Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44009 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44009 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 26/12/1977
avverso l’ordinanza del 02/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME è stato raggiunto, in data 13/09/2017, da ordinanza cautelare carceraria relativa al delitto di omicidio aggravato; tale misura è stata in seguito sostituita con quelle dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza e di presentazione alla p.g., stante la declaratoria di inefficacia sopravvenuta del provvedimento restrittivo della libertà personale genetico, in ragione del decorso dei termini di fase.
1.1. Con provvedimento della Corte di assise di Catanzaro del 11/05/2023, il NOME è stato nuovamente assoggettato a provvedimento restrittivo della libertà personale di massimo rigore, in dipendenza delle numerose violazioni riscontrate, rispetto al provvedimento in esecuzione e – raggiunto da NOME ed estradato in Italia – trovasi pertanto attualmente assoggettato alla misura cautelare della custodia in carcere.
1.2. In data 21/03/2024, la difesa ha presentato in udienza istanza di revoca della misura cautelare in esecuzione, a fronte della quale la Corte di assise di Catanzaro ha emesso provvedimento di diniego.
1.3. Avverso quest’ultima decisione, la difesa ha proposto appello al Tribunale del riesame di Catanzaro, che ha emesso – in data 02/07/2024 l’ordinanza di rigetto indicata in epigrafe.
Ricorre per cassazione NOME, a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, volto alla denuncia del vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., sub specie di mancanza e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione di legge, in relazione al principio della autonoma valutazione del giudice. L’ordinanza impugnata – in ipotesi difensiva – non motiva in modo coerente e adeguato:
quanto al profilo inerente al pericolo di fuga, dato che non chiarisce le ragioni della ritenuta inadeguatezza della invocata misura cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari, pur con applicazione di braccialetto elettronico;
quanto al profilo della possibile reiterazione di condotte criminose di omogenea natura, dato che è carente ogni argomentazione a supporto della decisione;
quanto al profilo del possibile inquinamento probatorio, venendo questo incongruamente desunto dall’atteggiamento tenuto in udienza da una teste, che ha chiesto di rendere la propria posizione restando protetta dietro un paravento.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Il motivo unico formulato dalla difesa, sebbene articolato – come detto – in una duplicità di profili di doglianza, presenta una matrice unitaria e si presta agevolmente, quindi, ad una trattazione unitaria. Le censure oggi al vaglio di questo Collegio afferiscono tutte, infatti, alla motivazione della sentenza impugnata criticando – anche in maniera espressa e diretta – i criteri utilizzati e le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, nella valutazione delle prove.
2.1. In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., si deve però rammentare come, nell’apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non consista ne sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte di cassazione ha il diverso compito, infatti, di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta dì determinate conclusioni, a preferenza di altre (così Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, si vedano anche Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, rv 235507). Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende un necessario corollario: esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione, in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito; il giudizio di legittimità pu attenere, invece, solo alla verifica circa l’iter argonnentativo seguito da tale giudice, onde accertare se quest’ultimo abbia, o meno, dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione . Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Applicando tali regole ermeneutiche al caso di specie, il motivo dedotto dalla difesa non può che risultare inammissibile, in quanto fortemente generico e meramente confutativo, oltre che risolventesi nella invocazione di una nuova – e non consentita, in sede di legittimità – valutazione in punto di fatto.
Integrando brevemente quanto già sintetizzato in parte narrativa, può precisarsi come si tratti di un soggetto imputato per omicidio aggravato; la custodia cautelare in carcere, essendo divenuto inefficace il titolo primigenio, è stata sostituita con la misura non custodiale dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria, nuovamente sostituita con la custodia cautelare in carcere a causa delle numerose violazioni. Trattasi, inoltre, di soggetto tratto in arresto a seguito dell’esecuzione di mandato di arresto europeo, per essere egli fuggito all’estero.
La difesa ha presentato una nuova istanza, volta alla revoca o all’attenuazione della misura di massimo rigore; la Corte di assise ha disatteso tale richiesta e il Tribunale del riesame ha rigettato il successivo appello dell’interessato. Si è ritenuto, dunque, che i nuovi elementi addotto dalla difesa non fossero idonei a mutare il quadro indiziario già scrutinato, valorizzandosi all’uopo le reiterate violazioni verificatesi e la fuga, nonché i precedenti penali gravanti sul soggetto e reputandosi tali elementi evidentemente ostativi alla formulazione di una prognosi favorevole, circa il rispetto delle prescrizioni correlate a misura non carceraria.
Si sostiene nell’atto di impugnazione, in primo luogo, che vi sia una carenza motivazionale quanto alla sussistenza del pericolo di fuga, nel senso che il provvedimento non spieghi adeguatamente le ragioni poste a fondamento della ritenuta inadeguatezza della meno afflittiva misura cautelare degli arresti donniciliari, magari corredata dall’applicazione del braccialetto elettronico.
La deduzione è però infondata, atteso che il Tribunale del riesame ha chiarito in modo esauriente tale aspetto, adottando sul punto una motivazione ampia, coerente e priva di spunti di contraddittorietà. Si afferma nel provvedimento impugnato, infatti, che la condotta tenuta (consistita, come sopra precisato, nell’attuare una fuga all’estero, ad onta dell’imposizione di misura cautelare, sebbene non custodiale) non possa che essere reputata chiaramente evocativa di una totale carenza della necessaria autodisciplina comportamentale. Non vi è chi non rilevi, infine, come sia del tutto incongrua la citazione – in punto di asserita adeguatezza di presidio cautelare meno severo – del disposto dell’art. 275 comma 3 cod. proc. pen.; e infatti, essendo il NOME imputato di omicidio aggravato, vige nei suoi confronti la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, da ritenersi pacificamente poco superabile – nella concreta fattispecie per essere il ricorrente fuggito all’estero prima dell’adozione di mandato di arresto europeo a suo carico.
Lamenta inoltre la difesa esservi un vuoto argomentativo, quanto alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato. La doglianza, però, non merita accoglimento.
Il Tribunale del riesame, infatti, ha fatto riferimento a elementi di univoca significazione in tal senso, evidenziando trattarsi di un soggetto pregiudicato per estorsione e lesioni; ha poi rimarcato come tale fatto – di indubitabile valenza, in quanto di natura oggettiva – saldandosi con la sicura caratura criminale del fatto per il quale si procede, non possa che essere reputato dimostrativo di una marcata pericolosità sociale. Tale struttura motivazionale, logica ed esaustiva, viene aggredita dalla difesa con argomenti di mera attitudine contestativa, non atti a disarticolare la saldezza del provvedimento avversato.
Quanto all’ultimo argomento addotto dalla difesa in punto di esigenze cautelari, ossia quello inerente al pericolo di inquinamento probatorio, non vi è traccia – almeno nel provvedimento impugnato – dell’affermazione difensiva, attinente alla asserita capacità di intimidazione attribuita al soggetto, che sarebbe stata desunta dal comportamento tenuto in udienza da una teste.
Giova ricordare, infine, come si verta in tema di appello cautelare, momento processuale che avrebbe imposto la specifica deduzione di un elemento di genuina novità, rispetto alla precedente delibazione (fra tante, si possono richiamare Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, rv. 266676, a mente della quale: «In sede di appello avverso la ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato»; si veda anche Sez. 6, n. 14300 del 04/02/2014, COGNOME, rv. 259450). Tale elemento nuovo, però, è restato assente.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186
del 2000). Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma iter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 15 ottobre 2024.