Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6850 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6850 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Canosa di Puglia il 23/04/1959
avverso la ordinanza del 04/09/2024 del Tribunale di Trani visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udite le conclusioni del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Trani ha confermato il decreto del 4 luglio 2024 di sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme di 75.000 euro in relazione al capo 18-G) e di 385 euro in relazione al capo 20-I) e dei beni culturali di interesse archeologico rinvenuti nella disponibilità di NOME COGNOME indagato per il reato di corruzione.
Quanto al capo 18-G), secondo l’imputazione provvisoria, COGNOME -dirigente del settore servizi tecnici del comune di Terlizzi, al fine di assicu+e
l’aggiudicazione di un determinato immobile alla impresa individuale di NOME COGNOME – concretamente attuata con la determina dirigenziale n. 141 del 4 marzo 2016 – avrebbe ricevuto indebitamente la somma di 75.000 euro.
In particolare, il 27 luglio 2016, successivamente all’aggiudicazione, NOME COGNOME moglie del ricorrente, stipulava un preliminare di vendita di un immobile con NOME COGNOME al prezzo di 140.000 euro e riceveva un acconto di 100.000 euro; il definitivo, che si sarebbe dovuto stipulare entro e non oltre il 31 dicembre 2017, non venne mai stato stipulato, ma la promittente venditrice avrebbe restituito con tre bonifici solo 25.000 euro tra il 14 maggio 2020 e il 12 agosto 2021.
Secondo l’accusa, i residui 75.000 euro non restituiti costituirebbero il prezzo della corruzione.
Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’indagato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Sul capo 18-G), violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 324 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sulla posizione di amministratori di fatto degli indagati.
Si assume che, a seguito di documentazione acquisita e della interlocuzione con l’avv. NOME COGNOME – che si era interessato alla vicenda in sede civile si era prodotta una memoria al Tribunale del riesame, volta a chiarire come con la risoluzione del contratto preliminare – avvenuta nel maggio del 2020 – era stata prevista la restituzione dell’intera somma di 100.00 euro e non solo dei tre bonifici di cui si è detto. La somma residua di 75.000 euro è stata restituita attraverso l’accredito del 12/15 marzo 2023 sul conto acceso presso un determinato istituto disposto da NOME COGNOME con la causale “restituzione caparra compromissoria saldo” (viene prodotta documentazione).
Dunque, la difesa aveva documentato che in “epoca non sospetta” era stata prevista la integrale restituzione dell’acconto, di guisa che la restituzione dei 75.000 euro non sarebbe stato solo un tentativo “postumo” di celare la già consumata corruzione.
Le argomentazioni a sostegno della tesi difensiva sono state respinte dal Tribunale con motivazione carente e viziata.
In primo luogo, si osserva che il reato di corruzione si perfeziona con il ricevimento da parte del corrotto della illecita utilità e non sarebbe stato spiegato perché il reato, consumato con la consegna dell’acconto sul prezzo il 27 luglio 2016, sarebbe stato “dilatato” nel tempo sino al 12 agosto 2021, cioè al momento della retrocessione dell’acconto.
Si sottolinea come, diversamente dagli assunti del Tribunale, fosse stata prodotta la scrittura privata del 14 maggio 2020, avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare e la prova della integrale restituzione dell’acconto.
Dunque, si argomenta, sarebbe stato decisivo accertare la veridicità della data della risoluzione del contratto perché, se genuina, vi sarebbe la prova che la restituzione dell’acconto prescindeva dall’ipotesi corruttiva.
Sul punto il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che, in assenza della registrazione dell’atto di risoluzione, non potrebbe escludersi che il documento sia stato perfezionato successivamente, presumibilmente dopo le perquisizioni del giugno 2022.
Sul punto la motivazione sarebbe viziata perché assertiva, considerato che la restituzione della prima parte dell’acconto fu effettuata il 15 maggio 2020 e i dunque, l’accordo di risoluzione non poteva che essere precedente.
Si aggiunge che dall’esame delle causali delle restituzioni emerge che anche il terzo bonifico, datato 12 agosto 2021, indicherebbe quella di “acconto restituzione” e non di saldo, sicché sarebbe logico ritenere che le parti fossero sin da allora consapevoli che ne dovesse seguirne un’altra, quella, cioè, successiva relativa ai 75.000 euro, seppur in concreto posta in essere in ritardo di qualche mese rispetto alla data indicata nell’accordo di risoluzione (dicembre 2022).
Né si sarebbe tenuto conto delle dichiarazioni dell’avv. NOME COGNOME che avrebbe confermato come l’accordo di risoluzione fosse proprio quello datato 14 maggio 2020.
Quanto alla conversazione dell’Il giugno 2022 – in cui, secondo il Tribunale, si farebbe riferimento alla strumentale predisposizione di “ricevute” – si sostiene che: a) in ragione dell’ampiezza della indagine non vi sarebbe prova che il riferimento fosse ai fatti per cui si procede; b) la conversazione farebbe riferimento alla predisposizione e allo scambio tra legali di ricevute ma non vi sarebbe indicazione di pagamento di somme di denaro; c) tra la data della conversazione e quella della restituzione dei 75.000 euro (15 maggio 2023) ci sarebbe un lasso di tempo di quasi un anno.
2.2. Sul capo G-18) violazione di legge in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 322-ter cod. pen.
Si assume che al momento del sequestro, il presunto corrotto non avesse più la disponibilità del prezzo della corruzione, cioè dei 75.000 euro, per averlo restituito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente da rigettare perché infondato.
Preliminarmente va rammentato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Pertanto, sono da ritenere precluse quelle censure avanzate dal ricorrente volte, al di fuori di tale previso perimetro, ad attaccare la tenuta logica del ragionamento giustificativo della ordinanza impugnata.
Delimitato, pertanto, l’esame del ricorso alle sole deduzioni ammissibili, va ritenuto privo di fondamento il primo motivo.
Va ribadito che il parametro per la valutazione da parte del giudice del presupposto del sequestro preventivo del “fumus commissi delicti” seda un lato / non può essere circoscritto all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, dall’altro lato non deve neppure comportare la dimostrazione che il compendio complessivo sia dotato della persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. peri. per le misure cautelari personali. La verifica va dunque condotta evidenziando l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato (tra tante, Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, Rv. 286366).
Nel sindacato cautelare sulla consistenza indiziaria dell’ipotesi di accusa, il giudice deve, inoltre, esporre i motivi per i quali non sono ritenuti rilevanti gli elementi addotti dalla difesa (per tutte, Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017, Rv. 270815) e procedere, dunque, alla disamina delle specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori.
A tali coordinate esegetiche si è correttamente attenuto il Tribunale di Trani, in quanto, nei limiti delibatori propri del sindacato sulle misure cautelari reali, ha prospettato elementi di responsabilità concretamente idonei, sul piano indiziario, a ritenere configurabile l’ipotesi di reato formulata nel tema d’accusa, che resistevano agli elementi dedotti dalla difesa.
Invero, secondo la tesi difensiva, in questa sede riproposta, il preliminare di vendita non era un meccanismo volto a celare la dazione del prezzo della corruzione, come dimostravano a) la scrittura privata del 14 maggio 2020, che formalizzava un accordo già raggiunto nel 2019 di risoluzione del contratto (circostanza confermata dall’avv. COGNOME), b) la restituzione integrale
dell’anticipo di 75.000 euro in epoca “non sospetta” (ampiamente antecedente all’esecuzione della misura cautelare) e comunque con ritardo giustificato dalla indisponibilità delle somme, c) la buona fede della COGNOME, nel restituire anche la penale.
Ebbene, secondo il Tribunale, la tesi difensiva non era idonea a contrastare il fumus, perché da un lato / la scrittura privata non era stata registrata (contrariamente al preliminare) e idall’altro lato la restituzione della residua somma ricevuta (75.000 euro) era avvenuta a distanza di sette anni (15 maggio 2023) dal preliminare, con il quale era stata versata alla COGNOME la somma (a titolo di acconto e di penale) da parte del COGNOME, ovvero in un’epoca in cui già erano state avviate le indagini relative alla gara aggiudicata da quest’ultimo. Questo quadro era confermato dagli esiti delle intercettazioni.
Il Tribunale ha evidenziato come da quest’ultime (successive alle perquisizioni della Guardia di Finanza) fosse emersa l’intesa del COGNOME e del COGNOME di adottare strumentali precauzioni per eludere le investigazioni in corso, ovvero le “ricevute” già approntate da quest’ultimopa consegnare ai legali di entrambi che stavano lavorando sulla questione.
In questa prospettiva, il Tribunale ha ritenuto evidentemente non decisivo allo stato (in quanto oggetto di approfondimenti successivi) quanto dichiarato dal legale che avrebbe predisposto la scrittura privata.
Parimenti risultavano recessive, rispetto alla ricostruzione accusatoria, le diciture dei bonifici di restituzione come “acconti”, posto che dovevano per l’appunto giustificare la tesi della restituzione dell’anticipo del preliminare in caso di controlli.
Il Tribunale ha anche affrontato la questione difensiva del ritardo dovuto ad indisponibilità delle somme, ritenendola priva di logico fondamento: non vi era stata alcuna richiesta del COGNOME, nonostante la consistente distanza temporale; la restituzione dei 75.000 euro era avvenuta in una sola tranche, a dispetto di difficoltà economiche; la COGNOME aveva restituito la penale, così anche contraddicendo le ipotizzate indisponibilità delle somme da restituire.
A fronte di questa motivazione, che non può definirsi apparente o irrazionale, il ricorrente sottopone a questa Corte censure che affrontano il merito degli apprezzamenti effettuati dal Tribunale sulla valenza indiziaria degli elementi raccolti o allegati, o che pretendono uno standard probatorio p incompatibile con quello tipico delle misure cautelari reali (come l’accertamento della veridicità della data della sottoscrizione della scrittura privata), o che attaccano / piuttosto / la plausibilità degli argomenti utilizzati dal Tribunale.
Né la ricostruzione accolta dal Tribunale veniva a collidere con la stessa configurazione del reato di corruzione, posto che è principio consolidato ch
delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione – ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione – ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246583).
4. Privo di fondamento è il secondo motivo.
La circostanza che il ricorrente abbia restituito il prezzo della corruzione al Galentino e non disponesse quindi più della somma è irrilevante ai fini del disposto sequestro.
Invero questa Corte ha preso in considerazione, al fine dell’elisione o riduzione del quantum da sequestrare, l’effettivo “profitto” del reato conseguito dall’imputato.
Nel caso in esame, la misura reale riguarda invece il prezzo del reato, già entrato a far parte del patrimonio del ricorrente (i 75.000 euro) e restituito al presunto corruttore a seguito delle indagini.
Va pertanto ribadito il principio di diritto in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono “prezzo” – e non invece profitto – del reato di corruzione le somme ricevute, per sé o per altri, per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio da parte del pubblico ufficiale corrotto, con la conseguenza che esse sono integralmente sequestrabili (Sez. 6, n. 28412 del 30/03/2022, Rv. 283666). Con tale arresto, la Suprema Corte ha invero respinto un’analoga questione sulla quale le parti avevano dibattuto (la quantificazione del profitto), ritenendola non pertinente in quanto si versava in ipotesi di sequestro del prezzo del reato e come tali le somme erano “integralmente sequestrabili”.
In altri termini, la quantificazione del prezzo del reato, ai fini ablatori stabili dalla legge penale, rimane “insensibile” ad operazioni di decurtazione. Viepiù nel caso di specie dovute, secondo l’ipotesi accusatoria, neppure per l’adempimento di prestazioni lecite.
Tale principio è stato affermato in altri arresti della Suprema Corte (tra i tanti, Sez. 6, n. 28227 del 24/05/2023), rispetto ai quali il ricorrente omette ogni confronto, limitandosi a sovrapporre questioni impropriamente richiamate e vertenti sul sequestro del profitto.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 15/01/2025.