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Presunzione misura cautelare: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero contro la sostituzione di una misura cautelare da arresti domiciliari a divieto di dimora per un indagato per tentata estorsione con aggravante mafiosa. La Corte ha stabilito che la presunzione misura cautelare era già stata superata dal primo giudice e che la motivazione del Tribunale, basata su elementi specifici come il tempo trascorso, l’incensuratezza e la natura episodica del fatto, non era apparente ma valida, giustificando così la misura meno afflittiva.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Misura Cautelare: Quando una Motivazione è Sufficiente?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4807/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i criteri per il superamento della presunzione misura cautelare di adeguatezza della custodia in carcere per reati di particolare gravità, specie quelli con aggravante mafiosa. La decisione offre importanti spunti di riflessione sulla discrezionalità del giudice e sulla validità della motivazione che sorregge una misura meno afflittiva.

I Fatti del Caso

Il procedimento ha origine da un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) che applicava a un indagato la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico per il reato di tentata estorsione pluriaggravata. Successivamente, in sede di riesame, il Tribunale di Palermo accoglieva parzialmente la richiesta della difesa, sostituendo la misura con quella, meno grave, del divieto di dimora nella Provincia di Palermo.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione carente. Secondo l’accusa, il Tribunale aveva illegittimamente superato la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere prevista per i delitti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p., basando la sua decisione su elementi ritenuti insufficienti.

Il Ricorso e la Presunzione Misura Cautelare

Il cuore del ricorso del Pubblico Ministero si concentrava sulla presunta motivazione apparente fornita dal Tribunale. L’accusa sosteneva che il giudice del riesame avesse valorizzato in modo improprio:

* Il tempo trascorso dai fatti.
* L’incensuratezza dell’indagato.
* La natura di singolo episodio criminale.

Questi elementi, secondo il ricorrente, non sarebbero stati idonei a vincere la presunzione misura cautelare stabilita dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, che impone una valutazione particolarmente rigorosa per l’applicazione di misure diverse dalla custodia in carcere in contesti di criminalità organizzata.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno sviluppato un ragionamento logico e puntuale per smontare le censure mosse dal Pubblico Ministero, chiarendo i limiti e le modalità di applicazione della presunzione in esame.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha innanzitutto osservato un punto procedurale decisivo: la presunzione relativa era già stata superata nel provvedimento originario del G.i.p. Quest’ultimo, infatti, aveva applicato gli arresti domiciliari e non la custodia in carcere richiesta dall’accusa, e tale decisione non era stata impugnata. Di conseguenza, il Tribunale del riesame non stava superando la presunzione per la prima volta, ma stava semplicemente rivalutando l’adeguatezza di una misura già ritenuta idonea a fronteggiare le esigenze cautelari.

Nel merito, la Cassazione ha stabilito che la motivazione del Tribunale non era affatto apparente. Il giudice del riesame aveva fornito una giustificazione specifica e pertinente, affermando che il divieto di dimora era “idoneo a recidere qualsivoglia collegamento, anche a distanza e per interposta persona, con esponenti […] del sodalizio mafioso palermitano, per la reiterazione di analoghe condotte delittuose”.

Il Tribunale è giunto a tale conclusione valorizzando un complesso di elementi non eccentrici rispetto alla valutazione richiesta:

1. Distanza Temporale: La vicenda risaliva a tre anni prima.
2. Episodicità del Fatto: Si trattava di un unico episodio delittuoso.
3. Condotta di Vita: L’imputato era incensurato e, inoltre, era stato sospeso dal suo ordine professionale.

Questi fattori, considerati nel loro insieme, hanno costituito la base per una motivazione concreta e non meramente formale, escludendo così la violazione di legge lamentata dal ricorrente.

Le Conclusioni

La sentenza in commento ribadisce un principio fondamentale: la presunzione misura cautelare prevista dall’art. 275 c.p.p. è relativa e non assoluta. Può essere superata da una valutazione del giudice che, basandosi su elementi specifici e pertinenti relativi al caso concreto, motivi in modo logico e non contraddittorio perché una misura meno afflittiva sia comunque adeguata a soddisfare le esigenze cautelari. La decisione della Cassazione sottolinea che una motivazione basata su fatti concreti come il tempo trascorso, l’incensuratezza e la natura isolata del reato non può essere liquidata come “apparente”, ma rappresenta un legittimo esercizio della discrezionalità giudiziale finalizzata a bilanciare le esigenze di sicurezza con i diritti fondamentali dell’individuo.

Quando può essere superata la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per reati con aggravante mafiosa?
La presunzione può essere superata quando il giudice, attraverso una motivazione specifica e non apparente, dimostra che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con una misura meno grave. Nel caso di specie, la presunzione era già stata superata dal primo giudice, che aveva applicato gli arresti domiciliari anziché il carcere.

Quali elementi concreti possono giustificare l’applicazione di una misura cautelare meno grave in questi casi?
Il Tribunale ha considerato una serie di elementi, ritenuti pertinenti dalla Cassazione: il notevole tempo trascorso dai fatti (tre anni), la natura di episodio unico della condotta, l’incensuratezza dell’indagato e la sua sospensione dall’ordine professionale. Questi fattori, valutati insieme, hanno supportato la scelta di una misura meno afflittiva.

Perché la motivazione del Tribunale non è stata considerata ‘apparente’ dalla Corte di Cassazione?
La motivazione non è stata ritenuta apparente perché il Tribunale ha spiegato specificamente perché il divieto di dimora fosse una misura adeguata. Ha argomentato che tale misura era sufficiente a interrompere i contatti dell’indagato con l’ambiente criminale e a prevenire la commissione di nuovi reati, basando questa conclusione su una valutazione logica degli elementi concreti del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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