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Presunzione pericolosità e custodia cautelare: la S.C.

Un soggetto, accusato di far parte di un’associazione dedita allo spaccio e di plurime cessioni di stupefacenti, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la misura. La decisione si fonda sulla presunzione di pericolosità legata al reato associativo, ritenuta non superata dai precedenti penali e dalla perseveranza dell’indagato nell’attività illecita, rendendo inadeguata ogni misura meno afflittiva.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità: Quando la Custodia Cautelare è Inevitabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9482 del 2024, offre un importante chiarimento sui criteri di applicazione della custodia cautelare in carcere per reati associativi legati agli stupefacenti. Il caso in esame ribadisce la forza della presunzione di pericolosità che accompagna tali accuse, dimostrando come i precedenti penali e la continuità dell’attività illecita possano rendere la detenzione l’unica misura idonea a tutelare le esigenze cautelari, anche a fronte di singole cessioni di modesta entità.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990) e per numerosi episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/1990). La difesa presentava un’istanza di riesame, sostenendo l’insussistenza delle esigenze cautelari. In particolare, si evidenziava che le cessioni contestate erano solo dieci, riguardavano modesti quantitativi di marijuana e, per la maggior parte, erano risalenti nel tempo. Inoltre, si sottolineava il ruolo asseritamente marginale dell’indagato all’interno del sodalizio criminale.

Il Tribunale del riesame rigettava la richiesta, confermando la misura detentiva. Avverso tale decisione, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa pronuncia non entra nel merito delle argomentazioni difensive, ma si concentra su un aspetto procedurale decisivo: il ricorrente non si era confrontato adeguatamente con le motivazioni addotte dal Tribunale del riesame. In sostanza, il ricorso è stato giudicato generico e non in grado di scalfire la logicità e la coerenza della decisione impugnata.

La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle Ammende, ritenendo che il ricorso fosse stato presentato senza che vi fossero reali possibilità di accoglimento.

Le Motivazioni: La Presunzione di Pericolosità e i Precedenti

Il nucleo della decisione risiede nel concetto di presunzione di pericolosità. La Cassazione ha ricordato che, per il reato di cui all’art. 74 T.U. Stupefacenti, la legge presume l’esistenza di esigenze cautelari. Spetta all’indagato fornire elementi concreti per superare tale presunzione, dimostrando che non vi è un pericolo attuale e concreto di reiterazione del reato.

Nel caso specifico, il Tribunale del riesame aveva correttamente evidenziato diversi elementi che, anziché vincere la presunzione, la rafforzavano:

1. I precedenti penali: L’indagato aveva due precedenti per evasione, uno dei quali commesso successivamente all’arresto per i fatti in questione, mentre era in possesso di 30 grammi di marijuana.
2. La perseveranza nel reato: Nonostante i precedenti e le vicende giudiziarie, l’indagato aveva continuato l’attività di spaccio fino a tempi recenti (settembre 2022).

Questo quadro complessivo, secondo i giudici, rendeva impossibile formulare un giudizio prognostico positivo, ovvero credere che l’indagato si sarebbe astenuto dal commettere futuri delitti. Di conseguenza, anche misure come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono state ritenute inadeguate, data la concreta possibilità che l’abitazione venisse trasformata in una base per lo spaccio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati associativi. La presunzione di pericolosità non è una formula vuota, ma un criterio rigoroso che pone a carico della difesa l’onere di dimostrare l’assenza di rischi. Non è sufficiente evidenziare la modesta entità dei singoli episodi di spaccio o un ruolo marginale nell’associazione. La valutazione del giudice deve essere complessiva e tenere conto della storia criminale del soggetto e della sua condotta nel tempo. La perseveranza nell’attività illecita e i precedenti specifici, anche per reati come l’evasione, diventano indicatori decisivi di una pericolosità sociale che giustifica la massima misura cautelare, la custodia in carcere.

Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa non si sono confrontate specificamente con le motivazioni della decisione del Tribunale del riesame. Il ricorso è risultato generico e non ha contestato efficacemente la logica giuridica del provvedimento impugnato.

Cosa si intende per ‘presunzione di pericolosità’ nel contesto di questo caso?
Si intende un principio legale secondo cui, per reati particolarmente gravi come l’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio (art. 74 D.P.R. 309/1990), si presume che l’indagato sia socialmente pericoloso e che ci sia un concreto rischio di reiterazione del reato. Tale presunzione giustifica l’applicazione di misure cautelari severe, salvo che la difesa fornisca prove concrete del contrario.

Per quale motivo gli arresti domiciliari sono stati ritenuti una misura inadeguata?
Gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, sono stati considerati inadeguati perché i giudici hanno ritenuto che non potessero fronteggiare efficacemente le esigenze cautelari. La decisione si basa sui precedenti dell’indagato e sulla sua perseveranza nello spaccio, elementi che indicavano un’alta probabilità che potesse continuare l’attività illecita anche dalla propria abitazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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