubricazione nell’apprezzamento della persistente proporzionalità della misura, le peculiari connotazioni della fattispecie concreta non consentivano di concludere per un affievolimento delle esigenze di prevenzione speciale.
In particolare, il Tribunale ha conferito un dirimente rilievo non tanto alla intensità del ritmo con cui il RAGIONE_SOCIALE operava di concerto con il capo dell’associazione e con i vari pusher di volta in volta incaricati delle consegne dello stupefacente, quanto soprattutto alla “circostanza che lo stesso si dedicasse alacremente e professionalmente al narcotraffico dal domicilio nel quale si trovava ristretto in detenzione domiciliare e dal quale, come una sorta di ‘centralinista’, riceveva le chiamate degli acquirenti e le smistava al pusher di turno”. Al riguardo,
il Tribunale ha ricostruito il lungo periodo trascorso in regime di arresti domiciliari e poi di detenzione domiciliare (applicata in relazione a pregresse condanne specifiche), evidenziando l’assoluta indifferenza del DELLE FAVE per siffatto regime, durante il quale si era dedicato senza tregua al narcotraffico all’interno di un contesto organizzato, “non mancando neppure di dedicarsi al marketing, contattando i clienti abituali per rappresentare loro di avere disponibilità di sostanza stupefacente e di essere operativi dalle 10 del mattino fino alle 23 della sera” (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
2.2. La difesa non ha inteso contestare tale percorso argomentativo sul piano della logicità e coerenza (essendo del resto intuitiva la dirompente valenza delle circostanze richiamate dal Tribunale), quanto piuttosto sotto il profilo della sua legittimità: da un lato contestando l’esistenza stessa delle circostanze valorizzate, dall’altro ritenendo che in ogni caso, anche a dare per scontata l’attività di “centralinista dagli arresti domiciliari” del DELLE FAVE, l’ordinanza impugnata avesse violato il principio devolutivo che connota il giudizio di appello, anche cautelare.
Si tratta di prospettazioni che non possono essere in alcun modo condivise.
Quanto al primo aspetto, è sufficiente evidenziare che l’estratto della sentenza allegato al ricorso non esclude certo l’attività di “collaborazione telefonica” e di “supporto pubblicitario” offerta dal ricorrente (cfr. l’allegata pag. 375), e che cta. ./tt GLYPH ‘ticatza -tytet , comunque nulla si di -Cefin ordine al passaggio dell’informativa finale specificamente indicato nell’ordinanza oggetto dell’odierno ricorso.
Quanto al secondo aspetto, la deduzione difensiva è manifestamente infondata.
Deve invero ritenersi indiscutibile – nell’ambito della doverosa verifica della persistente attualità e concretezza delle esigenze cautelari alla quale sono chiamati tatz 0 ,t 2.3 c, e e .4 il giudice procedente e quello dell’eventuale impugnazione ex1310 y -f a pos§ibilità di rivalutare appieno (unitamente all’elemento di novità, costituito dalla diversa qualificazione giuridica, dedotto con l’istanza de libertate) tutte le risultanze già acquisite e precedentemente apprezzate in sede applicativa: solo in questo modo è possibile procedere ad un effettivo apprezzamento del novum e della sua idoneità a determinare una modifica delle valutazioni cautelari precedentemente espresse.
Nella prospettazione difensiva, invece, l’oggetto del giudizio dovrebbe essere costituito dalle sole circostanze favorevoli dedotte con l’istanza: con ciò pervenendo a conclusioni all’evidenza inaccettabili, secondo cui – nel caso di specie – il giudice dell’impugnazione dovrebbe paradossalmente limitarsi ad accertare la sola effettiva derubricazione dei reati ascritti al DELLE FAVE, da parte del giudice della cognizione.
2.3. A sostegno del proprio assunto, la difesa ha richiamato Sez. 6, n. 19008 del 21/04/2016, S., Rv. 267209-01, secondo la quale «l’appello cautelare disciplinato dall’art. 310 cod. proc. pen. è governato dal principio devolutivo, per
cui se l’indagato ha fondato la propria richiesta di revoca o sostituzione della misura solo sulla dedotta cessazione o sull’affievolimento delle esigenze cautelari e il primo giudice ha deciso sulla base di tale unico motivo, si stabilisce una litispendenza oggettiva delimitata tra il chiesto e il pronunciato, che circoscrive anche l’ambito del sindacato del giudizio di impugnazione» (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da vizi il provvedimento con il quale il tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità della questione relativa alla inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni ambientali disposte nella dimora dell’indagato, attesa la mancata deduzione del tema nella richiesta ex art. 299 cod. proc. pen. e, comunque, la mancata contestazione del profilo relativo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza).
Appare evidente, a questo Collegio, l’inconferenza di tale pronuncia rispetto alla tesi sostenuta in ricorso: il precedente in questione ha in sostanza ribadito l’ovvio principio secondo cui, nell’incidente cautelare instaurato per la sola verifica della persistenza delle esigenze cautelari, non è possibile introdurre con l’atto di appello censure attinenti ai gravi indizi, neppure sotto il profilo della utilizzabili degli atti.
Radicalmente diversa è invece la questione che qui rileva, in cui il Tribunale, chiamato dal P.M. appellante a rivedere la decisione in ordine alla persistente adeguatezza della misura in atto, può – ed anzi deve – basare il proprio apprezzamento anche sull’intero compendio precedentemente acquisito.
Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza deve pervenirsi quanto alla residua questione sollevata dalla difesa ricorrente.
Nel condividere le censure prospettate dall’appellante, il Tribunale ha valorizzato le condotte del COGNOME, ritenute dimostrative di una eclatante inadeguatezza della misura domiciliare che egli aveva per così dire sfruttato, al fine di assicurare una costante quanto efficace collaborazione al narcotraffico: “non potendosi appunto riporre alcuna fiducia (presupposto indispensabile per la concessione di una misura fondata sull’autocontrollo) in chi, come il DELLE FAVE, ha svolto gran parte dell’attività in contestazione presso il domicilio coatto” (pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
Il Tribunale ha dunque radicalmente escluso, in termini del tutto privi da profili di illogicità o contraddittorietà qui deducibili, l’idoneità degli arresti donnicilia fronteggiare le gravi esigenze di prevenzione speciale ravvisate con riferimento alla posizione del DELLE FAVE.
Ciò consente di fare applicazione del principio, affermato da questa Suprema Corte, secondo cui «il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762 – 01, la quale, in motivazione, ha ulteriormente
precisato che deve ritenersi assolto l’onere motivazionale sulla assoluta proporzionalità della misura carceraria quando si esclude in radice l’idoneità del regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controllo elettronico).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della causa di inammissibilità, appare equo quantificare in Euro tremila.
Essendo l’esecuzione del provvedimento impugnato rimasta sospesa fino alla decisione sull’odierno ricorso, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 310 cod. proc. pen., la Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 11 dicembre 2024