Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9598 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 29/01/2025
R.G.N. 39535/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NORIMBERGA (GERMANIA) il 20/03/1972 avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 31691 emessa in data 30 maggio 2024 la Corte di Cassazione, sezione Quinta Penale, rigettava i ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza emessa in data 22 settembre 2023 dalla Corte di appello di Napoli che, confermando la sentenza di primo grado, aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME per due condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva commesse nel fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nel 2015, mediante la cessione di due rami di azienda ad un valore inferiore a quello reale, e aveva condannato NOME COGNOME quale concorrente esterno in uno di tali delitti, quale legale rappresentante della srl COGNOME, società cessionaria, nel 2011, del primo dei rami di azienda svenduti.
La Corte di cassazione ha ritenuto, per quanto di rilevanza, che la cessione di ramo d’azienda avvenuta nel marzo 2011 in favore della RAGIONE_SOCIALE si Ł effettivamente perfezionata, anche in mancanza del pagamento pattuito o della consegna del bene, essendo il mero consenso delle parti contraenti sufficiente per produrre l’effetto traslativo. La nuova cessione del medesimo ramo d’azienda ad altro contraente, nel 2012, Ł perciò inidonea ad escludere la sussistenza della distrazione, anche perchØ nella seconda occasione l’oggetto della vendita era stato piø ampio. Il dolo di NOME COGNOME, quale extraneus , era stato legittimamente ritenuto dimostrato dal fatto che la società cessionaria, da lui amministrata, era stata costituita solo un mese prima della cessione, con il medesimo oggetto sociale della fallita, e poco dopo l’imputato era stato sostituito, nella carica di
legale rappresentante, dapprima dal coimputato COGNOME e poi dal coimputato NOME COGNOME cioŁ i due amministratori della società fallita, inducendo così a ritenere che detta società fosse stata costituita, da NOME COGNOME con la precisa finalità di concorrere a realizzare la condotta distrattiva del COGNOME.
Avverso la sentenza il condannato NOME COGNOME per mezzo dei suoi difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625bis cod. proc. pen.
La sentenza Ł incorsa in un errore di fatto in relazione alla cessione del ramo d’azienda contestata come avvenuta in data 31/03/2011. Essa ha ritenuto integrato il reato di bancarotta distrattiva applicando il principio consensualistico di cui all’art. 1336 cod. civ. ( rectius art. 1376 cod. civ.), secondo cui l’effetto traslativo, in una compravendita, si produce con il semplice consenso delle parti, ma non ha tenuto conto, in fatto, dell’assenza di un decremento patrimoniale della società. La successiva cessione ad una diversa società del medesimo ramo di azienda, stipulata il 18/09/2012, dimostra che tale bene era sempre rimasto nel patrimonio della fallita, e che quindi la prima cessione, benchØ stipulata, non aveva provocato alcun decremento del suo patrimonio e nessuna riduzione della sua funzione di garanzia per i creditori. La Corte di cassazione ha quindi errato sul fatto del concreto verificarsi di una distrazione, avendo omesso di valutare che i beni oggetto della compravendita non sono stati mai sottratti alla fallita e sono rimasti sempre nella sua disponibilità, tanto che essa ha potuto cederli ad un terzo poco meno di diciotto mesi dopo la prima, formale, cessione. Quest’ultima poteva, al massimo, essere ritenuta una vendita simulata, come tale improduttiva di effetti.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, in data 18/01/2025, ha depositato una nota, anche in controdeduzione alla requisitoria del Procuratore generale, ribadendo che la Corte di cassazione ha errato nel ritenere effettiva la prima cessione del ramo di azienda, a lui contestata, perchØ la successiva cessione del medesimo bene, con effettiva traslazione al nuovo cessionario, dimostra che la prima vendita era del tutto priva di efficacia, e non ha comportato la depauperazione del patrimonio della fallita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato, e deve perciò essere dichiarato inammissibile.
L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625bis cod. proc. pen. quali motivi di possibile ricorso straordinario contro i provvedimenti della corte di cassazione, secondo il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità «consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicchØ rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali»
(Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193).
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa in un errore di fatto, per avere omesso di tenere conto dell’assenza di un effetto depauperatorio della prima cessione del ramo d’azienda, che dimostrerebbe l’insussistenza del delitto di bancarotta distrattiva a lui contestato, perchØ il bene non sarebbe mai stato sottratto al patrimonio della società fallita.
2.1. Questa affermazione Ł manifestamente infondata, perchØ la sentenza impugnata ha ampiamente valutato, al punto 3.1. del ‘considerato in diritto’, la tesi difensiva di una insussistenza della cessione per la mancata consegna del ramo d’azienda ceduto, e l’ha respinta ritenendo applicabile, come riconosce lo stesso ricorrente, il principio consensualistico previsto dall’art. 1376 cod. civ. Ha affermato, infatti, che la cessione del ramo di azienda in cambio del pagamento del corrispettivo e dell’accollo dei debiti costituiva una compravendita, regolata perciò da detto principio, ovvero dall’effetto traslativo conseguente al mero consenso, secondo cui la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso dei due contraenti, legittimamente manifestato, essendo il pagamento del prezzo e la consegna del bene ceduto oggetto di obbligazioni successive, conseguenti proprio all’effetto traslativo già verificatosi. L’inottemperanza a tali ultime obbligazioni, qui ribadita dal ricorrente, che ha sottolineato come il ramo d’azienda ceduto non sarebbe mai uscito dal patrimonio della società fallita, Ł stata pertanto ritenuta una condotta successiva, inidonea ad influire sulla cessione già avvenuta, che può solo legittimare le azioni giudiziarie dirette a far rispettare sia il diritto del cedente ad ottenere il pagamento pattuito, sia quello del cessionario ad ottenere la consegna del bene acquistato.
La sentenza impugnata, pertanto, non ha tralasciato di tenere conto della omessa consegna del bene al cessionario, ma lo ha ritenuto un fatto irrilevante, inidoneo ad escludere l’effettività della cessione stessa e della traslazione della proprietà. Analogamente, non ha omesso di considerare che la successiva vendita ad altro soggetto di quel medesimo ramo d’azienda dimostrerebbe, secondo l’impostazione difensiva, che esso non sarebbe mai uscito dal patrimonio della società fallita, ma lo ha valutato un fatto «del tutto irrilevante» perchØ, come detto, «applicando i principi ora richiamati al caso concreto, Ł possibile affermare che la prima cessione sia stata il frutto di un accordo validamente manifestato dalle parti, producendo così i suoi effetti traslativi e determinando il passaggio, in capo al cessionario, della proprietà del ramo di azienda».
2.2. E’ pertanto evidente che la Corte non Ł incorsa in alcun errore percettivo, in quanto ha esaminato la tesi difensiva, della inesistenza della cessione a seguito della mancata consegna del bene al cessionario, ma l’ha disattesa, ritenendo che, in base al principio civilistico ritenuto applicabile, la cessione si fosse pienamente realizzata e la proprietà del ramo d’azienda fosse stata effettivamente trasferita al ricorrente, con conseguente depauperamento del patrimonio della società fallita a causa del suo mancato pagamento. Sulla base di tale principio di diritto, poi, la omessa consegna del bene e la sua successiva cessione a terzi sono state ritenute irrilevanti e inidonee a rendere inefficace la prima cessione o a farla valutare come insussistente, trattandosi di fatti successivi, qualificabili come inottemperanza agli obblighi connessi alla vendita già avvenuta.
In particolare, non Ł fondata l’affermazione del ricorrente, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere sussistente una distrazione che, invece, non si Ł mai verificata: la sentenza ha ritenuto la cessione effettiva e immediatamente produttiva dell’effetto traslativo, con la conseguenza che la distrazione Ł stata giuridicamente realizzata, essendo stata la proprietà di quel ramo d’azienda ceduta ad un terzo, senza che il corrispettivo pattuito venisse mai pagato.
Il vizio dedotto nel ricorso, quindi, può al piø essere ritenuto un errore di diritto, come lo stesso ricorrente, di fatto, riconosce quando sostiene che l’errore di fatto in cui la sentenza sarebbe incorsa consisterebbe «nell’aver ritenuto che l’accordo tra le parti abbia determinato un effetto
traslativo riguardante i beni». La sentenza, infatti, ha ritenuto verificatosi l’effetto traslativo a seguito dell’applicazione del principio dettato dall’art. 1376 cod. civ., e quindi potrebbe essere incorsa in una erronea applicazione di un principio di diritto, o perchØ male interpretato o perchØ applicato in una situazione regolata, in realtà, da norme diverse.
Anche l’affermazione della irrilevanza della seconda cessione del bene, o l’esclusione di una natura solo simulata della prima cessione, possono costituire errori valutativi: essi, però, non derivano da una omessa o errata ricostruzione e percezione del fatto, perchØ gli elementi oggettivi sono stati tutti tenuti presenti e valutati, anche alla luce delle tesi difensive. Deve, pertanto, applicarsi l’ulteriore principio, secondo cui «E’ inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando l’errore in cui si assume che la Corte di cassazione sia incorsa abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito» (Sez. 6, ord. n. 28424 del 23/02/2022, Rv.283667).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 29/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME